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Supporti tecnici alle disabilità: le falle di un sistema da ripensare tutti insieme

di Stefania Delendati*

«Le convenzioni stipulate tra le aziende sanitarie e le società che erogano servizi salvavita alle persone che ne hanno bisogno – scrive tra l’altro Stefania Delendati – sono, in base alla mia esperienza, il nodo principale del problema, con responsabilità da entrambe le parti. Gli appalti indetti sono spesso (molto spesso) al ribasso, nel senso che vince chi offre le prestazioni richieste al prezzo più conveniente, quindi capita che si “risparmi” sulla qualità del supporto tecnico fornito agli utenti».

«La continuità assistenziale in aree cruciali per la vita come la respirazione e la nutrizione – scrive Stefania Delendati – è ostacolata dalla burocrazia e un banale disservizio si può trasformare in una potenziale emergenza sanitaria per la persona coinvolta e la sua famiglia».

Le disabilità non vanno in vacanza, non conoscono giorni di festa né orari di riposo, non timbrano il cartellino la mattina e non terminano il turno la sera dopo un’altra timbratura. Sono operative 24 ore su 24, 365 giorni all’anno per le persone che le vivono sulla loro pelle e per i loro familiari. A volte servono gli straordinari, quando c’è un problema improvviso, oppure quando la burocrazia ci mette lo zampino e complica situazioni già di per sé non semplici da gestire.
Alcuni tipi di disabilità richiedono supporti tecnici e macchinari indispensabili per la sopravvivenza, ci sono anche bambini e bambine che ne hanno un bisogno vitale. Si tratta di ventilatori polmonari, bombole di ossigeno, aspiratori, macchine per supportare la tosse, pompe per l’alimentazione enterale, strumenti sofisticati che, come tutte le apparecchiature, oltre a necessitare di materiale di consumo che deve essere periodicamente sostituito, sono soggetti a manutenzione e guasti imprevisti. Solo che non è come quando si rompe la TV o un qualunque elettrodomestico, per questi presìdi medici la soluzione non può essere procrastinata perché in molti casi si tratta di una questione di vita o di morte, letteralmente, senza esagerare.
Siccome ritengo che finché si parla a livello teorico si fatica a comprendere determinate problematiche, scendo un po’ più nel dettaglio parlando di me.

Da oltre 35 anni utilizzo nelle ore notturne un ventilatore polmonare che sopperisce alle apnee a cui sono soggetta a causa della mia patologia genetica che indebolisce tutti i muscoli, compresi quelli respiratori. È un problema comune più di quanto si pensi, e io posso considerarmi fortunata, perché ci sono persone che hanno necessità di ventilazione artificiale in maniera continuativa tutto il giorno e tutta la notte. Ora, tornando a me, se una notte per caso il mio ventilatore smette di funzionare, devo chiamare il numero verde della società che ha vinto l’appalto della mia ASL di appartenenza per l’erogazione di queste forniture, e richiedere l’intervento di un tecnico reperibile. È accaduto, niente di drammatico a parte l’agitazione che m’è venuta, il guasto non era grave, il tecnico ha spiegato come risolvere il disguido al telefono e tutto è andato a posto (sorvolo sulla lunga attesa prima di avere una risposta con ansia annessa, si sa come sono i numeri verdi e quelli legati alla sfera assistenziale non fanno eccezione).
È andata peggio ad una mia amica. I ventilatori hanno una batteria incorporata che si aziona automaticamente se viene a mancare la corrente; queste batterie hanno una “data di scadenza” e, anche se funzionano ancora, alla data impostata danno un segnale di allarme continuativo per ricordare che devono essere sostituite. La mia amica questa cosa non la sapeva, nessuno l’aveva informata, e una notte il suo ventilatore polmonare ha iniziato a suonare senza sosta. Ha telefonato e le hanno detto che era appunto l’allarme della batteria scaduta che è stata cambiata il giorno successivo, non la notte stessa, notte che la mia amica ha trascorso in bianco perché non può dormire senza supporto respiratorio e, non dovendo tenere la ventilazione artificiale per più di 16 ore al giorno, in base agli accordi ASL-ditta fornitrice, come me non ha diritto ad un ventilatore di scorta.

Le convenzioni stipulate tra le aziende sanitarie e le società che erogano questi servizi sono, in base alla mia esperienza, il nodo principale del problema con responsabilità da entrambe le parti. Gli appalti indetti sono spesso (molto spesso) al ribasso, nel senso che vince chi offre le prestazioni richieste al prezzo più conveniente, quindi capita che si “risparmi” sulla qualità del supporto tecnico fornito agli utenti. Così, ad esempio, capita che il materiale di consumo annuale non venga consegnato per intero, oppure si sostituisca con qualcosa di differente, un po’ meno caro, senza dire nulla. A me addirittura era stato detto che un dato materiale non era più in produzione, mi sono informata presso il centro medico che mi segue e ho saputo che veniva ancora prodotto. Ho inviato un’e-mail all’ufficio competente della mia ASL che immagino abbia informato la società fornitrice, dal momento che nel giro di due giorni è arrivato quanto mi occorreva!
Confrontandomi con altre persone ho saputo che in alcune zone il materiale annuale non viene quasi mai consegnato correttamente o per intero ed è quasi sempre necessaria almeno una telefonata per avere quello che serve. Alcuni la fanno questa telefonata, ma possono soltanto perché sono al corrente di quanto gli spetta, in altre parole sanno quali e quanti materiali prevede la convenzione ASL-società fornitrice, e se lo sanno è perché in autonomia si sono informati. Non è infatti previsto che agli utenti venga d’ufficio reso noto a cosa hanno diritto e con quale periodicità, un fatto a mio parere assurdo.
Tra le persone che hanno bisogno di questi presìdi ci sono anche anziani che non hanno dimestichezza con telefoni, e-mail, numeri verdi e non riescono a domandare. Si muovono sulla fiducia e temo che alcuni ci rimettano perché non riescono a far sentire la loro voce, il che è molto triste oltre che ingiusto.
Anche una persona giovane, in alcuni periodi della propria vita, potrebbe non essere in grado di difendere i suoi diritti e dovrebbe sottostare allo stato delle cose, senza poter contare sul sostegno di un sistema organizzato e coordinato che funziona come si deve senza bisogno di solleciti. E c’è anche il non secondario problema della personalizzazione delle forniture, pure questo probabilmente dovuto in parte a ragioni economiche, ma che sottintende ancora il pensiero che a persone con gli stessi problemi equivalgano le medesime necessità, dimenticando che ognuno è diverso dagli altri e questo assioma non cambia in presenza di una disabilità. Se l’appalto prevede tot materiale standard e una persona ha bisogno di qualcosa di leggermente differente perché le sue condizioni lo richiedono, anche se c’è un certificato medico che lo dichiara, è molto difficile ottenere una deroga. Mi era stato prescritto un certo modello di ventilatore polmonare, anni fa, ma quello erogato dalla società in convenzione con la ASL non era adatto alle mie esigenze. Lo specialista pneumologo, dopo avermi fatto provare per un pomeriggio intero la macchina “convenzionata”, ha infine scritto una lettera nella quale dichiarava che per me non andava bene e ne ha richiesto un altro tipo. Penso che questa lettera abbia percorso chilometri tra un ufficio e l’altro, sia passata tra le mani di non so quanti dirigenti prima di avere il nullaosta. Nel frattempo mi sono sentita dire che se quel ventilatore andava bene per altri poteva andare bene anche a me, insinuando che il mio fosse un capriccio e non una necessità certificata da un medico. Potete immaginare la mortificazione di sentirsi trattare in questo modo per una richiesta indispensabile di cui, potendo, si farebbe volentieri a meno, ma la salute non lo permette.
Tutto è bene quel che finisce bene? Mica tanto. Per quel ventilatore extra convenzione non si presentava mai nessun tecnico per la manutenzione ordinaria, prevista due volte all’anno… (altro dettaglio, la cadenza dei controlli dipende dalla convenzione e non tutti gli utenti sanno ogni quanto tempo i tecnici devono testare le apparecchiature, nemmeno viene detto, se non richiesto in maniera esplicita). Mi era stato assicurato che il disguido si sarebbe risolto, finché una notte il ventilatore si è fermato e in sostituzione mi è stato proposto quello che si sapeva non era adatto a me. La faccio breve, ho dovuto minacciare l’intervento di un avvocato e soltanto a quel punto ho risolto. Si è poi appurato che la società fornitrice aveva fatto credere all’ASL di avere effettuato tutte le manutenzioni come da accordi e l’ASL aveva pagato senza battere ciglio, senza una verifica.

Manca dunque un dialogo tra le aziende sanitarie e le aziende fornitrici di presìdi medici, si firma un contratto e si archivia la pratica, ma la complessità della gestione quotidiana a carico delle famiglie non è mai archiviabile, è una pratica sempre aperta sul tavolo. Questo intendevo quando dicevo che vi sono responsabilità da entrambe le parti, da un lato non sempre si trova la dovuta serietà nell’erogazione di servizi essenziali, dall’altra si chiudono gli occhi e si paga con soldi pubblici. Ci tengo a sottolineare questo: soldi pubblici, e quindi di tutti e tutte. E poi al momento del bilancio, per far quadrare i conti si taglia su quegli stessi servizi e altri altrettanto fondamentali.

Mi sono qui concentrata sulla ventilazione artificiale perché è l’àmbito che conosco meglio, però ci sono persone che hanno un bisogno vitale di più ausili e strumenti gestiti da società diverse con cui è necessario interagire con modalità diverse, ognuna ha le sue regole, le proprie modalità operative e tempistiche che in caso di malfunzionamenti o errori non sono rapide come dovrebbero.
La continuità assistenziale in aree cruciali per la vita come la respirazione e la nutrizione è ostacolata dalla burocrazia e un banale disservizio si può trasformare in una potenziale emergenza sanitaria per la persona coinvolta e la sua famiglia. Mi è stato detto che dobbiamo “alzare la voce”, “chiamare i carabinieri”, “fare casino”. Per forza, dico io, nel momento dell’SOS, se nessuno ci ascolta con le buone, bisogna indossare la mimetica e passare alle “maniere forti”. Però non è giusto, non è giusto ed è enormemente stancante dovere sprecare tempo ed energie per rivendicare ciò che ci spetta, è un surplus di fatica e stress per vite nelle quali è difficile trovare la quadratura del cerchio anche quando fila tutto liscio.
Da alcuni anni non ho più problemi, mi auguro che queste non siano le “ultime parole famose” e che la “tregua” duri il più a lungo possibile! È stata anche fortuna, se non c’è un guasto e se il materiale viene consegnato nei tempi e nei modi corretti, non c’è bisogno di scendere in trincea. Però credo che in parte sia anche dovuto al dialogo che con grande sforzo sono riuscita ad instaurare nei periodi di calma, spiegando le mie esigenze che sono le esigenze di tanti e tante, per tentare nel mio piccolo di mettere alcune pezze in un sistema frammentato e distratto, poco incline all’ascolto.
L’universo degli ausili salvavita e di tutto ciò che vi ruota intorno è ancora purtroppo lasciato troppo di frequente alla buona volontà delle famiglie, è inutile negare che permangano situazioni dove chi di dovere non si assume la responsabilità del proprio delicatissimo lavoro da cui dipende l’esistenza di persone fragili alle quali va garantita continuità e sicurezza.
C’è una pluralità di storie ed esperienze dove ogni storia e ogni esperienza merita attenzione da parte di chi deve tutelare la salute dei cittadini e delle cittadine in base alla nostra Costituzione e, aggiungo, secondo coscienza.

*Direttrice responsabile di «Superando.it», il portale promosso dalla FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie, già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), sul quale il testo che viene qui ripreso, con lievi adattamenti al diverso contesto, e per gentile concessione, è già stato pubblicato.

 

Vedi anche:

Intervista a Marco Rasconi a cura di Carmela Cioffi, La presa in carico sanitaria: «Non possiamo permetterci che le famiglie restino scoperte», 24 aprile 2025.

 

Ultimo aggiornamento il 2 Maggio 2025 da Simona