È stato reso pubblico il Documento finale elaborato dal Gruppo di lavoro provvisorio sulla violenza nei confronti delle donne con disabilità dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità. Tuttavia va specificato che esso non contiene misure esigibili, giacché si limita a proporre suggerimenti che – forse – potrebbero confluire nel prossimo Piano di azione sul contrasto alla violenza a cui sta lavorando l’Osservatorio Nazionale sulla violenza contro le donne. Dunque, al momento non è possibile dire se ed in che modo tali suggerimenti saranno recepiti.
Come riferito a suo tempo, nella riunione dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità (OND) svoltasi il 3 dicembre 2024, in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, tra le altre cose, è stato approvato, all’unanimità, il Documento finale del Gruppo di lavoro sulla violenza nei confronti delle donne con disabilità. La costituzione di questo Gruppo era stata annunciata dalla ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli il 25 novembre 2023, nel corso di una riunione straordinaria dell’OND legata alle celebrazioni della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Riunione a cui prese parte anche la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità Eugenia Roccella. Scopo del Gruppo, i cui lavori sono iniziati il 26 marzo 2024 e si sono conclusi il 9 luglio 2024, era, appunto, produrre un documento con delle indicazioni da proporre al Comitato Tecnico dell’Osservatorio Nazionale sulla violenza contro le donne. Ora il documento in questione è stato reso pubblico. La denominazione del testo è Documento finale del Gruppo di lavoro sulla questione della violenza contro le donne con disabilità dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità. Esso è disponibile (in formato pdf) al seguente link.
Prima di entrare nel merito dei contenuti, va tuttavia specificato che questo Documento finale non contiene misure esigibili, ma si limita a proporre suggerimenti che – forse – potrebbero confluire nel prossimo Piano di azione sul contrasto alla violenza a cui sta lavorando l’Osservatorio Nazionale sulla violenza contro le donne. Dunque, al momento non è possibile dire se ed in che modo tali suggerimenti saranno recepiti. Vediamo ora ai contenuti più rilevanti.
Preliminarmente va segnalato che il Documento in esame è suddiviso in tre parti che affrontano i seguenti aspetti: “Accessibilità della comunicazione e dell’informazione”, “Standard minimi dei Centri antiviolenza (CAV) e delle Case rifugio” e “Linee guida sulla violenza contro le donne con disabilità e formazione delle operatrici”.
Una nota introduttiva informa che il Documento finale «è stato realizzato sulla base dei contributi presentati, discussi e condivisi nell’àmbito del Gruppo di lavoro sulla questione della violenza contro le donne con disabilità costituito nell’ambito dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità», e che vi hanno preso parte i/le rappresentanti delle Amministrazioni, Enti e Associazioni che già partecipano ai lavori dell’OND (l’elenco di tali soggetti è pubblicato a pagina 2).
Nella Premessa del Documento, tra le altre cose, è specificato che la violenza nei confronti delle donne con disabilità presenta caratteristiche peculiari, che può essere agita da estranei, ma anche da parte di caregiver familiari e conviventi, in àmbito domestico e negli spazi di cura, ricovero ed accoglienza. È inoltre rilevato come, ad oggi, «l’assistenza ed il supporto alle vittime nei percorsi di uscita dalla violenza sono spesso pensati in riferimento a donne, per lo più, che non presentano alcun tipo di disabilità», e che il proposito di modificare questa situazione «alimenta veri e propri obblighi giuridici, etici, morali e sociali» (pag. 4, grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni testuali).
Nell’Introduzione è opportunamente richiamato l’articolo 6 (Donne con disabilità) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/2009), che riconosce come le donne con disabilità siano esposte a discriminazione multipla (un tipo di discriminazione che si basa su più fattori, nel caso specifico: il genere e la disabilità). Sono poi riportati gli ultimi dati Istat disponibili (desunti dal rapporto La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia. Anno 2014), da cui risulta che le donne con disabilità sono più esposte a tutte le forme di violenza di genere rispetto alle altre donne. È quindi segnalata la frammentarietà e la parzialità nella rilevazione dei dati sul fenomeno della violenza nei confronti delle donne con disabilità, ed è considerato «fondamentale» che il sistema integrato di rilevazione dei dati «generi flussi strutturati d’informazioni fruibili a livello nazionale e locale, con dati disaggregati per le diverse condizioni, in particolare per l’eventuale condizione di disabilità della vittima di violenza e la sua relazione con l’autore o gli autori della violenza. L’importanza dei dati statistici e la loro capacità di fornire una comprensione dettagliata e accurata della portata e della natura di questo fenomeno forniscono una solida base per l’elaborazione di politiche e interventi mirati anche normativi» (pag. 8). In un ulteriore passaggio è segnalato che l’Italia ha ratificato altri due trattati specificamente centrati sulle questioni di genere: la CEDAW (ovvero la Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, la cui ratifica è stata prevista dalla Legge 132/1985), e la Convenzione di Istanbul (ossia la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, ratificata dal nostro Paese con la Legge 77/2013). Sono poi elencati i principali provvedimenti programmatici (i diversi Piani d’azione) e normativi adottati dal nostro Paese in ottemperanza degli impegni scaturiti dalla ratifica delle ultime due Convenzioni menzionate, ed altre disposizioni inerenti all’area della disabilità. Il Documento da un lato riconosce che «il contrasto alla violenza sulle donne con disabilità richiede un approccio sistemico basato sulla sensibilizzazione, l’educazione, la legislazione e l’azione concreta», ma poco più avanti precisa che «sul piano finanziario le azioni, le finalità e gli obiettivi indicati nel presente Documento dovranno essere conseguiti con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente» (pag. 9). E tuttavia è abbastanza irrealistico credere che si possa realizzare «un approccio sistemico» senza che a tale scopo vengano destinate risorse specifiche.
Per quel che riguarda gli aspetti descrittivi del Documento rinviamo a una lettura dello stesso, mentre proponiamo in calce* quelli che si configurano come suggerimenti, giacché, come accennato, essi sono presentati come mere possibilità. Qualche esempio può aiutare a comprendere meglio in cosa si concretizza questa modalità. Pertanto, laddove l’articolo 9 (Accessibilità) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità prescrive che «gli Stati Parti adottano misure adeguate a garantire alle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, l’accesso all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione», nel Documento finale è scritto, invece, che «si potrebbero creare campagne di sensibilizzazione, accessibili, che mettano in evidenza la violenza contro le donne con disabilità» (pag. 16). Dunque da un lato abbiamo la Convenzione ONU che dispone delle prescrizioni molto precise in materia di accessibilità all’informazione, dall’altro un Documento che considera la creazione di campagne di sensibilizzazione accessibili in tema di violenza come mera possibilità. Altro esempio: davanti alla constatazione che la quasi totalità della Case rifugio si sono dotate di criteri di esclusione dall’accoglienza delle donne con particolari vulnerabilità (tra cui figurano le donne con disabilità) e dei loro figli e figlie – una pratica in palese contrasto con il principio di non discriminazione esplicitato con forza nell’articolo 4 della Convenzione di Istanbul –, il Documento finale si limita a suggerire che «è auspicabile garantire che i servizi antiviolenza non adottino criteri di esclusione nell’accoglienza delle donne, ma costituiscano, invece, reti territoriali finalizzate alla presa in carico delle donne, vittime di violenza, esposte a discriminazioni multiple» (pag. 26). Possiamo osservare come l’impiego dell’aggettivo “auspicabile” – che, stando al Vocabolario Treccani, è utilizzato «per lo più in funzione di predicato con valore neutro: è a. che tutto proceda bene» – si presti ad essere inteso come una blanda esortazione al superamento di questa pratica che fa sì che proprio le donne vittime di violenza che hanno particolari vulnerabilità, e dunque avrebbero maggiore bisogno di sostegni, vengano respinte dai servizi antiviolenza e siano abbandonate a loro stesse.
Questo approccio possibilista che permea il Documento ha un effetto decisamente dissonante, specie se il testo in esame viene messo a confronto con i molteplici richiami rivolti al nostro Paese, anche sugli specifici aspetti relativi alla violenza nei confronti delle donne con disabilità, nel primo, e per ora unico, Rapporto di valutazione sull’attuazione alla Convenzione di Istanbul in Italia, pubblicato dal GREVIO (il Gruppo indipendente preposto al monitoraggio sull’applicazione della medesima Convenzione) nel gennaio 2020. In questo Rapporto il GREVIO, tra le altre cose, osservava come, sebbene i gruppi di donne svantaggiate (tra i quali rientrano anche le donne con disabilità) siano considerati nelle politiche di contrasto alla violenza sulle donne predisposte dal nostro Paese, tuttavia tali politiche non prevedono – per questi gruppi – obiettivi operativi concreti e impegni in tutti i settori della prevenzione, della protezione delle vittime, della punizione dei colpevoli e delle politiche coordinate (punto 24, in merito a come il tema della disabilità è stato trattato nel Rapporto in questione segnaliamo la seguente analisi). Ecco, sono passati ben cinque anni dalla pubblicazione del Rapporto del GREVIO, dunque sarebbe ora che, riguardo al fenomeno della violenza sulle donne con disabilità, il nostro Paese qualche impegno concreto iniziasse a prenderselo. Cosa stiamo aspettando?
Simona Lancioni
Responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa)
Si ringrazia Silvia Cutrera per la segnalazione.
* Nella parte sull’Accessibilità della comunicazione e dell’informazione, dopo aver richiamato una serie di disposizioni inerenti al complesso di atti e norme nazionali e internazionali che definiscono il diritto antidiscriminatorio, sono proposti i seguenti suggerimenti:
- «possono […] essere valutate iniziative dirette a rilanciare ed agevolare il diritto alla salute, compresa la prevenzione e la cura della salute sessuale, non facilmente fruibili per le donne con disabilità, le quali hanno maggiori difficoltà personali ed ambientali per realizzare iniziative autonome di cura di sé e, anche, per segnalare e denunciare molestie ed abusi subiti, sia per la difficoltà ad esprimersi, sia per le difficoltà determinate da barriere culturali ed ambientali, come condizionamenti, isolamenti, marginalizzazioni, servizi sanitari e sociosanitari non accessibili e sia per barriere architettoniche» (pag. 14);
- «può quindi essere opportuno realizzare tutte le misure utili alla facilitazione all’accesso alla denuncia, come anche alle cure e alla prevenzione, mediante l’accesso facilitato ai servizi organizzati in un’ottica di “progettazione universale”» (pag. 14);
- «una mirata opera di prevenzione ed il superamento del retaggio socio-culturale dei tabù, rispetto alle dichiarazioni ed alle denunce di violenze subite, può essere attuata istituendo percorsi e servizi di prossimità, territorialmente diffusi, oltre a linee guida e a definizione di protocolli specifici di assistenza ed intervento dedicati alle donne con disabilità presso ambulatori, ASL, reparti ospedalieri e consultori, in raccordo con [i] servizi sociali dei Comuni e degli Ambiti territoriali, e le Forze di polizia. L’azione preventiva può essere svolta dall’intero del sistema dei servizi sanitari, sociosanitari e socioassistenziali, in collaborazione con il sistema dei servizi educativi e scolastici, di ogni ordine e grado, affinché precocemente venga operata nei confronti dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze, quell’educazione all’affettività, alla sessualità e al rispetto delle differenze» (pag. 14);
- si fa poi riferimento a un generico «impegno istituzionale, aggiuntivo e costante, [che] può tutelare le condizioni di svantaggio sociale, economico e culturale delle donne con disabilità, per l’emersione dei disagi, la prevenzione e le cure specialistiche presso specifici ambulatori dedicati ed attrezzati, con prossimità territoriale» (pag. 15);
- è segnalato che l’AICS (l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo) si impegna a tradurre il “Manuale sull’analisi di genere. Strumenti operativi per l’uguaglianza di genere e l’empowerment di donne, ragazze e bambine” (opera del 2023, scaricabile a questo link) in versione audiolibro, mentre è considerato «auspicabile» che detto Manuale venga tradotto «anche in tutti i formati di lettura utilizzati dalle persone non vedenti e ipovedenti (file con tutti i formati di testo, pdf, Braille, large print, ecc.)» (pag. 16);
- «per accrescere le possibilità, per le donne con disabilità, di accedere ad informazioni utili, partendo dalle campagne informative già esistenti potrebbe essere rivisitato il materiale disponibile secondo i criteri di accessibilità universale […]. Si potrebbero creare campagne di sensibilizzazione, accessibili, che mettano in evidenza la violenza contro le donne con disabilità attraverso l’uso di video, immagini, storie personali e statistiche rilevanti e che potrebbero essere diffuse online tramite social media, siti web e blog, nonché offline, attraverso manifesti, volantini ed eventi pubblici, coinvolgendo le donne con disabilità come protagoniste dei processi di sensibilizzazione e di azione per contribuire al loro empowerment e alla loro autodeterminazione»; sarebbe inoltre auspicabile promuovere la divulgazione su questi temi che attraverso «cortometraggi realizzati con attrici e attori sordi» (pag. 16);
- è segnalato che l’INAIL (IstitutoNazionale Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) si propone di realizzare una apposita sezione tematica dedicata al tema della violenza contro le donne con disabilità all’interno di «SuperAbile INAIL», il portale in tema di disabilità dell’Istituto stesso;
- «possono essere sviluppati materiali educativi specifici per fornire informazioni sulla violenza contro le donne con disabilità, inclusi segni di avvertimento, risorse disponibili e modi per chiedere aiuto, da distribuire in contesti come centri antiviolenza, ospedali, scuole ed organizzazioni della comunità ed anche creare piattaforme online dedicate» (pag. 17);
- «si devono mantenere o possono essere create reti di collaborazione con organizzazioni e Associazioni che si occupano di diritti delle donne e delle persone con disabilità per amplificarne le voci e le esigenze, nonché per sviluppare strategie comuni per la prevenzione e la risposta alla violenza promuovendo una rappresentazione accurata e rispettosa delle donne con disabilità nei media, inclusi film, programmi TV, libri e articoli giornalistici» (pag. 17);
- «si possono anche realizzare mostre foto-biografiche che abbiano per protagoniste donne con varie disabilità» e anche «mostre con immagini che ritraggono donne con disabilità impegnate nei diversi contesti della vita»; «tali eventi potrebbero essere anche multimediali, arricchiti da videointerviste sottotitolate e con audiodescrizione iniziale, da divulgare attraverso i social, in formati di diversa durata, per essere ulteriormente adattati agli stessi canali di comunicazione» (pag. 17);
- possono essere creati «tavoli di progettazione partecipata sulle strategie per la comunicazione e l’informazione» sui temi della violenza sulle donne con disabilità (pag. 17);
- «sarebbe molto utile […] che il numero 1522, Numero Antiviolenza e Antistalking, fosse conosciuto capillarmente, anche concordando fra Istituzioni e Associazioni delle persone con disabilità i progetti di promozione e diffusione» su differenti supporti e formati accessibili a persone con diversi tipi di disabilità, ed anche prevedendo un’implementazione con colloqui o videochiamate con operatrici che conoscono la lingua dei segni italiana (LIS) e l’International Sign per agevolare le donne sorde segnanti, o con l’uso di ausili di riconoscimento vocale per quelle non segnanti, oppure, ancora, con una chat con i segni della comunicazione aumentativa alternativa (CAA) (pag. 18);
- «inoltre, rispetto al servizio 1522 si dovrebbe garantire una preliminare ed adeguata formazione alle operatrici sulla peculiarità delle diverse disabilità», ed «anche le reti nazionali e locali dei centri che operano nel contrasto alla violenza nei confronti delle donne, potrebbero ricevere opportuni supporti per organizzare formazioni specifiche per relazionarsi con donne con disabilità e altre vulnerabilità» (pag. 18);
- «si potrebbero proporre moduli di formazione universitari su inclusione sociale e accessibilità delle tecnologie» volti a formare non meglio specificati/e professionisti/e (pag. 19);
- «si potrebbe proporre una formazione su come comunicare e relazionarsi con le donne con disabilità, nei modi universali e accessibili, rivolta alle operatrici e operatori dei Centri antiviolenza, dei servizi sanitari e sociosanitari e dei presidi di emergenza in generale» (pag. 19);
- «sarebbe utile rendere accessibile alle persone sorde il questionario di autovalutazione del rischio, l’I.S.A. (Increasing Self-Awareness), attraverso l’uso della LIS e dell’International Sign per le persone sorde straniere. Sarebbe anche auspicabile prevedere la modifica e l’adattamento alle diverse disabilità del metodo S.A.R.A. (Spousal Assault Risk Assessment): modello per la valutazione del rischio di recidiva nei casi di violenza contro le donne» (pag. 19). In realtà sia l’ISA che il SARA sono già stati recentemente aggiornati nell’àmbito del progetto europeo FuTuRE (Fostering Tools of Resiliance and Emersion of GBV with intersectional perspective), promosso dall’Associazione Differenza Donna, in partenariato con altri soggetti, con la creazione di apposte Linee Guida (pubblicate nel 2024), e con la predisposizione del Manuale e del questionario ISA nelle versioni consultabili/compilabilionline in italiano comune e in linguaggio facile da leggere, nonché in altre 15 lingue. Tutte queste versioni sono pubblicate a questo link. A queste vanno aggiunte la versione in formato cartaceo e quella in CAA (a tal proposito si segnala il seguente approfondimento).
- è considerata opportuna «l’implementazione di corsi di formazione nelle PA [pubbliche amministrazioni, N.d.R.] a livello generale e, in particolare, per chi ricopre il ruolo di Responsabile della Transizione Digitale» (pag. 19);
- sarebbe «di particolare importanza la possibile incentivazione di ricerche specifiche sulla violenza contro le donne con disabilità per comprendere meglio la portata del problema, le sue cause e le sue conseguenze» (pag. 19);
- in materia di l’accessibilità alle informazioni, «si potrebbero pensare» anche percorsi specifici per la comunità delle donne con malattie rare (pag. 19);
- «in generale, è auspicabile che tutte le donne, in modo universale ed equo, possano usufruire di percorsi di assistenza e programmare la fuoriuscita dagli stessi, in modo sostenibile dai servizi sociali e sociosanitari territoriali» (pag. 19);
- è auspicabile che le Associazioni rappresentative delle persone con disabilità predispongano sostegni psicologici e percorsi di informazione e formazione, anche con materiale divulgativo o scaricabile dal sito di appartenenza, accessibili a tutte le donne con disabilità;
- «per quanto riguarda l’offerta sociosanitaria dei servizi di assistenza, prevenzione e cura» per la platea delle donne con diverse disabilità, «va valutata la possibilità di un accesso facilitato ai servizi di prossimità (ambulatori, ASL, consultori, ospedali, ecc.). Possono, altresì, essere diffuse campagne informative di sensibilizzazione per i medici di base» (pag. 19);
- per contrastare i frequenti casi di bullismo e molestie nei confronti delle donne con disabilità è considerato che sarebbe urgente predisporre campagne di sensibilizzazione e dissuasive sui media, da divulgare nelle scuole, nei luoghi di lavoro nelle residenze e centri che ospitano le persone con disabilità; sarebbero inoltre utili anche «campagne informative sui mass media da attivare per promuovere e diffondere il riconoscimento delle capacità, dei meriti e delle attitudini delle persone con disabilità, del loro contributo nell’ambiente lavorativo e sul mercato del lavoro» (pag. 20);
- «risulterebbe opportuno favorire l’inserimento lavorativo delle donne, con particolare riferimento alle donne con disabilità», sostenendo le aziende che favoriscono la loro occupazione, con agevolazioni per l’autoimprenditoria delle donne con disabilità, rafforzando i servizi per l’impiego e promuovendo le prospettive di assunzione attraverso azioni affermative e di lotta agli stereotipi (pag. 20);
- si potrebbero predisporre interventi formativi «sulle tematiche della violenza contro le donne con disabilità e sulla consapevolezza delle esigenze delle donne con disabilità sia per i datori di lavoro che per tutti i lavoratori» e integrare le ore di informazione/formazione, già dedicate alla sicurezza, con moduli specifici sulle problematiche della violenza nei confronti delle donne con disabilità negli ambienti di lavoro, nonché creare strumenti, canali molto semplici, a cui accedere, per chiedere aiuto (pag. 20);
- va valutata la possibilità di realizzare sul posto di lavoro specifici supporti per le donne con disabilità vittime di violenza (come, ad esempio, sportelli di ascolto e la figura della Consigliera di fiducia);
- si ritiene che i Comitati Unici di Garanzia (CUG) «potrebbero essere vettori per la sollecitazione e la promozione di progetti e la diffusione di campagne informative e di sensibilizzazione specificamente dedicate alle donne con disabilità e di offerta di sostegno e soluzioni per le segnalazioni di molestie, abusi sessuali e violenze, oltre che dei fenomeni di mobbing» (pag. 21);
- dai dossier redatti annualmente dalla Consigliera Nazionale di Parità e dalla Conferenza nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parità potrebbero scaturire indagini, progetti ed interventi mirati a livello territoriale su questi temi, e la possibilità di divulgare le buone prassi rilevate attraverso molteplici canali di divulgazione;
- «per risolvere gli annosi svantaggi economici e sociali delle donne con disabilità, è auspicabile uno sforzo che superi la provvisorietà del sostegno economico dell’Assegno di Inclusione (ADI) dei percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro, per le necessità di inclusione attiva nella comunità delle persone vittime di violenza» (pag. 22);
- «andrebbe valutato l’obiettivo di un forte rilancio delle opportunità di finanziamento di progetti per l’incremento dell’accesso delle donne con disabilità al mercato del lavoro, per il loro inserimento e reinserimento, il loro diritto alla formazione lungo tutto l’arco della esistenza, al fine di affrancarle dalle difficoltà economiche e dall’emarginazione dovuta a situazioni di povertà» (pag. 22);
- «l’INPS [Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, N.d.R.] propone la realizzazione di un’apposita sezione nel portale internet dell’Istituto all’interno del Portale per la disabilità […] dedicata alle donne vittime di violenza con disabilità» (pag. 22);
- «risulterebbe opportuno creare e sviluppare strumenti accessibili che chiariscano i diversi tipi di violenza che le donne con disabilità possano subire per poter identificare un vissuto o un abuso» e implementare le modalità con cui le stesse possono «essere informate sui servizi che sono a disposizione nel loro territorio e come poterli contattare» (pag. 22);
- infine è precisato che «la comunicazione va valutata secondo dei criteri di accessibilità tecnica ed usabilità […] per poter costruire modalità alternative o di supporto alla comunicazione […] che permettano di semplificare o costruire comunicazioni ad hoc […] volte alla piena comprensione e accoglimento della richiesta di aiuto e supporto della donna con disabilità» (pag. 22-23).
Veniamo ora alla seconda parte del Documento finale, quella dedicata agli Standard minimi dei Centri antiviolenza (CAV) e delle Case rifugio. Nella parte introduttiva è richiamata l’Intesa – tra il Governo, le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano e gli Enti Locali – relativa ai requisiti minimi dei Centri antiviolenza e delle Case rifugio del 14 settembre 2022 (il cui testo è fruibile a questo link), ne sono illustrati i contenuti, ed è messo in evidenza come essa, in sintonia con Convenzione di Istanbul, preveda che i CAV, nel sostenere percorsi personalizzati di uscita dalla violenza «non devono praticare discriminazioni di età, etnia, provenienza, cittadinanza, religione, classe sociale, livello di istruzione, livello di reddito, abilità, o altre discriminazioni». La stessa Intesa prevede poi che le operatrici dei CAV devono essere adeguatamente formate anche «sui bisogni specifici di donne esposte a molteplici vulnerabilità» (se ne legga anche a quest’altro link). Alcuni altri aspetti segnalati sono che: tra le tematiche oggetto di formazione dei CAV nel 2022 quelle inerenti alle donne con disabilità sono state effettuate soltanto dal 30,1% dei CAV (fonte: Istat, Sistema di protezione per le donne vittime di violenza (anni 2021-2022) e Istat, Centri antiviolenza e le donne che hanno avviato il percorso di uscita dalla violenza (anno 2022)); che molte Case rifugio non accettano donne con malattie croniche e/o con varie forme di disabilità o che abbiano figli/e con tali caratteristiche, e che ulteriori criteri di esclusione dall’accoglienza sono applicati in relazione ai figli e figlie delle ospiti (fonte: il già menzionato rapporto Istat, Sistema di protezione per le donne vittime di violenza (anni 2021-2022), su questo si veda anche la campagna di sensibilizzazione Non c’è posto per te! lanciata dal Centro Informare un’h nell’ottobre 2023); che anche il rapporto Istat denominato Le Case rifugio e le strutture residenziali non specializzate per le vittime di violenza – Anno 2022” (pubblicato nell’aprile 2024) non contiene dati disaggregati anche per la disabilità della vittima (se ne legga anche a questo link). A fronte del quadro delineato sono proposti i seguenti suggerimenti:
- «è auspicabile garantire che i servizi antiviolenza non adottino criteri di esclusione nell’accoglienza delle donne, ma costituiscano, invece, reti territoriali finalizzate alla presa in carico delle donne, vittime di violenza, esposte a discriminazioni multiple, prevedendo, tra le professionalità operanti nei CAV e nelle Case rifugio, anche operatrici competenti per affrontare tali situazioni nel rispetto del principio di non discriminazione. In particolare, rispetto alle Case rifugio potrebbe essere opportuno valutare la specializzazione di diversi centri per l’accoglienza e l’inclusione di persone con disabilità psichica e intellettiva che hanno necessità di una professionalità specifica e di un ambiente tutelato» (pag. 26);
- «l’accessibilità, la progettazione universale ed eventualmente i necessari accomodamenti ragionevoli rappresentano gli ulteriori requisiti di cui i Centri antiviolenza e le Case rifugio si dovranno dotare per accogliere le donne con disabilità» (pag. 26);
- «fin dal primo contatto con un CAV, è auspicabile che siano disponibili gli strumenti tecnologici accessibili per denunciare atti di violenza, mentre le operatrici dovranno integrare le schede di presa in carico anche con gli indicatori riferibili alla condizione di disabilità, oltre che fornire alla donna con disabilità le informazioni sulla presenza degli sportelli antiviolenza e sull’accessibilità dei CAV nel territorio, tenendo conto delle diverse disabilità» (pag. 26);
- «nella relazione di ascolto è auspicabile che le operatrici dei CAV abbiano ricevuto una formazione adeguata a riconoscere le particolari forme di discriminazione subite dalle donne con disabilità, le degenerazioni violente, gli autori dei maltrattamenti e degli abusi e saper affrontare il timore, spesso frequente nelle donne disabili, di non essere credute» (pag. 26);
- «la formazione e la sensibilizzazione potrebbero essere attività permanenti, aggiornate e diffuse» (pag. 26);
- è auspicabile che i CAV possano disporre di «mediatori culturali madrelingua in LIS ed interpreti (compresi gli interpreti LIS/LIST [Lingua dei Segni Italiana Tattile, N.d.R.] e per le persone sorde straniere interpreti International Sign)» e di consulenti del lavoro che possono essere anche esterni ai CAV stessi. Inoltre «potrebbe essere opportuno che CAV e Case rifugio fossero maggiormente preparate nell’accoglienza e nell’ospitalità anche delle donne sorde» vittime di violenza ed anche «implementare l’utilizzo della LIS o, se la donna è straniera, dell’International Sign, avvalendosi anche di mediatrici sorde madrelingua LIS e International Sign, nonché prevedere la realizzazione di corsi di sensibilizzazione alla LIS e all’International Sign rivolti alle altre donne ospiti» (pag. 27);
- «le Case Rifugio, come anche i CAV, dovrebbero essere maggiormente preparate ad ospitare e ad accogliere, non solo le donne vittime di violenza, ma anche i loro figli, vittime di violenza assistita» (pag. 27);
- le operatrici dei CAV che delle Case rifugio, devono avere una formazione «multidisciplinare per creare un’accoglienza d’eccellenza prima e una presa in carico poi adatta alle diverse disabilità e per poter garantire il pieno il rispetto della privacy» (pag. 27);
- «è auspicabile sviluppare reti territoriali e mantenere forti punti di riferimento con i servizi sociali, sociosanitari, pronto soccorso, forze dell’ordine, avvocati, Associazioni di persone con disabilità che, in sinergia tra loro, potranno sostenere la donna con disabilità nelle varie fasi del suo percorso verso l’autonomia e l’uscita dalla violenza» (pag. 27);
- «è auspicabile mappare quali CAV e Case rifugio garantiscono l’accesso alla struttura e ai servizi a donne con disabilità motorie, quali quelle sensoriali, quali quelle con disturbi psichiatrici e quali tutte e avere risorse alternative per l’abbattimento delle barriere sia fisiche che di comunicazione. […] Favorire le sinergie con le Associazioni che si occupano di persone con disabilità è una risorsa per la formazione delle operatrici dei CAV e Case rifugio» (pag. 27-28);
- «ci dovrebbe essere la possibilità di usare di protocolli di intesa e convenzioni con le Associazioni rappresentative di persone con disabilità per fornire permanentemente interpreti LIS/LIST per le donne sorde» (pag. 28);
- la collaborazione con le Associazioni di persone con disabilità «potrebbe portare a linee guida per garantire servizi inclusivi e stabilire indicatori che garantiscano l’accessibilità sia rispetto agli ambienti», che rispetto alla comunicazione e alla relazione con la donna con disabilità (pag. 28);
- un «ulteriore obiettivo è quello di assistere le donne con disabilità vittime di violenza che si rivolgono ai CAV e alle Case rifugio per intraprendere un percorso protetto verso l’autonomia, perché possano essere indirizzate alle prestazioni sociali di cui potrebbero avere diritto. La sottoscrizione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di protocolli d’intesa con l’INPS e con i patronati sul territorio può favorire la formazione reciproca degli operatori» (pag. 28);
- «tenendo conto delle differenze di ogni donna, i servizi dedicati al supporto e all’accompagnamento nella fuoriuscita dalla violenza (CAV e Case rifugio) potrebbero avere modalità di accesso e di interazione che tengano in considerazione anche donne in diverse condizioni di salute» (pag. 28).
La terza ed ultima parte del Documento finale è dedicata al tema: Linee guida sulla violenza contro le donne con disabilità e formazione delle operatrici. In essa è richiamata la Direttiva (UE) 2024/1385 del Parlamento europeo e del Consiglio sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica adottata il 14 maggio 2024, evidenziando i numerosi riferimenti alle donne con disabilità presenti nella stessa (in merito si veda anche il seguente approfondimento). Alla luce del quadro delineato sono stati elaborati i seguenti suggerimenti:
- assumendo quanto disposto dalla citata Direttiva, «è opportuno che vengano adottate misure specifiche orientate a: rendere visibile la violenza nei confronti delle donne con disabilità per pianificare attività e servizi mirati che siano accessibili nell’ambiente fisico e abbiano un approccio comunicativo e di presa in carico rispettoso di tutte le disabilità sensoriali, intellettive e cognitive per far emergere le situazioni di violenza ai danni di donne con disabilità e favorirne la fuoriuscita; acquisire consapevolezza, da parte delle donne con disabilità vittime di violenza domestica, del proprio diritto ad essere protagoniste della propria vita, capaci di assumersi le proprie responsabilità nel processo di crescita personale e sociale, con la prospettiva di poter vivere libere dalla violenza; implementare la formazione per chi opera nei servizi sociali, sanitari e giudiziari sulla natura della violenza contro le donne con disabilità e sulle sue conseguenze; garantire l’accessibilità dei CAV e delle Case rifugio» (pag. 29-30);
- «è necessario implementare la formazione alla piena consapevolezza attraverso l’avvio di percorsi e processi di empowerment, in modo da permettere alle donne con disabilità di acquisire consapevolezza di sé, dei propri bisogni e desideri» (pag. 30);
- «è urgente sensibilizzare ed informare sul tema della violenza, sulle sue implicazioni e connessioni con la violenza nei confronti delle donne con disabilità». La presenza di una condizione di disabilità richiede, tra le altre cose, anche «la creazione di una rete territoriale composta da attori che, a vario titolo, si occupano di prevenzione e contrasto della violenza contro le donne con disabilità per rispondere al meglio ai loro bisogni» (pag. 30);
- è basilare promuovere interventi volti ad eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull’idea dell’inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini, così come i pregiudizi, le forme di discriminazione, gli ostacoli e le barriere che riguardano le persone con disabilità;
- in questi percorsi è «indispensabile coinvolgere le Associazioni rappresentative delle persone con disabilità. La consulenza alla pari rappresenta un importante elemento distintivo per ciò che riguarda l’accoglienza delle donne con disabilità vittime di violenza» (pag. 30);
- «la consulenza alla pari si realizza mediante la figura del peer counsellor, in questo caso donna con disabilità, che è essenzialmente un facilitatore della crescita personale che abbia sperimentato difficoltà di ordine emotivo, sociale, pratico, che sono inerenti ad una condizione di disabilità e che sia riuscita a farne fronte con successo acquisendo, dall’esperienza, delle competenze» (pag. 31);
- «è importante guidare le donne con disabilità vittime di violenza verso i servizi sociosanitari, assistenziali e legali, nonché accompagnarle verso opportunità di formazione e inclusione sociale, lavorativa. La complessità del fenomeno della violenza contro le donne impone il superamento di una prospettiva unidimensionale in favore di un approccio multidisciplinare integrato, al cui interno più professionalità e competenze collaborano tra loro, nel rispetto delle reciproche competenze, per riconoscere la violenza e per fornire assistenza e tutela nel miglior modo possibile» (pag. 31);
- «è indispensabile fornire una comprensione approfondita della violenza contro le donne con disabilità sviluppando competenze pratiche per sostenere e assistere le vittime di violenza e fornire loro adeguate informazioni; promuovere la consapevolezza delle questioni culturali e sociali legate alla violenza contro le donne con disabilità; coinvolgere esperti del settore e fornire aggiornamenti periodici per mantenere la rilevanza delle informazioni» (pag. 31);
- è «importante che la formazione/informazione cominci a partire dalle scuole di ogni ordine e grado» con interventi sia sull’educazione di genere sia sul rispetto per le disabilità. A tal fine potrebbero «essere sottoposti agli studenti degli istituti primari e secondari test elaborati anche da gruppi di esperti del settore, abilitati e accreditati presso il Ministero dell’Istruzione e del Merito e parallelamente avviare dei percorsi di vera e propria formazione per il personale della scuola». A tal proposito è citato il progetto «“Generazioni connesse” nel cui kit didattico sono previste modalità adattive per le disabilità, [che] risulterebbe di significativa rilevanza nella misura in cui fenomeni come cyberbullismo, revenge porn, stalking passano proprio da social media e web» (pag. 31);
- anche in relazione alle Università andrebbe prevista «l’organizzazione periodica di momenti di formazione, simulazioni, seminari e la possibilità di tirocinio in Centri antiviolenza per il raggiungimento dei crediti formativi universitari necessari alla laurea» (pag. 32);
- «in generale è necessario potenziare la formazione delle operatrici e degli operatori», coinvolte/i a vario titolo, nelle risposte alla violenza sulle donne. I contenuti di tale formazione sono suddivisi i queste tre macroaree, che nel Documento finale sono sviluppate, ma in questo spazio sono solo citate: tematiche legislative e normative; tematiche psicologiche, sociali e sanitarie; tematiche tecnologiche (pag. 32);
- «si possono sviluppare agende di iniziative tese al rilascio di crediti formativi obbligatori che contemplino un minimo di ore di formazione dedicata al fenomeno della violenza contro le donne con disabilità. Potrebbe realizzarsi una formazione dedicata alla prevenzione, al riconoscimento e all’emersione del fenomeno della violenza con particolare riguardo alle donne con disabilità» (pag. 32);
- è considerata anche l’implementazione di una sinergia «con le forze dell’ordine affinché, all’interno dei reparti di Polizia di Stato o sezioni dell’Arma dei Carabinieri, vi siano sempre più uffici adeguatamente preposti all’accoglienza di donne con disabilità maltrattate» (pag. 33);
- «è essenziale intervenire sulla capacità di riconoscere i segnali di una violenza, fatto non sempre scontato. È importante che tutti siano edotti sui micro segnali di richiesta d’aiuto che una vittima consapevole può esprimere attraverso la gestualità, al fine di intervenire quando è manifestato (o dichiarato) il pericolo. Ed è altresì indispensabile sapere come intervenire»; il compito di intervenire «va affidato a soggetti esperti in diversi ambiti di competenza, tutti strettamente connessi al problema della violenza e delle sue conseguenze» (pag. 33);
- «è altresì importante che agli operatori vengano fornite le competenze relative ai nuovi media», come pure «la questione afferente alle tecnologie digitali, con i relativi strumenti» (pag. 33);
- «nei contesti delle reti antiviolenza gli strumenti digitali possono rappresentare degli importanti facilitatori per l’accoglienza e la messa in sicurezza delle donne con disabilità per informare e preparare le operatrici dei CAV e delle Case rifugio sulle caratteristiche delle tecnologie digitali, come strumenti per l’accoglienza e il supporto alle donne in condizioni di disabilità ed informare le operatrici sull’uso consapevole delle tecnologie digitali» (pag. 33-34);
- «si possono strutturare incontri tematici e specifici sulle tecnologie digitali e disabilità rivolti alle operatrici della filiera delle reti antiviolenza per informare le operatrici sull’uso consapevole delle tecnologie digitali, in particolar modo sulle informazioni concernenti i possibili rischi per gli aspetti connessi alla tutela della sicurezza e della privacy (geolocalizzazione, tracciabilità, facile diffusione di immagini, ecc.)» (pag. 34);
- «le amministrazioni pubbliche svolgono un ruolo strategico considerato che ad esse è attribuito il compito di garantire un ambiente di lavoro improntato al benessere organizzativo e di rilevare, contrastare ed eliminare ogni forma di violenza morale o psichica al proprio interno», ed è fondamentale sviluppare e promuovere azioni rivolte a diffondere all’interno di tutti i livelli delle amministrazioni pubbliche la piena attuazione della normativa in vigore» su questi aspetti (pag. 34);
- «nei luoghi di lavoro è necessario sviluppare e promuovere una cultura del rispetto, sia all’interno delle amministrazioni pubbliche che in quelle private, anche attraverso corsi di formazione» mirati a tale scopo, «e coinvolgere la rete dei CUG in qualità di sensore e possibile destinatario delle segnalazioni rese dalle lavoratrici con disabilità» (pag. 34);
- «il CUG, anche tramite il “Nucleo di ascolto organizzato”, ove costituito, può agevolare il contatto tra le vittime di violenza e i soggetti cui le medesime possono far riferimento per avere protezione ed assistenza. Inoltre, è necessario favorire la partecipazione dei dipendenti pubblici a corsi di formazione e di aggiornamento professionale per il contrasto alla violenza contro le donne, […] nonché promuovere l’adozione e la implementazione dei codici etici e dei codici di condotta nelle amministrazioni pubbliche al fine di garantire il rispetto delle pari opportunità» (pag. 34);
- importante è anche «programmare ed istituzionalizzare eventi, convegni, seminari, attività di informazione e comunicazione e/o momenti formativi in occasione della celebrazione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre di ogni anno, […] anche con specifico riferimento al tema della disabilità, sempre coinvolgendo le maggiori Associazioni rappresentative delle persone con disabilità» (pag. 34-35);
- è «fondamentale prevedere, promuovere e praticare azioni formative specifiche rivolte a tutti coloro che entrano in contatto, a diverso titolo, con la donna con disabilità vittima di violenza (operatori dei centri di accoglienza, personale di polizia e della magistratura, dei servizi sanitari e sociali, ecc.)» (pag. 35);
- appare «indispensabile che dai CAV alle Case rifugio, dai pronto soccorso ai luoghi della medicina per la donna, dalle forze dell’ordine ai servizi socioassistenziali, fino a arrivare a tutte le figure professionali di assistenza e relazione civile, vi sia una adeguata preparazione all’accoglienza delle donne con disabilità, garantendo un approccio competente a raccogliere le relative denunce, segnalazioni e istanze di donne con diverse tipologie di disabilità» (pag. 35).
Estremi dell’opera:
Documento finale del Gruppo di lavoro sulla questione della violenza contro le donne con disabilità dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, [approvato dall’Osservatorio nella riunione del 3 dicembre 2024], 35 pagine (formato PDF).
Vedi anche:
Approvato dall’OND un documento sulla violenza nei confronti delle donne con disabilità, «Informare un’h», 5 dicembre 2024.
Le valutazioni del GREVIO e la violenza sulle donne con disabilità, «Informare un’h», 24 maggio 2020.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.
Ultimo aggiornamento il 9 Febbraio 2025 da Simona