Già nel 2016 un organismo di controllo internazionale ha richiamato l’Italia sulla materia degli istituti di tutela giuridica chiedendo l’abolizione dell’interdizione e dell’inabilitazione, e la riforma dell’amministrazione di sostegno. Richieste che, ad oggi, sono rimaste inevase. A ciò si aggiunga che quando alcuni familiari – nella veste di tutori, curatori o amministratori di sostegno – evidenziano malfunzionamenti nei servizi sanitari e socio-sanitari accade con una certa frequenza che vengano estromessi da questo ruolo e sostituiti con soggetti – in genere professionisti – esterni alla famiglia, meno solerti nell’esprimere critiche e più inclini a svolgere i propri compiti con “modalità burocratiche”. A tal proposito raccogliamo la significativa testimonianza di Bruna Bellotti, sorella di una malata mentale*.
Bruna Bellotti è la presidente di Diritti Senza Barriere, un’Associazione di volontariato bolognese, attiva dal 2001, che si ispira ai principi della solidarietà umana e si prefigge di operare nell’ambito della tutela e della promozione dei diritti nel settore sanitario e assistenziale. Ciò al fine di migliorare la qualità dei servizi sanitari stessi. Come spesso accade a chi opera nell’associazionismo, Bellotti, oltre ad essere una volontaria, è anche personalmente coinvolta nelle questioni di cui si occupa, essendo la sorella di una donna interessata da una malattia mentale. Ed è in questa seconda veste che ha raccontato** la sua esperienza e le sue difficoltà nel prendersi cura di sua sorella, che oggi ha 69 anni, ed è sottoposta ad interdizione dal 2003.
Per risalire alle origini di questa vicenda dobbiamo tornare ai primi anni del 2000, quando ancora non era stata approvata la Legge 6/2004, istitutiva dell’amministrazione di sostegno, e per le persone con una diagnosi di malattia mentale erano previsti due soli istituti di tutela, l’interdizione e l’inabilitazione, inseriti nel codice civile sin dai tempi della sua promulgazione (nel 1932). Oggi sappiamo che gli istituti giuridici più vecchi sono incompatibili con la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/2009, ed andrebbero aboliti, e che anche l’amministrazione di sostegno andrebbe riformata, ma nei primi anni del 2000, in determinate circostanze, fare ricorso all’interdizione e all’inabilitazione era in qualche modo un “percorso obbligato”.
Anche Bellotti si è ritrovata a dover intraprendere questo percorso. Accadeva infatti che quando si rivolgeva ai medici di sua sorella per chiedere informazioni sul suo stato di salute o sulle terapie farmacologiche prescritte, questi si rifiutassero di interloquire con lei sostenendo che, dal momento che sua sorella non era sottoposta ad alcuna forma di tutela giuridica, lei non poteva essere considerata una sua referente. Dunque per poter supportare sua sorella, Bellotti si è trovata costretta a chiedere che venisse interdetta. Tale pronunciamento è stato espresso nel 2003, Bellotti è stata nominata tutrice della sorella ed ha rivestito tale ruolo sino al 2021.
Nello svolgimento del ruolo di tutrice Bellotti è stata molto scrupolosa. Presentava al Giudice Tutelare puntuali e dettagliati rendiconti segnalando anche le criticità riscontrate nell’esercizio dei suoi compiti, e avanzando specifiche richieste per superarle. Richieste che venivano sistematicamente ignorate dai diversi Giudici Tutelari che si sono susseguiti nel tempo. Stanca di questa comunicazione a senso unico, Bellotti, in segno di protesta, ha deciso di sospendere la rendicontazione. Questa azione ha effettivamente portato Bellotti ad essere finalmente presa in considerazione dal Giudice Tutelare, ma non nel senso da lei auspicato. Infatti il Giudice ha provveduto a nominare un consulente tecnico d’ufficio (CTU) col compito di esaminare tutta la documentazione presentata da Bellotti sino a quel momento. Il CTU ha contestato che non tutti gli scontrini comprovanti le spese sostenute fossero inequivocabilmente riconducibili a spese sostenute in favore di sua sorella. Lei ha correttamente spiegato che tale riconducibilità si può avere solo per certe tipologie di spesa – come quelle sanitarie e farmaceutiche – in cui viene rilevato e trascritto sullo scontrino o sulla fattura il codice fiscale della persona, ma che per le spese quotidiane – come, ad esempio, accompagnare la malata dal parrucchiere, comprare abbigliamento o un dentifricio, ecc. – non è possibile avere “scontrini personalizzati”. Che questi “scontrini personalizzati” non siano disponibili per le spese quotidiane è stato confermato anche da cinque dichiarazioni prodotte, dietro richiesta di Bellotti, da altrettante Associazioni nazionali operanti nel settore della disabilità. Dichiarazioni puntualmente trasmesse al Giudice Tutelare. Tuttavia questo non ha impedito allo stesso Giudice di utilizzare questo pretesto per sentenziare che Bellotti non svolgesse il ruolo di tutrice con la diligenza del buon padre di famiglia, e per sostituirla nominando un nuovo tutore esterno alla famiglia (un avvocato). Questa nomina è avvenuta nel marzo del 2021, senza che il Giudice Tutelare si fosse confrontato congiuntamente con la Bellotti e la sorella, che si è vista cambiare la sua persona di riferimento senza poter esprimere le sue preferenze.
Da allora Bellotti ha continuato ad occuparsi di sua sorella vigilando sull’operato del nuovo tutore, nonché constatando, e documentando con testi e foto datate, «come questi non si occupi affatto del benessere complessivo di sua sorella», spiega. «Anzi, è una figura inesistente per la malata», aggiunge. Bellotti ha segnalato con costanza ai servizi psichiatrici territoriali come per sua sorella non sia mai stato predisposto un progetto riabilitativo personalizzato. In risposta a tale osservazione le è stato detto che il nuovo tutore ha provveduto a firmare un piano assistenziale individualizzato (PAI) «senza conoscere la malata, e senza conoscere i suoi bisogni», senza interloquire con la sorella. Il PAI, osserva Bellotti, è per le persone anziane, sua sorella, che è seguita dai servizi psichiatrici da trent’anni, avrebbe avuto diritto ad un piano riabilitativo terapeutico personalizzato. In realtà, racconta, non le è mai stata fatta una relazione terapeutica degna di questo nome. In tutti questi anni la risposta dei servizi psichiatrici per sua sorella è stata solo quella di “imbottirla di psicofarmaci”. «Non c’è mai stata una diretta conoscenza della sua persona, della sua biografia, mai che i servizi si siano interessati a comprendere come fosse arrivata ad un punto critico, ed è grave constatare come nel corso degli anni sia notevolmente peggiorata», aggiunge. Bellotti ha chiesto di vedere il PAI, ma la struttura, per disposizione del tutore, non le permette di accedervi. Anche il Giudice Tutelare, pur avendo ricevuto una lettera di solidarietà firmata da 41 persone che conoscono personalmente la situazione che vivono Bellotti e sua sorella, nella quale si chiedeva un maggiore coinvolgimento della familiare, ha totalmente ignorato la lettera. Un’analoga richiesta è stata presentata al Giudice Tutelare anche da Vito Totire, psichiatra e medico legale, che conosce la situazione della sorella, ma questi ha avuto come unica risposta che la presenza del tutore era sufficiente a tutelare la donna.
Bellotti ha continuato e continua con perseveranza a segnalare all’AUSL le inefficienze, le inottemperanze e ad accompagnare le sue segnalazioni con testimonianze. Infatti Bellotti, per evitare di essere l’unico punto di riferimento per sua sorella e per promuoverne la socialità, ha cercato di costruire intorno alla sorella una rete di amicizie. In questi anni la malata si è completamente trasformata. Era una persona longilinea, ora è diventata obesa, è distrutta psicologicamente, ed anche l’espressione del viso non è quella di una persona che abbia intrapreso un percorso di recovery (un accompagnamento verso la ripresa). Ma le risposte dall’AUSL alle sue segnalazioni, quando ci sono state, sono state delle risposte pro forma, nel senso che per loro andava tutto bene così, ed era Bellotti che, a loro dire, faceva delle affermazioni che non corrispondevano alla realtà. Ma le affermazioni di Bellotti sono confermate dalle testimonianze delle persone che ruotano intorno a sua sorella e da foto datate.
Il 31 maggio 2022 c’è stato un ulteriore cambiamento e sua sorella è stata trasferita in una struttura che i servizi considerano adeguata, ma non Bellotti, che infatti si era opposta al trasferimento. Così il trasferimento è stato effettuato a sua insaputa e senza il suo coinvolgimento, con una modalità nella quale «la malata è stata trattata come fosse un vuoto a perdere», scandisce. «Il motivo per il quale mi sono opposta al trasferimento – spiega –, non è perché pensassi che dove stava prima fosse una struttura soddisfacente, tutt’altro”. Era un “manicomietto”, una ex casa colonica dismessa, un casolare in aperta campagna, lontano da ogni possibilità di integrazione sociale e di contatto con i servizi, anche solo commerciali, che ora è stata adibita a struttura psichiatrica. Oltre al problema della sua collocazione, per Bellotti quella struttura era inadeguata perché sprovvista delle figure professionali previste nel contratto d’appalto. In tale contratto è stabilito che il personale deve avere esperienza pluriennale nel settore, e che tale esperienza deve essere comprovata attraverso il curriculum ed i titoli professionali. Ma queste disposizioni del contratto d’appalto non sono rispettate. Proprio in relazione a tali aspetti Bellotti ha presentato un esposto al Difensore Civico Regionale, che ha ritenuto che le sue osservazioni fossero degne di considerazione. La risposta del Difensore Civico è stata rivolta alla stessa Bellotti che aveva presentato l’istanza, e per conoscenza all’AUSL. Alla luce della comunicazione trasmessa dal Difensore Civico, Bellotti ha chiesto per l’ennesima volta all’AUSL la documentazione da cui risulti che i requisiti stabiliti nel contratto d’appalto sono rispettati. Ma ancora non ha ricevuto alcun riscontro. Quindi Bellotti ritiene che per far rispettare i diritti di sua sorella avrebbe dovuto ricorrere al TAR (Tribunale Amministrativo Regionale).
Attualmente la sorella si trova una casa di riposo, e sebbene Bellotti riconosca che il personale OSS (operatori socio sanitari) si dia da fare, conviene che non si possa pretendere che detto personale svolga le mansioni di altre figure professionali, quali sono, ad esempio, i tecnici della riabilitazione o gli educatori professionali. «Il fatto è che quella struttura non è accreditata, e la Direttrice afferma che non è possibile che ad essa venga assegnato altro personale», racconta Bellotti.
Da quando è stata introdotta in questa struttura, «la malata è uscita poche volte», sempre dietro richiesta della stessa Bellotti, ciò anche a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia da Covid-19. Il problema è che sua sorella, non facendo movimento e passando a letto due terzi della giornata, si è impigrita ed è notevolmente ingrassata. Bellotti si preoccupa e cerca di farla uscire. Nel giorno dei morti, ad esempio, come da consuetudine familiare, l’ha accompagnata al cimitero; in occasione delle consultazioni l’ha accompagnata a votare, «ma il tutore ha sollevato delle obiezioni infondate, dimostrando di non conoscere lo stato fisico della malata», aggiunge. Quest’ultimo ignora Bellotti, e non si confronta con lei su nessun aspetto della cura di sua sorella, sebbene Bellotti sia la sua unica parente. Eppure è stata Bellotti, e non l’attuale tutore, ad organizzare due feste per la sorella e per tutti gli ospiti della residenza, per ferragosto ed in occasione del suo compleanno. Ed è sempre lei che provvede affinché abbia abiti puliti e decorosi. La circostanza che non si badi a questi aspetti, che poi sono quelli che conferiscono senso alla vita di ciascuno, e soprattutto che non venga posta attenzione ai suoi sintomi (la sorella è un’“uditrice di voci”) ed ai bisogni di salute, non solo mentali, ma anche fisici, la induce a ritenere che l’attuale residenza sia in realtà «un “parcheggio di malati mentali” nel quale i pazienti sono ricoverati solo in attesa della morte».
Secondo Bellotti uno dei maggiori problemi della Sanità è che con l’aziendalizzazione del servizio il Direttore Generale è diventato l’unica figura che decide su tutto e che rende conto del suo operato soltanto al presidente della Regione che l’ha nominato. In questo contesto anche gli organi di controllo non funzionano a dovere. Infatti sebbene in questi siano coinvolte anche Associazioni di pazienti e di persone con disabilità, capita che queste ricevano dall’AUSL finanziamenti per i loro progetti, e dunque abbiano difficoltà ad assumere posizioni critiche nei confronti della stessa Azienda quando constatano dei disservizi. Ma in questo modo, osserva Bellotti, «non si fanno né gli interessi delle persone malate né quelli dei contribuenti, perché se la Sanità va male ci rimettiamo tutti».
Per Bellotti le figure del tutore e dell’amministratore di sostegno devono essere assolutamente riviste. E tuttavia la revisione degli istituti di tutela non è sufficiente se a questa non si accompagna un diverso atteggiamento dei Giudici Tutelari, ai quali è richiesto di disporsi ad ascoltare la persona malata e i suoi familiari (o comunque le persone significative per lei). Dunque anche il ruolo del Giudice Tutelare andrebbe rivisto. (Simona Lancioni)
* Nel presente testo utilizziamo simili espressioni per tassativa richiesta della stessa Bruna Bellotti.
** La presente testimonianza è stata trascritta dietro autorizzazione di Bruna Bellotti, facendo riferimento alle sue dichiarazioni rilasciate nella 96° puntata de “Il Diritto Fragile”, la rubrica curata dall’Associazione Diritti alla Follia, messa online il 31 maggio 2023.
Vedi anche:
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema della “Tutela giuridica”.
Ultimo aggiornamento il 15 Novembre 2023 da Simona