Il prossimo 26 settembre si terrà a San Marino un referendum per la depenalizzazione dell’aborto. Il piccolo Stato è infatti uno dei pochi Paesi europei nel quale l’aborto costituisce reato. La campagna referendaria è appena iniziata, ma già sta facendo discutere un manifesto raffigurante un giovane con sindrome di Down e la scritta «Io sono una anomalia, per questo ho meno diritti di te?», predisposto dal comitato per il no “Uno di noi”, ed affisso su tutto il territorio sammarinese. Molte le voci di protesta, anche all’interno del Partito Democratico Cristiano Sammarinese, lo stesso che sostiene il no al referendum.
La Repubblica di San Marino, poco più di 33 mila anime, è uno dei pochi Paesi europei nel quale l’aborto costituisce reato. In specifico si tratta di un reato sanzionato con una pena dai tre ai sei anni di reclusione, sia per la donna che abortisce sia per chi la aiuta, a prescindere dalle ragioni della scelta. La pena si applica anche in caso di stupro, gravi malformazioni fetali e pericolo di vita per la donna, con un “atteggiamento indulgente” per l’aborto «per motivo d’onore» (sanzionato “solo” con una pena detentiva da tre mesi ad un anno), un trattamento riservato alle donne non sposate che considera l’aborto meno grave se il figlio è illegittimo. Questa disposizione, che è stata introdotta nel 1865, è arrivata inalterata sino ai giorni nostri, nonostante l’attuale codice penale risalga al 1974. Stante questa situazione, nel febbraio 2021 l’Unione Donne Sammarinesi ha proposto un quesito referendario volto a depenalizzare l’interruzione volontaria di gravidanza, proponendo disposizioni simili a quelle previste per questa materia nella Legge 194/1978 dello Stato italiano. Un quesito che il collegio garante della costituzionalità ha dichiarato ammissibile lo scorso 15 marzo, e che verrà sottoposto a votazione referendaria il prossimo 26 settembre.
Questo il testo del quesito: «Volete che sia consentito alla donna di interrompere volontariamente la gravidanza entro la dodicesima settimana di gestazione, e anche successivamente se vi sia pericolo per la vita della donna o se vi siano anomalie e malformazioni del feto che comportino grave rischio per la salute fisica o psicologica della donna?».
È normale e legittimo che, soprattutto su temi di rilevanza etica, ci siano posizioni diverse. Se non ci fossero posizioni diverse non sarebbe necessario fare un referendum. Ma ciò che segna lo spartiacque tra ciò che è legittimo e ciò che non lo è, spesso risiede nelle modalità con le quali viene condotto il confronto pubblico. Sotto questo profilo è esemplare la scelta operata dal comitato per il no “Uno di noi” di affiggere su tutto il territorio sammarinese un manifesto raffigurante un giovane con sindrome di Down e la scritta «Io sono una anomalia, per questo ho meno diritti di te?».
Com’era prevedibile le reazioni sono state tante, e Facebook ha offerto a persone comuni e ad esponenti della politica la possibilità di esprimere il proprio dissenso. Tra questi ultimi anche Teodoro Lonferini, Segretario di Stato per il Lavoro, che, pur essendo esponente del PDCS (Partito Democratico Cristiano Sammarinese), il partito che sostiene il no al referendum, ha scritto sul proprio profilo: «La strumentalizzazione di questo messaggio è totalmente inopportuna e ne prendo completamente le distanze! Io sono per i momenti referendari e di confronto su temi così delicati e fondamentali per una comunità come la nostra e per tante ragioni sono anche il tutore di determinati principi non negoziabili, ma non con questi mezzucci. Io dico SI alla vita ma No a questi strumenti». Parla di «manifesto di una insensibilità pazzesca» Alice Mina, consigliera del PDCS, mentre Francesca Civerchia, dello stesso partito, riflette sull’immagine del ragazzo con sindrome di Down ritratto sul manifesto: «Questo è un bimbo come tutti gli altri. E come ogni bimbo non deve essere usato, per nessuna ragione».
«Il 26 settembre non si va a scegliere se consentire o meno l’aborto – scrivono sempre sui social, dal comitato “Uno di noi” – si va a scegliere se poter avere nove mesi di tempo per farlo in caso di ‘anomalie’. Noi diciamo no». Di analogo tenore le dichiarazioni di don Marco Scandelli, parroco di Borgo Maggiore, in risposta alle centinaia di messaggi di sammarinesi indignati: «Anomalia. Parola che se la si usa in un quesito a favore dell’aborto, nessuno si indigna. Se la si usa in modo polemico per sottolinearne l’assurdità in un manifesto a favore della vita e della inclusione, tutti a dire: “che schifo”. Il mondo gira proprio al rovescio».
Molto dura la replica dell’Unione Donne Sammarinese promotrice del referendum: «Crediamo che il mondo della disabilità non meriti, nel modo più assoluto, la strumentalizzazione che la nostra controparte sta facendo. Ci sono tanti modi per esprimere il proprio pensiero senza mettere di mezzo immagini di minori, famiglie e slogan che offendono la dignità e l’intelligenza. Ci fermiamo qui».
Ovviamente anche l’associazionismo delle persone con disabilità ha preso posizione. «Credo proprio che ci muoveremo anche nelle sedi opportune – scrive Barbara Frisoni, presidente degli Special Olympics San Marino – Al di là di ciò che ognuno di noi deciderà di votare, sono schifata e delusa. Quel manifesto è puramente strumentale, di cattivo gusto e butta nel bidone il lavoro che noi facciamo da decenni, perché la nostra mission è proprio fare in modo che persone con disabilità non si sentano né diverse, né persone anomale». Ma il dissenso arriva anche dalla base, con la madre di una persona con sindrome di Down che invita a togliere i manifesti perché contengono «un bruttissimo messaggio. Ci fa tornare indietro, ci toglie tutto il lavoro che abbiamo fatto, non solo alle famiglie ma a tutte le associazioni e federazioni che tanto hanno fatto».
Molti anche i commenti dai partiti favorevoli al referendum. Paolo Rondelli, presidente del movimento Rete, definisce il manifesto «disgustoso», Matteo Zeppa, suo collega, osserva che l’immagine è «di una crudeltà indicibile», mentre Daniela Giannoni, altra esponente del movimento, si rivolge agli autori del manifesto: «Dovreste vergognarvi per aver strumentalizzato la disabilità, dovreste vergognarvi per le falsità che dite nei vostri messaggi (mai e poi mai si potrà abortire al nono mese)». Matteo Rossi, di NPR (Noi Per la Repubblica), ritiene che «le immagini raccapriccianti utilizzate a supporto della campagna referendaria contro la depenalizzazione dell’aborto e contro l’interruzione volontaria di gravidanza, che da ieri hanno infestato le nostre piazze, resteranno nella memoria del Paese come il più grande atto di inciviltà che si sia mai visto in Repubblica dai tempi dell’inquisizione, della messa al rogo delle donne, della caccia alle streghe, serve del demonio. Cosa che tra l’altro da noi non è mai avvenuta. Mai viste da noi queste bestialità». Dalibor Riccardi, di Libera, esprime il proprio «sdegno, augurandomi che venga rimosso quanto prima dalle nostre strade perché il nostro Paese merita di più. Vergogna». Anche Rossano Fabbri, consigliere indipendente, ha voluto dire la sua chiedendo di «rimuovere questa aberrazione», ed invitando a chiarire «agli ideatori della puerile iniziativa il confine della decenza e del rispetto degli altri, specialmente se soggetti più deboli».
Ciò che segna lo spartiacque tra ciò che è legittimo e ciò che non lo è, spesso risiede nelle modalità con le quali viene condotto il confronto pubblico, dicevamo. Se persino diversi esponenti del partito che sostiene il no al referendum ha manifestato indignazione per l’immagine ed il messaggio del manifesto elaborato dal comitato “Uno di noi”, evidentemente il confine della legittimità è stato abbondantemente superato, riuscendo peraltro nella “bella impresa” di offendere contemporaneamente sia le persone con sindrome di Down, sia le donne. (Simona Lancioni)
Ultimo aggiornamento il 13 Settembre 2021 da Simona