È una riflessione ampia ed importante quella esposta da Mara Pieri, sociologa del Centro per gli Studi Sociali (CES) dell’Università di Coimbra, in Portogallo, sul tema delle persone con disabilità che si identificano anche come parte della comunità LGBTQIA+, in occasione di un recente evento online sull’abilismo organizzato dall’Università La Sapienza di Roma. Nell’occasione Pieri ha illustrato anche il progetto Chroniqueers, un’interessante ricerca svolta da lei stessa sulle esperienze delle persone LGBTQ+ con malattia cronica. Un lavoro dal quale è scaturita una guida rivolta al personale medico-sanitario dal titolo “Pazienti e utenti LGBTQ+ con malattie croniche. Costruire pratiche inclusive nell’accesso alla salute”.
«Che rapporto c’è tra disabilità e identità LGBTQIA+[1]?» si è chiesta Mara Pieri, sociologa del Centro per gli Studi Sociali (CES) dell’Università di Coimbra, in Portogallo, partecipando con un intervento sul tema “Disabilità LGBTQIA+: costruire intersezioni” all’evento online dal titolo “Abilismo: oltre l’infantilizzazione e la deumanizzazione della persona con disabilità nella società”[2], intervento del quale rendiamo conto di seguito. «Siamo sempre molte cose allo stesso tempo», osserva Pieri impostando la propria riflessione in una prospettiva intersezionale, e argomentando che le identità nelle quali noi stesse ci identifichiamo, o con le quali le altre persone ci identificano, non esauriscono mai la descrizione intera che noi potremmo dare di noi stesse. Affermare questo serve a ricordarci che la sessualità, l’affettività e la relazionalità sono aspetti centrali della vita di ogni persona indipendentemente dal fatto che queste persone abbiano una disabilità, malattie croniche, malattie degenerative, ecc. Questa che potrebbe sembrare una banalità in realtà non lo è, perché tra le tante esigenze delle persone con disabilità le questioni dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere, dell’espressione della sessualità e degli orientamenti relazionali solitamente non sono considerate una priorità. Ciò accade verosimilmente per un tabù culturale. Non dobbiamo scordare infatti che la nostra cultura è fortemente orientata all’eterosessualità, all’eteronormatività, e all’idea che il nostro sesso di nascita corrisponda necessariamente al genere con cui ci identifichiamo. Tutto questo fa sì che spesso l’esistenza di persone con disabilità che si identificano anche come parte della comunità LGBTQIA+ sia considerata come un’eventualità rarissima, mentre in concreto ci sono moltissime persone con disabilità che se adeguatamente accompagnate, e adeguatamente supportate, potrebbero, ad esempio, vivere tranquillamente il loro orientamento sessuale diverso da quello eterosessuale, o i percorsi di transizione della propria identità di genere, o i propri orientamenti relazionali non monogamici. Lavorare in una prospettiva intersezionale significa tenere presente che anche la disabilità, essendo parte integrante della vita di tutti e tutte, riguarda inevitabilmente anche la comunità LGBTQIA+, sebbene quest’ultima fatichi ancora ad includere nella propria riflessione anche la questione dell’abilismo. Sotto questo profilo, la circostanza che nel Disegno di Legge Zan[3] il contrasto all’abilismo sia incluso insieme al contrasto all’omofobia, alla transfobia e al sessismo, può costruire un buon elemento di partenza per iniziare ad incrociare le prospettive e a tessere connessioni.
Un secondo grande tema di intersezione sviluppato da Pieri riguarda il fatto che le discriminazioni spesso si intrecciano. Raramente l’abilismo si presenta ed agisce in forma isolata da tutto il resto. L’abilismo è un sistema di oppressione che funziona come tutti gli altri sistemi di oppressione, ad esempio, come il razzismo, il sessismo e il classismo, per citare fenomeni più conosciuti ed indagati. L’abilismo infatti, come gli altri sistemi di oppressione, si basa sulla deumanizzazione, ossia sul considerare tutto ciò che è diverso dalla norma come qualcosa di infantile, mostruoso, abietto, di minore valore, ecc. Comprendere questo ci consente di contrastarlo con strumenti che possono essere mutuati da altre lotte. Da ciò la necessità di creare alleanze trasversali, mantenendo la consapevolezza delle differenze, ma valorizzando i saperi individuali e collettivi prodotti in diversi contesti di lotta all’oppressione.
Sempre su questi temi, Pieri ha curato il progetto Chroniqueers, che nasce dalla sua tesi di dottorato, e consiste in una ricerca volta ad indagare le esperienze di giovani adulti che si identificano come LGBTQ+ e che hanno una malattia cronica. La ricerca è stata realizzata in Italia e in Portogallo tra il 2016 e il 2019. In particolare sono state realizzate delle interviste centrate sulle esperienze sviluppate dalle persone LGBTQ+ con malattia cronica in termini di relazioni, di sistemi di cura (considerando sia i servizi sanitari e le reti di cura informali), e di visibilità. Sebbene i concetti di disabilità e malattia cornica non siano sovrapponibili, Pieri rileva che le persone con disabilità e quelle con malattie corniche molto spesso vivono l’esperienza comune di scontrarsi col sistema abilista. Proprio a partire di questo comune fronte di scontro e di confronto si possono stabilire delle affinità collettive. Tra le persone con disabilità e quelle con malattie croniche ci possono essere dei legami che sono forti ma sono anche fluidi. Infatti le malattie croniche possono implicare dolore cronico e difficoltà quotidiane simili a quelle sperimentate da alcune persone con disabilità.
Come accennato, una parte consistente della ricerca Chroniqueers ha indagato l’esperienza vissuta dalle persone LGBTQ+ con malattia cronica nel relazionarsi col sistema medico-sanitario. Alcune delle questioni più pressanti e più ricorrenti che sono emerse nel corso delle interviste sono le seguenti forme di discriminazione: l’esclusione dei/delle partner dalle visite o dalle decisioni importanti sulla salute, infatti nonostante questa pratica sia vietata già da qualche anno dal nostro ordinamento (in Italia le unioni civili sono state riconosciute con la Legge n. 76/2016), accade ancora molto spesso che il personale sanitario non tratti i/le partner dei/delle pazienti gay o lesbiche come tratterebbero i mariti e le mogli delle persone eterosessuali; si riscontra inoltre l’uso improprio o deliberato di pronomi errati con le persone trans e non-binarie; vi è una generale impreparazione del personale sanitario sia sulla salute sessuale delle persone LGBTQ+ (con l’unica eccezione dell’HIV, l’unica malattia cronica che storicamente è stata sempre legata alla comunità gay), sia su quella riproduttiva; nel caso delle pazienti che sono considerate come donne si tende a minimizzare i loro sintomi riconducendoli a fattori psicologici come ansia e stress; infine è emerso come i commenti omo-transfobici scambiati anche in presenza della persona LGBTQ+ siano all’ordine del giorno. Le discriminazioni rilevate hanno come conseguenza il disincentivo, per le persone LGBTQ+ con malattie croniche, ad utilizzare i servizi sanitari se non in casi gravi, con conseguente peggioramento delle condizioni croniche, ritardi diagnostici, ecc.; una condizione di stress e trauma legato all’accesso ai servizi; un peggioramento della qualità dei servizi sanitari prestati; l’ulteriore invisibilizzazione dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere delle persone LGBTQ+.
Proprio partendo dai risultati di quest’indagine è stata creata una guida denominata “Pazienti e utenti LGBTQ+ con malattie croniche. Costruire pratiche inclusive nell’accesso alla salute”. Questa guida è rivolta al personale medico-sanitario, ed è liberamente consultabile e scaricabile al seguente link. Queste alcune delle misure indicate da Pieri per migliorare l’accesso ai servizi sanitari: informarsi perché tutti e tutte abbiamo pregiudizi, stereotipi e forme di ignoranza; utilizzare il linguaggio in maniera consapevole; rispettare i percorsi di ciascuno e ciascuna perché l’identità di genere e l’orientamento sessuale non sono un’opinione; incoraggiare le reti di supporto anche al di fuori dalla famiglia; prestare attenzione alle forme di vulnerabilità multipla, ad esempio, quelle in cui si intersecano le variabili economiche, di genere, di etnia, di educazione, ecc. (S.L.)
[1] La sigla LGBTQIA+ indica persone che si identificano come Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali, Queer, Intersessuali e Asessuali, mentre il segno + serve ad includere altre persone che non si identificano né con le categorie citate, né con gli/le eterosessuali e cisgender (le persone che si identificano nel genere coincidente al sesso attribuito alla nascita), ma potrebbero essere, ad esempio, pansessuali, non-binarie.
[2] Evento realizzato lo scorso 24 maggio dall’Università La Sapienza di Roma, tramite il proprio Coordinamento Universitario Link Sapienza, e interamente visionabile attraverso due filmati pubblicati sulla pagina Facebook di Link Sapienza ai seguenti link: prima sessione e seconda sessione).
[3] Disegno di Legge avente ad oggetto: “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”, attualmente in discussione alla commissione giustizia del Senato.
Per approfondire:
Sito del progetto Chroniqueers.
Pagina dalla quale è possibile consultare e scaricare la guida realizzata da Mara Pieri “Pazienti e utenti LGBTQ+ con malattie croniche. Costruire pratiche inclusive nell’accesso alla salute”, [2020].
Infantilizzazione e deumanizzazione della persona con disabilità nella società, «Superando.it», 21 maggio 2021.
La FISH sostiene il DDL Zan per sanzionare i crimini d’odio contro le persone con disabilità, «Informare un’h», 24 maggio 2021.
EDF: le persone LGBTI+ con disabilità sono state più penalizzate dalla pandemia, «Informare un’h», 17 maggio 2021.
Simona Lancioni, Il Disegno di Legge Zan e le nostre responsabilità nelle vite degli altri, «Informare un’h», 2 maggio 2021.
Simona Lancioni, Le associazioni di persone con disabilità promuovano l’approvazione del DDL Zan, «Informare un’h», 21 aprile 2021.
La multidiscriminazione delle donne con disabilità. Kit informativo rivolto a donne con disabilità, famiglie, associazioni, operatrici e operatori di settore, strumento prodotto dalla FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap. Disponibile anche in linguaggio facile da leggere e da capire.
I diritti escono dall’armadio. Kit informativo rivolto a persone con disabilità LGBTQ+, famiglie, associazioni, operatrici e operatori di settore, strumento prodotto dalla FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità: diritti sessuali e riproduttivi”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.
Data di creazione: 26 maggio 2021
Ultimo aggiornamento il 27 Maggio 2021 da Simona