Menu Chiudi

Deistituzionalizzazione, la grande assente

del Coordinamento PERSONE*

La deistituzionalizzazione, la grande assente nel dibattito sulla “riforma della disabilità”, merita invece spazio e riflessioni», scrivono dal Coordinamento PERSONE, prendendo la parola dopo la terribile vicenda di violenza ai danni di persone con disabilità ospitate in una struttura di Luserna San Giovanni (Torino), e riportando l’attenzione sul tema della deistituzionalizzazione, appunto, ma anche della prevenzione dell’istituzionalizzazione.

«Il muro divide il dentro dal fuori, chi ha diritti da chi non li ha», scrivono dal Coordinamento PERSONE (foto di Brett Sayles su Pexels).

La deistituzionalizzazione, la grande assente nel dibattito sulla “riforma della disabilità”, merita invece spazio e riflessioni. Lo abbiamo fatto a mezzo social all’indomani delle aberranti notizie di cronaca che sono arrivate dal Piemonte (e non solo) e le riprendiamo oggi con uno sguardo più ampio [il riferimento è ad una vicenda di violenza ai danni di persone con disabilità ospitate in una struttura di Luserna San Giovanni (Torino), se ne legga a questo link, N.d.R.].

«Questo carattere inglobante o totale (dell’istituzione) è simbolizzato nell’impedimento allo scambio sociale e all’uscita verso il mondo esterno, spesso concretamente fondato nelle stesse strutture fisiche dell’istituzione, come le porte chiuse». Così Erving Goffman in Asylums (Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza).

Basterebbero, a nostro avviso, queste poche righe a mettere in discussione ogni tipo di istituzione totale per le persone con disabilità e non solo.
Ma il sociologo americano che apriva così, nel 1961, un testo che avrebbe fatto storia, prosegue indicando le caratteristiche che un’istituzione deve avere per essere considerata totale ed è agghiacciante che dopo oltre 60 anni, le sue parole risuonino tanto attuali:
«Uno degli assetti sociali fondamentali nella società moderna è che l’uomo tende a dormire, a divertirsi e a lavorare in luoghi diversi, sotto diverse autorità o senza alcuno schema razionale di carattere globale.
Caratteristica principale delle istituzioni totali, può essere appunto ritenuta la rottura delle barriere che separano queste tre sfere della vita. Primo, tutti gli aspetti della vita si svolgono nello stesso luogo e sotto la stessa unica autorità. Secondo, ogni fase delle attività giornaliere si svolge a stretto contatto di un enorme gruppo di persone, trattate tutte allo stesso modo e tutte obbligate a fare le medesime cose. Terzo, le diverse attività sono rigorosamente schedate secondo un ritmo prestabilito che le porta dall’una all’altra, dato che il complesso di attività è imposto dall’alto da un sistema di regole formali esplicite e da un corpo di addetti alla loro esecuzione. Per ultimo, le varie attività forzate sono organizzate secondo un unico piano razionale, appositamente designato al fine di adempiere allo scopo ufficiale dell’istituzione».

Al fine di adempiere allo scopo ufficiale dell’istituzione. Questo è il mandato e tutto viene programmato e organizzato a tal fine. La persona non esiste.

Facendo un salto temporale al 2022, le Linee guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza, al capo III, lettera A, articolo 14, ci informano che: «Esistono alcuni elementi che definiscono un’istituzione, come l’obbligo di condividere gli assistenti con altre persone e l’assenza o la limitata influenza su chi fornisce l’assistenza; l’isolamento e la segregazione dalla vita indipendente nella comunità; la mancanza di controllo sulle decisioni quotidiane; la mancanza di scelta da parte delle persone interessate su con chi vivere; la rigidità della routine a prescindere dalla volontà e dalle preferenze personali; attività identiche nello stesso luogo per un gruppo di persone sotto una certa autorità; un approccio paternalistico nell’erogazione dei servizi; la supervisione delle modalità di vita; un numero sproporzionato di persone con disabilità nello stesso ambiente».

È agevole riscontrare una sovrapposizione tra le parole di E. Goffman e le Linee guida del Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità, che aggiunge un elemento fondamentale e totalmente inosservato e cioè che «l’assenza, la riforma o la rimozione di uno o più elementi istituzionali, non può essere usata per caratterizzare un ambiente come “basato sulla comunità”». Cosa vuol dire?
Vuol dire che anche se elimino un elemento istituzionalizzante o cambio nome all’istituzione rimanendo sostanzialmente immutata la gestione, o, ancora, ne riduco la capienza, quella rimane un’istituzione totalizzante, segregante e quindi incompatibile con la Convenzione ONU sui i diritti delle persone con disabilità. Vuol dire che lo spazio di vita e di libertà che ogni persona, con o senza disabilità, ha il diritto di praticare, è la comunità. I muri, le istituzioni, chiudono a questa possibilità. Non importa se dentro a quei muri c’è un bel giardino. Il muro divide il dentro dal fuori, chi ha diritti da chi non li ha. La vita dentro a un’istituzione, fra quattro mura, è la morte delle relazioni sociali. È l’impossibilità di scegliere con chi spendere il proprio tempo, come farlo, dove farlo. Che sia abitare o qualsiasi altra attività umana. Se ognuno di noi lo pensa per sé lo trova, ovviamente, inconcepibile.
Allora perché si continua a pensarlo appropriato per una persona con disabilità? Perché il mandato, ancora oggi e nonostante una corposa legislazione nazionale e internazionale, è quello di cura e assistenza in luoghi speciali?

È possibile che quell’idea di cura sia profondamente sbagliata? Che “badare” una persona in un luogo fuori dal mondo sia tutt’altra cosa che “prendersi cura” di qualcuno per sostenerlo nella strada verso la libertà che gli spetta? E che questo possa essere compreso e agito solo spostando l’attenzione dalla disabilità alla persona?

Noi pensiamo che la risposta sia sì.

Ce lo dicono le sperimentazioni che negli ultimi 10-15 anni sono state svolte sul campo a partire da un atteggiamento critico: davvero si può realizzare il contenuto della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità?
Quelle esperienze non ci dicono solo che si, si può fare. Raccontano molto di più: ci indicano cosa non fare.
Non si può mettere paletti perché se fisso uno standard per l’accesso ai diritti, ci sarà sempre qualcuno che rimarrà fuori, escluso, discriminato.
Non si può prendere come standard la gravità della disabilità, perché sappiamo tutti, ormai da tempo, che esistono i contesti e le barriere e che, se lavoriamo su quelli, il risultato cambia. Sostegni, quindi, non luoghi.
Non si può pensare alle competenze come all’unica risorsa di una persona. Non è così per nessuno.
Non si può rispondere a una persona con disabilità diversamente da come si risponderebbe a una persona senza disabilità perché si chiama discriminare.
Non si può rinchiudere una persona in un luogo pensando di aver risolto il problema (per chi poi? Per quella persona o per il resto della società che la reputa non conforme alla “norma”?), e non si può farlo contro la sua volontà perché si viola la legge.
Non si può più aspettare che il potere passi, finalmente, dall’”esperto” di turno alla persona.
Non si può continuare a proporre e sostenere le istituzioni senza fornire alle persone con disabilità e alle loro famiglie, una prova che trascorrere la propria vita fra quelle quattro mura funzioni, serva a qualcuno, sia generativo di una qualsiasi cosa.
Perché ciò che sappiamo è, purtroppo, il contrario. Una percezione di sé ridotta ai minimi termini, sminuita e annichilita che, se in alcuni si manifesta con triste e apatica rassegnazione, in chi ancora non si è arreso, produce effetti devastanti per la mancanza di possibilità, libertà e di relazioni umane significative.

Indipendentemente dalla cronaca, dobbiamo chiedere un Piano per la deistituzionalizzazione e avviare tutte le pratiche alternative che, ad oggi, non vengono nemmeno prese in considerazione.
La deistituzionalizzazione e la prevenzione dell’istituzionalizzazione sono l’unica via verso l’autodeterminazione, i diritti e la liberta delle persone con disabilità. Non possiamo darle per perse. Quel difetto di delega va sistemato.

Nell’introduzione all’edizione italiana di Asylums, Franco Basaglia scrive: «L’analisi di Goffman parla da sé e non ha bisogno di interpretazioni: con la chiarezza di chi ha individuato ogni risvolto possibile della situazione, ci fa vivere la condizione del diseredato, cui è stato negato il diritto di essere uomo, accomunando in uno stesso destino, colpa, malattia e ogni deviazione dalla norma».

Quale colpa, quale norma?

 

PERSONE è il Coordinamento nazionale contro la discriminazione delle persone con disabilità. Il Coordinamento dischiara di non avere conflitti di interessi, diretti o indiretti, in merito al tema dell’istituzionalizzazione

Per maggiori informazioni: personecoordnazionale@gmail.com e ufficiostampa@personecoordnazionale.it

 

Vedi anche:

Simona Lancioni, È ora di mettere in discussione la stessa idea di istituzionalizzazione, «Informare un’h», 23 giugno 2025.
Simona Lancioni, Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone, «Informare un’h», 20 giugno 2025.
Domenico Massano, “Maltrattamento istituzionale” e violazione dei diritti di persone vulnerabili, «Informare un’h», 18 aprile 2025.
Giampiero Griffo, La istituzionalizzazione in Italia, storia, dati e prospettive, «Informare un’h», 14 febbraio 2025.
Ciro Tarantino (intervista a), Carmela Cioffi (a cura di), Che cosa giustifica ancora il “soggiorno obbligato” delle persone con disabilità?, «Informare un’h», 15 gennaio 2025.
Il soggiorno obbligato. La disabilità fra dispositivi di incapacitazione e strategie di emancipazione, a cura di Ciro Tarantino, Collana: Percorsi, Bologna, il Mulino, 2024, 672 pagine. Il testo è liberamente fruibile a questo link.
Simona Lancioni, Linee guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza, «Informare un’h», 19 settembre 2022.

 

Data di creazione: 24 Giugno 2025

Ultimo aggiornamento il 25 Giugno 2025 da Simona