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Io sono Massimo

di Marco Roberto Rossetti

Continua a suscitare riflessioni la strage accaduta pochi giorni fa a L’Aquila, dove un uomo ha sterminato la sua famiglia – la moglie e i suoi due figli –, per poi suicidarsi (se ne legga a questo link). Una narrazione distorta e sbilanciata, quella proposta dai media, che indugia sulla disabilità del figlio Massimo, proponendo – talvolta anche in modo esplicito – una connessione diretta tra questa e i tragici gesti del padre. Un racconto dal quale, giustamente, le persone con disabilità si sentono ferite, come ben espresso anche da Marco Roberto Rossetti, un uomo con disabilità, in questo significativo contributo che ospitiamo ben volentieri. (S.L.)

Un fiore rosso che riesce a sbocciare in una crepa dell’asfalto ben esemplifica le difficoltà che incontrano le persone con disabilità a “sbocciare” nonostante una rappresentazione pubblica che sminuisce e mortifica la condizione di disabilità.

Ci troviamo di fronte ad una vicenda tragica in cui un uomo pone fine alla vita dei suoi familiari. Uno dei figli si chiamava Massimo e aveva una grave disabilità. La narrazione dominante vede nella disabilità di Massimo la causa principale di questo tragico evento.

Da persona con disabilità sono davvero stanco di essere investito da questo tipo di narrazione. Sono tremendamente stanco di essere rappresentato come una povera anima sofferente. Stanco di questa narrazione violenta che vuole imporre forzatamente una visione tragica e disperata delle nostre vite, appiattirle e renderle monodimensionali. Uno sguardo che non si preoccupa minimamente di considerare il nostro punto di vista.
Sono stanco di assistere ad una narrazione che descrive con dovizia di particolari il carnefice, ma a stento indica il nome della persona disabile uccisa, preferendo concentrarsi solo quello della sua patologia.

Il carnefice viene presentato come “vittima della disperazione”, “preoccupato per il futuro del figlio”. In una chiave di lettura che legittima l’idea di omicidio caritatevole, il gesto estremo con cui si evita al/alla proprio/a congiunto/a di proseguire quella che viene considerata una non-vita, finendo poi per colpevolizzare chi ha subito una violenza estrema, che viene rappresentato come un “peso insostenibile”.

Questa narrazione derivata da bias abilisti, si serve di un linguaggio evocativo malauguratamente molto efficace.
Espressioni come “inchiodato alla carrozzina” o “prigioniero del proprio corpo” non fanno altro che legittimare nel senso comune una concezione negativa della disabilità, con conseguenze negative per tutti e tutte.
I bambini e le bambine con disabilità che immagine potranno mai avere di sé stessi, crescendo all’interno di un panorama mediatico saturato da siffatti messaggi? E le persone che acquisiscono una disabilità nel corso della propria vita?
Sono stanco di una narrazione che ci induce ad autosvalutarci come persone, a sentirci sbagliate e inadeguate di fronte al mondo.
Che ostacola il nostro percorso di accettazione ed emancipazione che ci spetta in quanto ESSERI UMANI.
Quest’aura di negatività che avvolge la disabilità e altri elementi riconducibili ad essa, come la carrozzina, intossica le menti dei caregiver, contribuisce ad ostacolare l’elaborazione dell’esperienza di disabilità legata ad un/una familiare. Genera sofferenza indotta laddove magari non esisterebbe, con conseguenze a volte estreme.

Chiediamo ai media di cambiare il paradigma della narrazione in tema di disabilità.
Chiediamo di abbandonare l’utilizzo di un linguaggio degradante e pietistico.
Chiediamo ai responsabili della comunicazione di sottoscrivere la proposta di regolamentazione delle comunicazioni pubbliche in tema di omicidi di persone con disabilità ideata dal Centro Informare un’H [disponibile a questo link, e tuttora aperta alla sottoscrizione di Enti e persone, N.d.R.].

 

Nota: segnaliamo che un protocollo deontologico rivolto ai professionisti e alle professioniste dell’informazione per proporre una narrazione rispettosa delle persone con disabilità è già in fase di elaborazione, e si chiama Carta di Olbia. Essa propone, tra le altre, anche indicazioni su come trattare le vicende di omicidio-suicidio che coinvolgono perone con disabilità (si veda, a tal proposito: Un protocollo deontologico rivolto a chi lavora nell’informazione per trattare (bene) di disabilità, «Informare un’h», 16 dicembre 2022). Ma mentre la Carta di Olbia è un documento rivolto agli addetti/e ai lavori della comunicazione, la proposta del Centro Informare un’H, oltre ad essere specifica sulla trattazione delle vicende di omicidio-suicidio, è aperta a chiunque, perché talvolta la comunicazione distorta e sbilanciata è proposta anche da Enti e persone operanti nel settore della disabilità.

 

Vedi anche:
Omicidi-suicidi: proposta di regolamentazione delle comunicazioni pubbliche, «Informare un’h», 20 febbraio 2023.
UILDM: non liquidiamo tutto come dramma della disabilità, «Informare un’h», 5 aprile 2023.
Giampiero Griffo, A proposito delle narrazioni povere e distorte sulla disabilità, «Informare un’h», 4 aprile 2023.
Francesca Arcadu, Strage a L’Aquila: basta con lo sguardo che mortifica le esistenze delle persone con disabilità, «Informare un’h», 3 aprile 2023.
Simona Lancioni, L’Aquila, un uomo stermina la sua famiglia, ma i media ignorano patriarcato e abilismo, «Informare un’h», 3 aprile 2023.
Simona Lancioni, In memoria delle persone con disabilità uccise dai propri familiari, «Informare un’h», 18 marzo 2023.

 

Ultimo aggiornamento il 7 Aprile 2023 da Simona