di Simonetta Cormaci
Abbiamo già avuto modo di conoscere Simonetta Cormaci qualche tempo fa, lo scorso novembre, quando gentilmente accettò di farsi intervistare. Ben volentieri torniamo a darle spazio per raccontare una vicenda che ha vissuto di recente ed in cui la sua cecità è stata motivo di discriminazione.
Vorrei rendere nota una vicenda che ho vissuto di recente e in cui la mia cecità è stata motivo fondamentale nella conclusione poco piacevole.
Nel 2016 attivo un conto in rete con Banca Popolare Etica (BPE) avendo valutato diversi aspetti per me importantissimi: 1) un conto on line che mi avrebbe liberato da tutto il materiale cartaceo difficilmente consultabile in piena autonomia; 2) un conseguenziale risparmio di tanta carta (in difesa dell’ambiente che mi sta molto a cuore); 3) la visione/missione di BPE che conoscevo già da tempo, in quanto io stessa impegnata da anni nella difesa dei diritti umani e che volevo condividere; 4) il valore aggiunto che ogni conto corrente, contrattualmente, sostiene in quota Medici senza Frontiere ONG da me stimatissima e di cui sono sostenitrice permanente.
La sorpresa si manifesta non appena mi vengono fornite le credenziali di accesso per l’inbanking e scopro che quella parte del sito per gestire il conto non è accessibile, ovvero non è navigabile con lo screenreader [letteralmente: lettore di schermo, N.d.R.], software indispensabile ai non vedenti che usano il PC. Informati i referenti locali e nazionali, con qualche difficoltà, mi accreditano all’utilizzo di un ambiente del sito che consente pochissime operazioni, tra cui non figura per esempio la possibilità di accedere a documenti quali gli estratti conto trimestrali in formato digitale. A questo si aggiunge anche un altro problema, ovvero il reperimento di un token parlante [dispositivo necessario per effettuare un’autenticazione, N.d.R.], dovuto al fatto che apparentemente non avevano mai ricevuto richieste simili da clienti ciechi. Sicuramente trovo molta disponibilità umana, ma scarsissima comprensione degli aspetti tecnici. Superando disappunto e frustrazione personali cerco di collaborare al massimo, fornendo informazioni, documenti esplicativi e anche il protocollo tra l’ABI (Associazione Bancaria Italiana) e l’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), in materia di facilitazione dei clienti ciechi e ipovedenti in tutti gli istituti bancari.
Nel contempo ricevo e firmo una quantità di documenti cartacei che mi meraviglia e di cui eccepisco con il Banchiere ambulante (figura che facilita i clienti BPE sui territori in cui non esistono filiali). Con tali limitazioni, ma la buona disponibilità del Banchiere ambulante e del personale, procedo per tutto il 2017 e addirittura decido di acquistare un pacchetto di azioni proprio per la mia stima e fiducia verso questo istituto. Purtroppo, però, ai primi di dicembre viene attivato il nuovo sito di BPE e scopro con grande disturbo che l‘ambiente per l’inbanking adesso è totalmente inaccessibile per me.
Contrariata e incredula di fronte alla constatazione che nessuno abbia pensato all’accessibilità del sito (visto che da oltre un anno ormai avevano l’esperienza di almeno una cliente cieca), aspetto qualche tempo prima di affrontare il funzionario nazionale per i servizi informatici e il Banchiere ambulante. Ritengo la questione gravissima e discriminatoria e li invito a operare tempestivamente correttivi affinché possa riprendere a utilizzare la mia area riservata. Eccetto qualche blanda assicurazione di intervento non ottengo alcun risultato e a fine gennaio 2018 metto in contatto il funzionario della banca con il referente del gruppo OSI (Osservatorio sui Siti Internet) dell’UICI nazionale. Quest’ultimo si mette a disposizione sia con Banca Etica fornendo dettagli tecnici sulle pagine web, sia con me accompagnandomi in svariate prove con diversi screenreader e contemporaneamente segnalando il tutto all’ABI con la quale l’associazione collabora da molti anni proprio per risolvere alla fonte tutti gli aspetti tecnici che possano creare difficoltà a noi disabili visivi.
Passano i giorni, io come è facile immaginare sono alquanto disturbata dalla vicenda e impossibilitata ad agire sul mio conto in autonomia, con grandissima frustrazione. Nonostante la pressione su tutte le figure di riferimento (funzionari della banca, referente OSI e ABI) non riscontro alcun miglioramento e arriviamo a maggio c.a. quando mi trovo costretta a decidere di chiudere il conto vista l’impossibilità di gestirlo in autonomia e libertà. La mia comunicazione via pec parte il 22 maggio e la chiusura definitiva del conto (prevista dai loro documenti informativi in quindici giorni) si conclude solo a fine luglio e tutto ciò senza una parola di scuse – se non dal Banchiere ambulante – né alcuna dichiarazione di impegni tale che io possa riesaminare la mia decisione… come a dire: non siamo interessati ai disabili e neppure al loro denaro.
Ironia della vicenda, nell’ultima newsletter che continuano a inviarmi c’è la notizia di un progetto che BPE sta sponsorizzando e cioè una app in grado di individuare tutti i sentieri montani accessibili.
Da cliente ritengo di aver subito un trattamento discriminatorio e superficiale; aggiungo che – a mia conoscenza – quando si accende un conto presso qualunque istituto bancario non è possibile fare un test preventivo di accessibilità sull’homebanking e dunque non si può sapere se l’area riservata di un sito sia accessibile.
Mio malgrado e con grande disappunto ho dovuto constatare la differenza tra i valori proclamati da BPE e la realtà della prassi. Preciso che non sono interessata ad avviare richieste di risarcimento, in quel caso avrei agito per vie legali. Ritengo piuttosto che rendere nota la mia vicenda sia doveroso e utile: prima di tutto per farla conoscere ad altri disabili visivi affinché non incorrano negli stessi problemi; e poi perché confido che a vari livelli di interlocuzione si possa intervenire affinché tutti gli istituti di credito garantiscano ai clienti disabili facilitazione e massima accessibilità nella gestione dei propri conti (e mi consta che già alcune banche siano attrezzate). La nostra Costituzione, la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, la Dichiarazione universale dei diritti umani, le leggi italiane di ratifica dei predetti trattati riconoscono la piena e pari dignità e facoltà di autodeterminazione delle persone con handicap. Confido che questi nobili trattati e leggi in cui mi riconosco siano rispettati e messi in pratica dal momento che abbiamo già esempi virtuosi. Spero che anche le associazioni di categoria, che già attivamente operano a stretto contatto e siedono ai tavoli tecnici, non smettano la importante funzione di aiuto, controllo e supporto. Confido che le critiche costruttive servano sempre a migliorare le condizioni future di tante altre persone.
Una cultura dell’handicap più diffusa, in conclusione, risolverebbe alla base molti problemi di noi disabili, ridurrebbe il conflitto sociale, renderebbe migliori tanti aspetti della nostra vita di cittadine e cittadini.
Vedi anche:
Intervista a Simonetta Cormaci a cura di Simona Lancioni, Il primo consenso è quello che parte da noi stesse, «Informare un’h», 16 novembre 2017.
Ultimo aggiornamento: 5 settembre 2018