Tutta la rete dei servizi antiviolenza nasce in risposta ad un sistema patriarcale che si regge sulla disuguaglianza di genere. Anche le donne con disabilità sono soggette a questo sistema, e, proprio per questo, sono anch’esse esposte a violenza di genere. Tuttavia esse sono soggette anche ad un altro squilibrio di potere: quello tra persone con disabilità e persone “non disabili”. Per questo motivo il contrasto alla violenza nei confronti delle donne con disabilità non può eludere il tema del contrasto all’abilismo.
Proprio in questi giorni alcuni media hanno divulgato la notizia di una donna con disabilità che per quattro anni ha subito maltrattamenti e violenze fisiche ad opera della sorella convivente. La vittima con disabilità motoria vive al centro di Asola, un comune in provincia di Mantova, con i genitori anziani e la sorella. Quest’ultima voleva persuaderla a trasferirsi in una struttura per disabili, e, a tal fine, quando i genitori uscivano di casa, la mortificava, la minacciava di morte e la percuoteva con un bastone di legno. La cosa è andata avanti per quattro anni. A notare i lividi sparsi per tutto il corpo è stata l’operatrice inviata dal comune per aiutare la donna con disabilità nell’igiene personale. L’operatrice ha avuto la prontezza di informare i Servizi Sociali che, a loro volta, hanno avvertito i Carabinieri e la Procura di Mantova. A questo punto la Procura ha disposto accertamenti del caso. La vittima, con il supporto dei Servizi Sociali, è stata accompagnata in caserma dove ha raccontato la sua vicenda. In meno di 24 ore i Carabinieri di Asola hanno fornito al Pubblico Ministero assegnatario del fascicolo una dettagliata informativa di reato e una richiesta di custodia cautelare in carcere per l’autrice dei reati. Espletati tutti i passaggi formali necessari, il fascicolo è arrivato al Giudice per le Indagini Preliminari che ha accolto le risultanze investigative ed ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per la donna. La donna con disabilità, informata del procedimento, ha trovato ospitalità presso una struttura per persone con disabilità. I Servizi Sociali del comune di Asola stanno disponendo i supporti necessari alla donna stessa per la permanenza nella struttura in questione (Asola, disabile da 4 anni subiva violenze e maltrattamenti da parte della sorella: arrestata, «L’Altra MantovA», 24 ottobre 2020). La violenza subita da questa donna con disabilità non è connessa al suo genere di appartenenza, bensì al fatto che lei è una persona con disabilità.
Non si può dire che negli ultimi anni qui in Italia non sia successo niente sul fronte del contrasto alla violenza nei confronti delle donne con disabilità. E se è vero che nella stesura del “Secondo programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità” (adottato con il Decreto del Presidente della Repubblica del 12 ottobre 2017) questo fenomeno venne completamente e colpevolmente ignorato, altri accadimenti fanno intravvedere la volontà di cambiare rotta.
Un primo segnale importante si è avuto nel 2017, quando un gruppo di donne con disabilità, su impulso della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), ha deciso di aderire e partecipare con un proprio striscione alla manifestazione nazionale indetta da “Non una di meno” per il 25 novembre (Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne). Era fondamentale che le donne con disabilità scendessero in piazza assieme alle altre donne segnalando la propria differenza, perché proprio la mancanza di attenzione a quella differenza è alla base della discriminazione multipla a cui sono esposte. Ed era parimenti determinate che la FISH, ratificando il “Secondo Manifesto sui diritti delle Donne e delle Ragazze con Disabilità nell’Unione Europea”, manifestasse la volontà di reimpostare le proprie politiche e le proprie rivendicazioni in tema di disabilità integrando la variabile del genere. Non si tratta, ovviamente, di un’istanza che deve partire dai vertici, ogni soggetto che operi nel campo della disabilità e agisca in conformità alle disposizioni contenute nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ha il dovere morale e giuridico di contrastare le discriminazioni multiple, ma è innegabile che le “organizzazioni ombrello” preposte a rappresentare le istanze delle persone con disabilità ai livelli più alti, hanno un peso e una responsabilità politica maggiori nell’orientare l’attenzione delle Istituzioni e della collettività su alcuni temi piuttosto che su altri.
Un altro fatto che merita di essere segnalato è la circostanza che il Rapporto delle associazioni di donne sull’attuazione della Convenzione di Istanbul in Italia (il cosiddetto Rapporto ombra), trasmesso al GREVIO (il Gruppo di esperti/e indipendenti preposto al monitoraggio della Convenzione di Istanbul) a fine ottobre 2018, contenesse molti e circostanziati riferimenti sulla condizione delle donne con disabilità vittime di violenza e sulle loro difficoltà ad accedere alla rete dei servizi antiviolenza. Riferimenti che non sono caduti nel vuoto, visto che il GREVIO, nel suo primo Rapporto di valutazione sull’applicazione della Convenzione di Istanbul in Italia (rapporto pubblicato il 13 gennaio 2020), ha esplicitamente menzionato le molte criticità rilevate in relazione alle donne con disabilità vittime di violenza, ed ha rivolto al nostro Governo puntuali e dettagliate raccomandazioni per sanarle.
Altri segnali di cambiamento sono dati dall’inaugurazione (nel 2018) dell’Osservatorio sulla violenza contro le donne con disabilità promosso dall’associazione Differenza Donna; dalla realizzazione, nel periodo 2018-2019, di una specifica indagine sul fenomeno della violenza sulle donne con disabilità (VERA, acronimo per Violence Emergence, Recognition and Awareness) promossa congiuntamente dalla FISH e da Differenza Donna, che, sebbene non sia stata condotta su un campione probabilistico, ha contribuito a fare luce su un fenomeno di cui ancora sappiamo pochissimo*; dall’approvazione, il 15 ottobre 2019, da parte della Camera dei Deputati del nostro Parlamento, di quattro diverse Mozioni presentate da differenti schieramenti, e finalizzate a contrastare la discriminazione multipla che colpisce le donne con disabilità (mozioni che contengono, tra le altre, diverse disposizioni in tema di violenza); dalla presenza di riferimenti impliciti (con richiami alle diverse forme di discriminazione multipla ed intersezionale) ed espliciti alle donne con disabilità vittime di violenza nel Position Paper intitolato “Il cambiamento che vogliamo. Proposte femministe a 25 anni da Pechino”, un documento presentato lo scorso luglio ed elaborato da un gruppo eterogeneo di 68 donne sotto il coordinamento di D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza; dalla campagna di sensibilizzazione realizzata anch’essa da D.i.Re centrata sul tema “donne con disabilità e discriminazioni multiple”, e rivolta alla popolazione e alle Istituzioni, che, lanciata lo scorso 31 luglio, si protrarrà sino all’8 marzo 2021.
Segnali di cambiamento, dicevamo, ai quali andrebbero aggiunti numerosi progetti, articoli, incontri, convegni e seminari realizzati negli ultimi anni in tutt’Italia sempre su questi temi.
Dunque, tutto bene? Bene sì, ma non benissimo. Perché tutte queste iniziative nel loro complesso, almeno per il momento, non hanno cambiato una realtà nella quale, a parte pochissime eccezioni, alle ragazze e alle donne con disabilità non sono rivolti interventi di prevenzione della violenza, spesso i servizi antiviolenza sono inaccessibili ed impreparati ad accoglierle, le informazioni d’interesse non sono disponibili in formati predisposti secondo criteri di usabilità e accessibilità, le donne e le ragazze con disabilità hanno spesso difficoltà a denunciare le violenze subite, e se riescono a farlo rischiano di non essere credute. Ma c’è dell’altro.
La violenza di genere è un fenomeno strutturale che scaturisce da uno squilibrio di potere che attribuisce agli uomini una posizione dominante. Tutta la rete dei servizi antiviolenza nasce in risposta ad un sistema patriarcale che si regge proprio sulla disuguaglianza di genere. Anche le donne con disabilità sono soggette a questo sistema, e, proprio per questo, sono anch’esse esposte a violenza di genere. Tuttavia esse sono soggette anche ad un altro squilibrio di potere: quello tra persone con disabilità e persone “non disabili” (qualsiasi cosa si intenda con questa espressione). Gli esiti di questo squilibrio sono facilmente individuabili: poiché gli ambienti, i servizi e tutto ciò che viene fruito dalla popolazione è spesso pensato e realizzato per le persone “non disabili”, queste finiscono per trovarsi molto frequentemente in una posizione dominante rispetto alle persone con disabilità. Il termine che descrive questo tipo di discriminazione è “abilismo”. Integrare la prospettiva del contrasto all’abilismo con quella del contrasto al patriarcato non è così semplice perché farlo implica che anche chi opera nella rete dei servizi antiviolenza si metta in discussione riconoscendo di trovarsi in una posizione potenzialmente dominante rispetto alle donne con disabilità. Detto in maniera ancora più chiara: non basta, ad esempio, abbattere le barriere fisiche e di comunicazione, non basta conoscere le forme peculiari di violenza a cui, oltre a quelle più comuni, sono soggette le donne con disabilità, è parimenti importante mettere a fuoco che la violenza abilista può essere agita anche da donne, e che può essere indirizzata anche contro uomini con disabilità. Per chi è abituata a ragionare in termini di contrapposizione uomo/donna, assumere questa ulteriore prospettiva può risultare abbastanza destabilizzante. Non è un caso che la violenza di genere nei confronti delle donne con disabilità stia iniziando a suscitare qualche interesse, mentre si parla ancora poco o per niente di violenza abilista.
Anche quest’anno nel mese di novembre si terranno molti eventi legati Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Ad oggi non è ancora possibile prevedere se la pandemia di Covid-19 permetterà le manifestazioni di piazza, ma tra i tanti eventi online qualcuno si occuperà anche della violenza nei confronti delle donne con disabilità. Va da sé che, soprattutto in queste occasioni, il tema del contrasto all’abilismo non può essere sottaciuto.
Simona Lancioni
Responsabile del centro Informare un’h di Peccioli (PI)
* Indagine della quale, peraltro, è in corso una seconda edizione.
Vedi anche:
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.
Ultimo aggiornamento il 5 Novembre 2020 da Simona