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La violenza attuata nelle strutture non è una questione di “mele marce”, è l’intero sistema che segrega e confina

del Gruppo intersezionalità del Movimento antiabilista

«La riflessione sulla violenza di genere a cui sono esposte le donne disabili non può essere slegata da quella sull’abilismo, il patriarcato ed il capitalismo, vale a dire i sistemi oppressivi che confinano e controllano i corpi», osservano dal Movimento antiabilista, che propone una lettura sistemica dell’ultima vicenda di violenza sessuale commessa ai danni di tre donne con disabilità ospitate in una struttura di Cantù (nel comasco). Un approccio a cui fa seguito una proposta politica che prevede anche il coinvolgimento dei movimenti transfemministi e femministi.

«Si preferisce ridurre l’intera questione [della violenza attuata sulle persone con disabilità all’interno delle strutture residenziali] alla “mela marcia”, quando in realtà il problema è l’intero sistema patriarcale, abilista e capitalista che segrega e confina», scrive, tra le altre cose, il Movimento antiabilista (foto di PSRVSKY PI su Pexels).
È delle ultime ore l’ennesimo caso di violenza e abusi all’interno di strutture residenziali in cui vivono persone con disabilità, separate dal resto della comunità. Stavolta il fatto è avvenuto in provincia di Como [si veda: “Orrore in una comunità per disabili: abusi sessuali su tre donne costrette a guardare film hard, arrestato un operatore, «QuiComo», 25 settembre 2025, N.d.R.]. La cronaca riferisce di tre donne disabili ricoverate in una comunità alloggio gestita dalla Fondazione Eleonora e Lidia, a Cantù (località Fecchio), che hanno subito violenze sessuali da parte di un operatore socio-sanitario di 38 anni. L’uomo è stato arrestato ed ora è in custodia cautelare con l’accusa di violenza sessuale pluriaggravata dal ruolo che ricopriva e dall’abuso di potere nei confronti delle persone affidate ai servizi socio-sanitari. Diversi lanci dei media hanno sottolineato l’origine rumena dell’uomo, un dettaglio che noi, come Movimento antibilista, consideriamo irrilevante, ritenendo che questa sottolineatura abbia una connotazione razzista.

L’indagine ha preso avvio da almeno tre denunce presentate dalle ospiti della struttura. Le vittime – di 20, 29 e 48 anni – sono state descritte dai media come “pazienti fragili”, con diagnosi di schizofrenia o “ritardo mentale” (termini scorretti e abilisti), e con disabilità intellettiva.

Gli episodi si sarebbero consumati quando le donne si trovavano sole con il loro aggressore, ad esempio quando venivano accompagnate in bagno o a fumare una sigaretta. Le donne hanno riferito anche che l’uomo avrebbe rivolto loro delle minacce: «Tanto sei disabile, io negherò tutto e non ti crederanno».

La Fondazione Eleonora e Lidia non ha ricevuto alcuna contestazione formale, ma resta il nodo più ampio del contesto segregante che vede queste donne ricoverate in una struttura chiusa, in una situazione di forte dipendenza dagli operatori e con margini ridotti di autodeterminazione. Il fatto che queste tre donne disabili fossero recluse è parte integrante del problema, giacché la stessa reclusione espone alla violenza. La struttura e l’intero sistema della presa in carico dei servizi socio-sanitari devono riconoscere le proprie responsabilità.

Come già detto in altre occasioni, ribadiamo con fermezza che la risposta alle violenze attuate all’interno delle strutture residenziali non è l’installazione di telecamere, che costituirebbero un’ulteriore violazione della privacy delle persone ospitate, senza tuttavia garantire reali condizioni di sicurezza. È invece necessario ripensare l’intero modello di presa in carico, eliminando ogni forma di istituzionalizzazione, perché essa stessa espone alla violenza chi vi è sottoposto, soprattutto se assomma in sé più caratteristiche suscettibili di creare discriminazione, come nel caso delle donne disabili.

I differenti livelli di lettura attraverso cui analizziamo quanto accaduto si intersecano fra loro e partono da alcuni presupposti fondamentali:

  • le donne disabili sono più esposte alla violenza patriarcale e machista rispetto alle donne senza disabilità e agli uomini con disabilità;
  • vivere in strutture residenziali si configura come un fattore che espone queste donne a ulteriori rischi di violenza e abusi;
  • il capitalismo abilista e patriarcale usa la segregazione istituzionale per isolare i molti corpi che considera “improduttivi”, rendendoli, in tal modo, più vulnerabili agli abusi.

Il fenomeno va affrontato in modo complessivo. La riflessione sulla violenza di genere a cui sono esposte le donne disabili non può essere slegata da quella sull’abilismo, il patriarcato ed il capitalismo, vale a dire i sistemi oppressivi che confinano e controllano i corpi.

Queste sono le strade percorribili che noi, come Movimento antiabilista, intravediamo:

è ora che i movimenti transfemministi e femministi italiani si occupino anche della violenza che colpisce le donne disabili. Gli ultimi dati ISTAT sulla violenza di genere che contengono anche dati sulle donne con disabilità risalgono al 2014 [ISTAT, “La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia. Anno 2014”, N.d.R.], ma nei rapporti di ricerca in tema di violenza successivi i dati non sono disaggregati per la disabilità della vittima. E senza dati, i fenomeni vengono resi invisibili. D.i.Re. – Donne in Rete contro la violenza, la Rete che gestisce 113 Centri antiviolenza, ha inserito indicatori sull’accessibilità dei Centri nel suo report annuale con i dati relativi all’attività svolta nell’anno 2024, ma questo non include quelli sull’effettiva presa in carico delle donne disabili, che restano escluse di fatto [il rapporto è disponibile al seguente link, N.d.R.]. Dove finiscono le donne disabili che subiscono violenza e non riescono ad accedere alla rete antiviolenza?

Se le strutture residenziali espongono alla violenza – sistemica, normalizzata e spesso non riconosciuta – perché l’associazionismo istituzionale e chi governa continuano a legittimarle? Noi crediamo che non esistano strutture “buone” o “cattive”: è l’intero modello della residenzialità segregante ed escludente a dover essere urgentemente ripensato.

La violenza che ci restituiscono i casi di cronaca è il risultato di diverse strutture di potere sovrapposte: patriarcato, abilismo e capitalismo. Ma nessuno degli articoli che abbiamo letto ha proposto un’interpretazione dei fatti che mettesse in discussione il sistema di esclusione che le persone disabili subiscono. In tutti i servizi il colpevole viene presentato come l’unico responsabile. Non si analizza il contesto di vita delle donne disabili, né la responsabilità sociale e politica che permette il verificarsi di abusi e violenze. Si preferisce ridurre l’intera questione alla “mela marcia”, quando in realtà il problema è l’intero sistema patriarcale, abilista e capitalista che segrega e confina.

Questi abusi non sono episodi isolati, ma espressioni di un sistema di potere che normalizza la violenza, giustifica il desiderio maschile, sfrutta e oggettifica i corpi delle donne, e confina quelli non considerati produttivi. Un sistema che non protegge, e che – attraverso modelli privi di politiche di prevenzione – espone le persone disabili a rischi ancora maggiori.

Abbiamo bisogno di un sistema che dia strumenti concreti per affrontare e combattere la violenza di genere sulle donne disabili, e di una collettività che si riconosca responsabile.

Vogliamo che i movimenti transfemministi e femministi lottino per sovvertire il sistema anche per le donne disabili, comprendendo che non è possibile separare abilismo, patriarcato e capitalismo.

Tutte le violenze contano.

 

Contatto del Movimento antiabilistamovimentoantiabilista@gmail.com

 

Nota: il Centro Informare un’h è impegnato nel rivendicare la promozione della deistituzionalizzazione e lo stop all’istituzionalizzazione. Un tema su cui si è avviato un confronto pubblico. In calce a questa pagina (in aggiornamento) sono segnalati i contributi che di volta in volta si stanno susseguendo: Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone.

 

Documentazione utilizzata

Servizi antiviolenza preparati ad accogliere donne con disabilità, repertorio a cura di «Informare un’h», 2020-2025.
– D.i.Re. – Donne in Rete contro la violenza, Report annuale 2024, pubblicato nel luglio 2025.
– Simona Lancioni, Il rapporto Istat sul Sistema di protezione per le donne vittime di violenza e la disabilità, «Informare un’h», 30 agosto 2023.
Linee guida per accogliere donne con disabilità vittime di violenza, repertorio a cura di «Informare un’h», 2022-2025.
Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone, campagna di sensibilizzazione promossa da «Informare un’h», 20 giugno 2025.
Non c’è posto per te! – Campagna di sensibilizzazione in tema di violenza di genere promossa da «Informare un’h», 2023-2024.
Dateci i dati! Campagna per promuovere indagini sulla violenza contro le donne disabili promossa da «Informare un’h», 2022.
Artemisia. Reti antiviolenza accessibili. Linee di indirizzo per reti antiviolenza accessibili, documento elaborato nell’àmbito del Progetto “ARTEMISIA. Attraverso Reti Territoriali EMersione dI SItuazioni di violenzA”, promosso da Fondazione Somaschi onlus, Fondazione ASPHI onlus, LEDHA – Lega per i diritti delle persone con disabilità, CeAS – Centro Ambrosiano di Solidarietà, Fondazione Centro per la famiglia Card. Carlo Maria Martini Onlus, 2025. Il testo è stato prodotto anche in versione Easy To Read (linguaggio facile da leggere e da capire) disponibile a questo link.
– Simona Lancioni, I falsi miti sull’accoglienza delle donne con disabilità vittime di violenza, «Informare un’h», 13 giugno 2025.

 

Ultimo aggiornamento il 30 Settembre 2025 da Simona