È stato recentemente pubblicato nel sito dell’Associazione Italiana di Sociologia (AIS) uno studio dal titolo “Desideri, silenzi e rinunce. Esperienze di maternità delle donne disabili ai tempi del Covid-19”, realizzato da Ester Micalizzi, dell’Università di Torino. Il contributo contiene una parte teorica e una empirica. In particolare, in quest’ultima parte, sono esaminate dieci interviste sui temi inerenti alla maternità rivolte a donne con disabilità motoria, svolte online durante il periodo pandemico. Esse fanno emergere il vissuto complesso, sfaccettato e talvolta ambivalente di queste donne, nonché i significati associati all’esperienza della maternità.

È stato recentemente pubblicato nel sito dell’Associazione Italiana di Sociologia (AIS) uno studio dal titolo Desideri, silenzi e rinunce. Esperienze di maternità delle donne disabili ai tempi del Covid-19. Il testo è stato scritto da Ester Micalizzi, assegnista di ricerca, nonché professoressa a contratto del Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino. Esso è già stato pubblicato nell’opera collettiva Coronial. Antropologia della riproduzione e delle sessualità al tempo del Covid-19, a cura di Quagliarello Chiara, Sestito Rosanna e Lucia Gentile (Franco Angeli, 2022, pagine 149-180), ed è disponibile in formato pdf al seguente link.
Partendo dalla mancanza di attenzione alle donne con disabilità negli studi di genere, ma anche in quelli socio-antropologici, ed in quelli propriamente femministi, e rilavando le molteplici difficoltà incontrate da queste stesse donne nell’intraprendere percorsi di maternità per il sessismo e l’abilismo che ancora permeano la medicina, ma anche per il diffuso pregiudizio che esse siano incapaci di prendersi cura dei propri figli, e le innumerevoli barriere (non solo architettoniche) che ostacolano l’accesso ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, Micalizzi ha ritenuto utile indagare quali siano state le esperienze di gravidanza e di parto vissute dalle donne con disabilità ai tempi della pandemia da Covid-19.
In specifico, l’Autrice ha inteso rispondere alle seguenti domande: «Quali sono state le loro difficoltà di accesso ai servizi ospedalieri, già di per sé non adatti alla presa in carico delle donne disabili in gravidanza? Quali sono le conseguenze della gestione del parto e del post-parto in pandemia? (ad esempio, l’isolamento, la mancanza di aiuti, la scarsa preparazione e attenzione del personale medico rispetto alle loro esigenze durante il parto e durante il post-parto)».
Per rispondere a tali interrogativi il testo presenta le esperienze di alcune donne con disabilità fisica e «le loro storie di attese, di rinunce, di silenzi e di desideri riproduttivi in tempi pandemici». Lo studio è sviluppato in due parti. La prima parte ha un taglio teorico e propone da un lato un’analisi critica di due modelli della disabilità – il modello medico-individualista e il modello sociale – alla luce del paradigma elaborato nell’àmbito dei Feminist Disability Studies; e dall’altro lato una ricostruzione, anch’essa teorica, dell’intreccio tra disabilità, genere e riproduzione. La seconda parte invece entra nello specifico dell’oggetto di studio soffermandosi sull’impatto della pandemia e della sua gestione nei riguardi delle persone disabili, ed in particolare delle donne disabili all’interno dei servizi ospedalieri. Quindi, come accennato, sono riportate le esperienze di maternità vissute da alcune donne disabili ai tempi della pandemia. I risultati mettono in evidenza «in che modo, e fino a che punto, il Covid-19 abbia esacerbato le condizioni di marginalità e di esclusione sociale per le madri disabili. Alcune barriere socio-culturali, lo stigma, la vulnerabilità e i limiti del corpo connessi alla menomazione, le inadeguate forme di assistenza alla salute materna delle donne disabili sono tutti elementi che preesistono alla pandemia. Tuttavia, come vedremo, la creazione di nuove regole e protocolli nei contesti sanitari non ha sempre tenuto in considerazione la disabilità lasciando le donne e le madri disabili in una condizione di solitudine, senza informazioni e limitando la loro capacità di esercitare il loro diritto alla maternità durante la pandemia», argomenta Micalizzi (grassetti nostri nella citazione).
Le esperienze di maternità di donne disabili che sono riportate nel testo sono parte della documentazione raccolta nell’àmbito della ricerca di dottorato svolta dall’Autrice proprio sulle esperienze vissute dalle donne con disabilità della gravidanza, del parto, del post-parto e del lavoro di cura svolto nei confronti dei figli nello spazio domestico. In specifico lo studio di dottorato è stato condotto da gennaio 2020 a dicembre 2021, attraverso l’impiego di diverse tecniche di ricerca qualitativa: sono state svolte nove interviste semi-strutturate a professionisti sanitari (ginecologi e ginecologhe, educatrici, psicologhe), trenta interviste biografiche-narrative a donne (con figli e senza figli) con disabilità motoria (sclerosi multipla, tetraparesi spastica, distrofie muscolari, spina bifida, atrofia spinale muscolare) e visiva (cecità e ipovedenti), ed infine sono stati realizzati quattro focus group partecipativi in collaborazione con un’associazione per persone con disabilità motoria sui temi della salute sessuale e riproduttiva.
Attingendo alla ricerca di dottorato, nel testo in esame sono esaminate dieci interviste (svolte online tramite Skype, Zoom, e Meet) rivolte a donne con disabilità motoria che nel periodo di rilevazione erano in gravidanza, oppure desideravano diventare madri, oppure avevano partorito durante il lockdown, oppure affrontavano la preoccupazione e i problemi di conciliazione tra il lavoro di cura e lo smart working. «Le partecipanti allo studio sono donne bianche, eterosessuali, di classe media o medio-alta, con un’età compresa tra i 25 e i 55 anni, con un livello di autonomia moderata e con diverse menomazioni fisiche come la sclerosi multipla, la tetraparesi spastica, le distrofie muscolari, la spina bifida», è scritto nel testo. Va inoltre segnalato che le donne intervistate risiedono in un contesto urbano-metropolitano del Nord Italia in cui sono presenti un consultorio e un ambulatorio ginecologico-ostetrico accessibile alle donne disabili, dunque in un ambiente “privilegiato” sotto il profilo dell’accessibilità.
Nel raccontare le esperienze delle donne con disabilità sono riportati anche stralci delle loro dichiarazioni. Esse fanno emergere il vissuto complesso, sfaccettato e talvolta ambivalente di queste donne, nonché i significati associati all’esperienza della maternità. In questo spazio ci limitiamo a riprendere qualcuna delle dichiarazioni trascritte nel testo, e rimandiamo alla lettura dello stesso per una visione complessiva.
Uno dei temi ricorrenti riguarda la cura fisica del bambino o della bambina. Queste, ad esempio, sono le considerazioni espresse da Stella, una donna di quarant’anni, madre di una bambina di sei anni, sposata, con la SMA 2 (atrofia muscolare spinale prossimale), che non muove gli arti superiori: «La preoccupazione era di non essere in grado fisicamente di occuparmi di mia figlia per tutte le necessità nei primi anni di vita, ma la mia disabilità non mi impediva di essere una buona madre per tutto il resto… […] spesso mi sono sentita fisicamente inadeguata. Non poter riuscire a seguirla fisicamente, fare giochi fisici con lei, nutrirla e cambiarla con le proprie mani… ma ho compensato con la mia presenza fisica (anche senza contatto), con la mia voce.»
Un altro aspetto significativo su cui si sono soffermate le madri intervistate è quello di bilanciare la preoccupazione che i loro figlie e figlie possano trasformarsi in giovani assistenti delle stesse madri, e quella di corrispondere alle aspettative e alle attese sociali nei confronti dell’infanzia. Riflettendo su questo aspetto, Nerina, una donna di quarant’anni, con una paralisi celebrale infantile, madre di un figlio di sette anni, ha dichiarato: «Guarda evito di attribuire troppe responsabilità a mio figlio… certo, quando sono a casa sola… provo a farmi aiutare da mio figlio anche se ha 7 anni… sa che se la mamma prova a camminare a casa senza deambulatore e ci sono i giocattoli non rimessi a posto c’è il rischio che mi faccia male… eppure mi sento in colpa per questo… non mi va di dirglielo sempre… allora preferisco mettermi io a riordinare.»
L’ultima testimonianza che riprendiamo riguarda le difficoltà sperimentate riguardo all’intensificazione del lavoro di cura dei figli nell’ambiente domestico con l’avvento della pandemia e del primo lockdown. È Violetta, una donna di quarant’anni, con la spina bifida, madre di due bambine di due e otto anni, a raccontare come lei e suo marito hanno provato a riorganizzare la vita domestica in quel periodo: «Poi questo equilibrio è cambiato da quando c’è la pandemia perché io praticamente sono rientrata dalla maternità direttamente in smart working e quindi ho dovuto insieme a mio marito ricreare un equilibrio diverso da prima… ci sono state delle tensioni tra di noi. Perché mentre prima io andavo a lavorare e anche lui andava a lavorare e tutta la giornata la passavo a lavoro e poi uscivo dal lavoro e mi dedicavo esclusivamente alle bambine. Con lo smart working questo equilibrio va a cambiare, perché con lo smart working paradossalmente lavoriamo di più e quindi vengono a cambiare gli equilibri con le bambine e anche tra la coppia.» Nonostante le difficoltà ingenerate dalle misure di distanziamento sociale e confinamento nell’ambiente domestico (introdotte dalle istituzioni per contrastare la diffusione della pandemia), sia Violetta che altre donne con disabilità hanno provato a rispondere alle esigenze educative e di cura dei propri figli e figlie cercando trovare dei modi creativi per assolvere a tali compiti, ad esempio: ricorrendo a giochi educativi, inventando nuovi passatempi, condividendo nuovi spazi. Osserva, a tal proposito, Micalizzi: «L’aspetto interessante è che nonostante le donne disabili siano spesso rappresentate come oggetti di cura, la pandemia ha reso visibile il lavoro di cura svolto dalle stesse madri disabili capovolgendo così le aspettative sui ruoli di genere associati a queste donne» (grassetti nostri nella citazione). Altre testimonianze, invece, documentano i molti problemi incontrati dalle donne disabili nel rapporto con il personale sanitario in più frangenti. (Simona Lancioni)
Si ringrazia Andrea Pancaldi per la segnalazione.
Estremi bibliografici dello studio:
Ester Micalizzi, Desideri, silenzi e rinunce. Esperienze di maternità delle donne disabili ai tempi del Covid-19, in Coronial. Antropologia della riproduzione e delle sessualità al tempo del Covid-19 a cura di Quagliarello Chiara, Sestito Rosanna, Lucia Gentile, Franco Angeli, 2022, pagine 149-180.
Vedi anche:
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità: diritti sessuali e riproduttivi”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.
Ultimo aggiornamento il 30 Maggio 2025 da Simona