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Progettare una Vita Indipendente, indipendentemente dalla disabilità

di Stefania Stellino*

Il confronto pubblico in tema di istituzionalizzazione continua con questo contributo in cui Stefania Stellino, presidente dell’ANGSA Lazio (Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo del Lazio), chiede spiegazioni a Simona Lancioni, per averla chiamata direttamente in causa in un suo precedente scritto. Lancioni, nella sua replica (pubblicata in calce), si scusa per aver erroneamente concluso che le gravi esternazioni espresse, nei giorni scorsi, dal presidente nazionale dell’ANGSA, Giovanni Marino, fossero condivise dalle articolazioni della medesima Associazione.  

Una persona in piedi, al termine di un pontile su un lago, guarda le montagne circostanti parzialmente coperte di nebbia (foto di Gabriela Palai su Pexels).

Prima di tutto, ci tengo a specificare che questa è una replica a nome mio, non come rappresentante “ANGSA”, ma come presidente di ANGSA Lazio [Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo, N.d.R.], Associazione con il suo Statuto ed il suo bagaglio di esperienze e competenze riconosciute non solo a livello regionale.

Leggo davvero con tristezza, nel post della signora Lancioni [si riferisce al testo di Simona Lancioni, La deistituzionalizzazione e il suono delle libertà fondamentali pubblicato sul sito di «Informare un’h» l’11 luglio 2025, N.d.R.], l’affermazione che «non avrei saputo» rispondere alle sue richieste, per altro non rivolte direttamente a me. Ho ben specificato nel mio articolo (chi non lo avesse letto, lo faccia, per farsi una opinione con cognizione di causa) che era mia intenzione «rispondere, di getto, in una sorta di flusso di coscienza, da genitore, non tanto alle domande incalzanti […] di Lancioni, quanto alla mancanza di empatia nel testo» [si riferisce al testo Le sofferenze delle famiglie raccontate senza tabù, al di là degli articoli e dei commi, pubblicato su «Superando» il 1° luglio 2025, N.d.R.]. Ho chiaramente scritto di voler dare una testimonianza della quotidianità di una famiglia che “vive l’autismo”, nell’intento di riempire di emozioni quell’articolo. Molti hanno compreso il mio intento, ma evidentemente non tutti.

Quel «non ha saputo rispondere» pesa come un macigno per chi ha fatto della sua ragione di vita, da ormai 20 anni, la tutela della dignità della persona con disabilità, e nello specifico della persona autistica, e della personalizzazione di qualsiasi intervento, proponendo percorsi non rigidi e predefiniti, ma adattati su quanto la singola persona riesce a comunicare (quale che sia il suo canale comunicativo) di voler fare e desiderare, ribadendo in ogni consesso e contesto la necessità di cambiare prospettiva di visione, partire non dai servizi che ci sono, ma ‘cercare’ di costruire quei servizi che rientrano nella sfera degli interessi della singola persona, sperando così di poter veramente affermare di progettare con la persona, perché, diversamente, si continuerà a cercare di normalizzare le differenze e di imporre il nostro modo di pensare e soprattutto di far piacere a tutti quello che c’è, senza considerare l’effettiva volontà della persona.

Ancor più quel «state difendendo a spada tratta la pratica dell’istituzionalizzazione» evidenzia come non si conosce la mia storia e quella dell’Associazione che rappresento. Dove e quando avrei difeso a spada tratta l’istituzionalizzazione?

Già nel 2014, scrivevo un pezzo, intitolato “Insieme, per una vita indipendente… dalla disabilità” [il testo è disponibile a questo link, N.d.R.], dopo la cronaca della Giornata Europea della Vita Indipendente, il 5 maggio, promossa dall’ENIL (European Networtk on Independent Living), in collaborazione con l’EDF (European Disability Forum) e l’EFC (European Foundation Centre), allo scopo di «sensibilizzare la collettività sul superamento dell’assistenzialismo» e soprattutto per fugare lo spettro del ritorno all’istituzionalizzazione in violazione dell’ articolo 19 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. La conclusione dell’articolo, che ricopio integralmente è, a distanza di 11 anni, di una incredibile attualità oltre che indice di coerenza e chiarezza di pensiero:

«Questa la cronaca di una giornata in cui come al solito le Istituzioni si sono schierate dalla parte della disabilità, inneggiando al “Nulla su di Voi, senza di Voi” e rimarcando il ruolo fondamentale di un fronte unito della Disabilità, con la D maiuscola, che non frammenti le richieste e le istanze, rischiando di vanificare quel poco che si fa – o si tenta di fare -, impegnandosi, infine, a modificare, rivedere, ridistribuire.
Poi, però, la realtà ci manifesta altro: le testimonianze di vita di persone con disabilità che ogni giorno devono affrontare le barriere strutturali e mentali che ancora nel 2014 impediscono di fatto quell’inclusività sociale brandita come vessillo.
Si pensi alle testimonianze lette con pathos dagli attori Olimpia Ferrara e Massimiliano Cutrera, fra un intervento e l’altro dell’incontro: il dover “mendicare” la sopravvivenza, in uno stato di semiabbandono; l’attesa “beckettiana” della certezza del bonifico dell’assistenza indiretta; il non poter scegliere da chi farsi lavare; la denuncia di tirocini lavorativi che sanno di presa in giro; il dover combattere ogni giorno con una società falsamente inclusiva, dove anche l’attraversare una strada può rivelarsi un’ impresa; l’amarezza del non riuscirsi a spiegare perché si sia sempre pronti «a finanziare la morte […] a discapito della vita!!!».

Ancora oggi, a distanza di quattordici anni, vi è un articolo della citata Legge Quadro 328/00 assolutamente disatteso, l’articolo 14 che prevede «il progetto individuale per la persona disabile». Ancora oggi si è costretti a difendere dei diritti, spesso visti come dei bisogni, dei privilegi, dei “regali”. Ancora oggi c’è chi è costretto ad umilianti visite di revisione all’INPS, per difendere il proprio status.

Ben venga, quindi, la determinazione e la “rabbia” (mi si passi il termine, nell’accezione migliore) di giovani Consiglieri Comunali che vogliono fare “indipendentemente da”: l’importante, però, è passare dalle parole ai fatti, quelli concreti, tangibili, fruibili. E la Convenzione ONU spiana la strada al diritto a vivere indipendentemente dalla Disabilità, a non essere relegati nell’assistenzialismo, anticamera di quell’istituzionalizzazione tanto combattuta nel passato, che adesso si ripresenta come uno spettro per tante, troppe persone e famiglie.

Allora è ora di finirla con i particolarismi, con le divisioni, con i privilegi di pochi che indeboliscono ancora di più il mondo della Disabilità. Si chiede al mondo di includere le diversità e poi sono le stesse diversità a diversificarsi, in una guerra fra poveri che non porta da nessuna parte se non a disorientare le Istituzioni, a disperdere risorse e a sprecare tempo prezioso: insieme, dunque, per poter vivere una vita indipendente dalla Disabilità!»

C’è tutto, qui. Tutto quello in cui crediamo:

No all’assistenzialismo.
No all’istituzionalizzazione come unica risposta.
No alla differenziazione tra disabilità.
Si alla vita indipendente personalizzata e partecipata.

Lo scrivevo nel 2014, lo ribadisco (per chi ancora non ha compreso la nostra posizione) anche ora.
E lo ripeto da anni in ogni mia formazione o interlocuzione con le istituzioni.

Si possono trovare in rete gli interventi pubblicati: per tutti questo Dalla diagnosi al progetto di vita: il dopo si costruisce durante noi! (disponibile su YouTube a questo link) vi invito a guardarlo ed ascoltarlo.

Tutto tracciato, tutto scritto, e soprattutto tutto pubblico. Basta cercare in rete…

E sia ben chiaro, sto replicando solo per dovere nei confronti delle tante tantissime famiglie che si riconoscono nei principi etici di ANGSA Lazio.

Inoltre, rispetto ai presunti conflitti di interesse insinuati, per cui chiedo alla signora Lancioni una ritrattazione di quanto affermato e, in questo caso, con le scuse, invito ancora una volta a verificare in rete se tali affermazioni hanno qualche fondamento. Perché una delle cose che odio di più è che si metta in discussione la mia integrità morale.

Avevo scritto chiaramente, rispetto alla proposta di scegliere e rinchiudere Daniel [il figlio con autismo della Signora Stellino, N.d.R.] da parte della UVM [Unità di Valutazione Multidisciplinare, N.d.R.], che l’unica risposta per me possibile fosse la necessità di cambiare prospettiva, di progettare insieme un gruppo appartamento come obiettivo finale e nel frattempo lavorare con Daniel sulle autonomie per una indipendenza sempre maggiore e di mettere a terra la normativa; di comprendere che il budget di salute/progetto è un’opportunità per ottimizzare e organizzare le risorse e per realizzare veramente l’integrazione sociosanitaria ricamata sulla persona e non per la persona, essendo un modello dinamico e flessibile e personalizzato che risponde alle necessità ed ai desideri e volontà del singolo, assicurando alla persona una qualità di vita dignitosa. Continuavo dicendo: «da parte mia, sto facendo il possibile (e l’impossibile) per poter esigere il diritto a vivere una vita dignitosa da parte di Daniel e Nicole [la figlia con autismo della Signora Stellino, N.d.R.], ma anche delle persone autistiche che afferiscono alla nostra Associazione ANGSA Lazio: per esempio la formazione anche per diventare RAP (Referente per l’Attuazione del Progetto di Vita), ai sensi dell’articolo 29 del Decreto Legislativo 62/2024».

Alla luce di quanto ho scritto finora, come può solo sorgere il dubbio che difenda a spada tratta l’istituzionalizzazione? E soprattutto, su cosa basano le allusioni che io possa essere gestore di una RSA [residenze sanitarie assistite, N.d.R.] o similari e quindi avere un conflitto di interessi? 

Unico conflitto di interesse che posso avere, è quello di occuparmi di autismo e della tutela di tutte le persone autistiche come rappresentante di ANGSA Lazio essendo anche mamma di due figli nello spettro. Ogni giorno mi impegno per essere un punto di riferimento per le famiglie, per ascoltare, rispondere e spesso risolvere problematiche sul fronte della scuola dei servizi o del lavoro, per proporre azioni che migliorino la vita delle persone con autismo alle istituzioni, per organizzare formazione, sensibilizzazioni, attività, senza guadagnare un centesimo e, a dirla tutta, dovendo anche subire i rimproveri di mio marito perché sottraggo tempo alla famiglia per gli altri. Quindi è ancor più doloroso per me ricevere accuse gratuite e prive di fondamento.

Noi di ANGSA LAZIO non ci limitiamo alla “teoria”: proviamo ogni giorno a dimostrare che anche la disabilità più complessa può essere ridotta agendo sul contesto, offrendo un modello costruito, ricamato su ogni persona, che respira con essa, modificabile come e quando occorre seguendo la crescita e lo sviluppo della persona. Lavoro lungo, complicato, sfidante che i professionisti di GiuliaParla (con cui collaboriamo), che seguono le ragazze ed i ragazzi della nostra Scuola Superiore di AUTonomia, sono chiamati ogni giorno a “reinventare”.

Prima di dar spazio ad altre possibili fantasiose interpretazioni, ci tengo a precisare che il nostro non è un “centro diurno” (nell’accezione negativa che eventualmente si potrebbe dare al termine) e che ANGSA Lazio non guadagna un centesimo dalle famiglie che fanno partecipare i propri cari, anzi ha solo spese legate a utenze, materiali e gestione dell’immobile.

Ma attenzione. Non tutto è bianco o nero. Nel mezzo c’è uno spettro. Ci sono situazioni e situazioni, condizioni e condizioni, interventi e interventi, e scelte da rispettare. La differenza anche in questi casi la fanno le persone. Anche l’ambiente domestico o la stessa scuola, che dovrebbero essere luoghi “sicuri”, possono trasformarsi in luoghi segreganti e abusanti (e parlo con alle spalle una esperienza subita proprio da Daniel con tanto di condanna penale e risarcimento danni). Ma tutto questo merita un capitolo a parte.

Spero di aver chiarito meglio la posizione mia e dell’associazione, ANGSA Lazio, che rappresento. Di sicuro non spenderò altro tempo per dimostrare quello che la mia storia e il mio impegno quotidiano dimostrano.

Spero inoltre che in futuro ognuno possa esprimere le proprie legittime opinioni senza che sia messa in discussione l’onorabilità di chi, magari con tutti i limiti possibili, lavora per migliorare la qualità della vita delle persone nello spettro dell’autismo.

 

* Presidente dell’ANGSA Lazio – Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo del Lazio.

 

Replica di Simona Lancioni, responsabile del Centro Informare un’h

Gentilissima Stefania Stellino, la ringrazio molto per questo scritto di chiarimento, e mi scuso senza indugio per le domande che le ho rivolto pubblicamente. Non sono scuse formali, sono sentite, e lo voglio esplicitare. Ho creduto – a questo punto erroneamente – che le articolazioni dell’ANGSA Nazionale condividessero la linea politica espressa da Giovanni Marino nello scritto, pubblicato in qualità di presidente nazionale dell’ANGSA, Le residenze non sono istituti, ma modelli abitativi progettati a misura dei bisogni assistenziali delle persone (ospitato sulla testata «Superando», il 9 luglio 2025). In esso Marino, pur senza nominarmi in quello specifico passaggio (mi nomina più avanti), invita a guardarmi con sospetto. Scrive infatti: «la posizione di chi scrive di non conoscere questa forma di disabilità e i suoi bisogni complessi può creare qualche legittimo sospetto». E poiché anche lei, Stellino, nel suo testo Le sofferenze delle famiglie raccontate senza tabù, al di là degli articoli e dei commi (pubblicato su «Superando» il 1° luglio 2025), si era rivolta a me con un registro delegittimante**, ho concluso che questa fosse la modalità di confronto della vostra Associazione. Dunque è solo questo il motivo per il quale mi sono permessa di chiamarla in causa. Le mie erano considerazioni politiche (non personali) funzionali a promuovere la causa della deistituzionalizzazione.

Nel suo scritto Marino difende la pratica dell’istituzionalizzazione affermando già dal titolo che Le residenze non sono istituti, ma modelli abitativi progettati a misura dei bisogni assistenziali delle persone, come se bastasse cambiare nome alle strutture per essere in linea con la Convenzione ONU; parla del Progetto di Vita come di un «fogliettino scritto dallo stesso beneficiario» attraverso il quale «i più furbi, i più informati e (forse) i più spregiudicati portano a casa un mensile superiore allo stipendio di un medico primario ospedaliero»; scrive che la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità «è una legge sovranazionale, ma non è il Vangelo. E ritengo sia una stupidaggine anche la definizione di disabilità come “conseguenza di ostacoli o barriere che la società contrappone”». Tutte affermazioni gravissime.

Se le articolazioni dell’ANGSA non prenderanno le distanze da questa posizione politica, come l’ANGSA Lazio ha fatto con questo scritto, la conseguenza è che tutti e tutte possono incorrere in questo errore, perché Marino non ha scritto a titolo personale, ma in qualità di presidente nazionale dell’ANGSA. Dunque sono felice di scoprire che esiste un’ANGSA diversa, quella che lei mi mostra e che a me piace. Vi invito, nell’interesse della vostra Associazione, a chiarire pubblicamente questo equivoco, e vi esorto ancora una volta ad unirvi al Centro Informare un’h nel rivendicare la promozione della deistituzionalizzazione e lo stop all’istituzionalizzazione. Mi farebbe davvero un piacere avervi al nostro fianco in questo sogno di libertà. Mi scuso ancora se, comprensibilmente, le mie parole l’hanno ferita. Auguro a lei ed ai suoi Cari ogni bene.

 

** Nel testo lei parla di me in questo termini: una che «pensa di avere la verità in tasca e parla per slogan o in punta di normative, in contesti non sempre pertinenti»; una «che vive la sua realtà […], ma non quella di tante famiglie “autistiche” e sicuramente non la mia»; una che fa domande incalzanti ed anche un po’ pretestuose in un testo – Quali fondamenti giuridici avrebbe l’istituzionalizzazione? del 25 giugno 2025 – privo di empatia; una che pensa «di comprendere la vita di una famiglia con una persona autistica» senza vivere quell’esperienza; una che giudica «situazioni al limite dell’immaginazione, senza sapere».

 

Nota: il Centro Informare un’h è impegnato nel rivendicare la promozione della deistituzionalizzazione e lo stop all’istituzionalizzazione. Temi su cui si è avviato un confronto pubblico. In calce alla pagina Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone (in aggiornamento) sono segnalati i contributi che di volta in volta si stanno susseguendo. 

 

Ultimo aggiornamento il 16 Luglio 2025 da Simona