La Boston Consulting Group, una società di consulenza globale, ha recentemente pubblicato i risultati di un importante sondaggio sui lavoratori e le lavoratrici con disabilità, che ha coinvolto quasi 28.000 dipendenti di 16 Paesi, tra i quali l’Italia. Da esso risulta che molti/e dipendenti con disabilità – quando hanno una disabilità non immediatamente evidente – non informano i propri datori di lavoro per timore di venire discriminati/e.
La Boston Consulting Group (BCG), una società di consulenza globale che collabora con i/le leader del mondo degli affari e della società, ha recentemente pubblicato i risultati di un importante sondaggio sui lavoratori e le lavoratrici con disabilità. Lo studio si intitola “Your Workforce Includes People with Disabilities. Does Your People Strategy?” (La tua forza lavoro include persone con disabilità. Hai una strategia per queste persone?), ed è stato svolto nel 2022. Si tratta di un’importante indagine condotta su quasi 28.000 dipendenti di 16 Paesi: Australia, Brasile, Cina, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, India, Italia, Giappone, Norvegia, Sud Africa, Spagna, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti.
Questi alcuni dei dati più significativi emersi dallo studio. La maggior parte delle organizzazioni del campione afferma che la propria forza lavoro comprende relativamente poche persone con disabilità: solo dal 4% al 7%, ma dal sondaggio risulta che circa il 25% delle persone ha affermato di avere una disabilità o una condizione di salute che limita un’importante attività della vita.
La differenza tra i dati forniti dai datori di lavoro e i tassi di autoidentificazione dei lavoratori e delle lavoratrici come persone con disabilità rivela che molti/e dipendenti con disabilità – quando hanno una disabilità non immediatamente evidente – non la rivelano ai propri datori di lavoro, forse temendo lo stigma o un impatto negativo sulla loro sicurezza lavorativa o sulle prospettive di promozione. La circostanza che i datori di lavoro siano poco informati sulla reale situazione dei/delle loro dipendenti con disabilità incide negativamente sulla possibilità di promuovere politiche mirate per loro.
Nella realizzazione del sondaggio BCG ha usato un particolare indice che misura il senso di inclusione dei/delle dipendenti, e fornisce una finestra quantitativa per comprendere l’attuale esperienza lavorativa dei/delle dipendenti con disabilità. Questo indice si chiama BLISS, un acronimo che sta per Bias-Free, Leadership, Inclusion, Safety e Support, e fornisce un punteggio unico e completo che riflette i sentimenti di inclusione delle unità del campione. I punteggi vanno da 1 a 100 e si basano su rigorosi modelli statistici.
Il concetto di inclusione utilizzato nel sondaggio fa riferimento al sentirsi apprezzati e rispettati, al credere che le proprie prospettive contino, al sentirsi felici e motivati, allo sviluppo del senso di appartenenza, al sentire che il proprio benessere mentale e fisico sia supportato e sia importante. «Se fatta bene, l’inclusione cambia positivamente l’esperienza sul posto di lavoro, e non solo per i gruppi emarginati: le culture inclusive vanno a vantaggio di tutti i dipendenti», si legge nel rapporto. Ma la situazione delle persone con disabilità risulta deludente. Infatti il loro punteggio medio dell’indice BLISS è di 3 punti inferiore al punteggio medio per coloro che non hanno disabilità o particolari condizioni di salute. Questi risultati sono stati riscontrati in tutti i Paesi che hanno partecipato alla ricerca. A ciò si aggiunga che i punteggi delle persone con disabilità sono anche da 1 a 2 punti inferiori rispetto a quelli di altri gruppi di dipendenti esposti a discriminazione: donne, comunità LGBTQ (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali, Queer), persone nere, ecc.
Lo studio ha inoltre rilevato che le persone con disabilità hanno un’esperienza lavorativa più negativa: esse hanno 6 punti percentuali in meno di probabilità rispetto ai dipendenti non disabili di dichiararsi felici sul lavoro, ed hanno quasi 15 punti percentuali in più di probabilità di affermare che il lavoro ha un impatto negativo sul loro benessere mentale e fisico e sui loro rapporti con amici e familiari. A ciò si aggiunga che hanno una probabilità di 1,5 volte maggiore di subire discriminazioni nella propria organizzazione rispetto a coloro che non presentano disabilità o particolari condizioni di salute.
Secondo gli autori e le autrici dello studio i dati mostrano che le organizzazioni possono promuovere maggiori sentimenti di inclusione per le persone con disabilità investendo in politiche e programmi incentrati sui dipendenti con disabilità, offrendo loro il supporto del tutoraggio, e rendendo accessibili gli ambienti di lavoro attraverso accomodamenti ragionevoli (ad esempio, con attrezzature o software particolari, modalità di lavoro flessibili o adeguamenti del loro ambiente fisico).
In relazione a tale studio, il portale «Disabili.com» fornisce alcuni dati disaggregati relativi all’Italia: «Nel nostro Paese, i dipendenti intervistati che riportano una disabilità o una condizione di salute cronica sono il 21% (su un campione di 1.446 intervistati). Di questi, il 46% dichiara di non aver rivelato la propria disabilità sul posto di lavoro per timore di discriminazioni e pregiudizi, mentre il 43% che ha avuto il coraggio di farlo, invece, afferma di aver subito discriminazioni». Il portale riferisce anche che i dati dell’Italia sono in linea con quelli del sondaggio rispetto all’Indice BLISS, infatti il nostro Paese ha riportato «2.8 punti in meno nell’indice BLISS per le persone con disabilità, per le quali la probabilità di aver vissuto situazioni di discriminazione sale all’1,8%». (Simona Lancioni)
Ultimo aggiornamento il 21 Settembre 2023 da Simona