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Bosisio Fazzi: … ma le donne con disabilità spesso restano invisibili

Intervista a Luisella Bosisio Fazzi a cura di Anna Maria Gioria*

Luisella Bosizio Fazzi è molto conosciuta nel settore della disabilità perché da anni si prodiga per il riconoscimento dei diritti delle persone disabili. Nella sua carriera ha ricoperto ruoli molto importanti, come quello di consigliera della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, nonché componente lombarda della FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), fino arrivare alla nomina di unica rappresentante italiana del Gruppo Donne del Forum Europeo sulla Disabilità (EDF). «InVisibili», il blog in tema di disabilità ospitato nel sito del «Corriere della Sera», ha fatto una chiacchierata con lei, al fine di capire meglio il suo impegno nel sostegno dei diritti delle persone con disabilità.

Un’immagine di Luisella Bosisio Fazzi con un cartello recante due scritte: #CRPDwomen (Donne della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità) e #changethepicture (cambia l’immagine).

Signora Fazzi, una vita dedita al sostegno dei diritti delle persone con disabilità, ricomprendo molte cariche importanti, tra le quali la nomina come unica rappresentante italiana nel Gruppo Donne del Forum Europeo sulla Disabilità. Ci può parlare di questo suo ultimo impegno?
«All’interno del Forum Europeo si lavora attivamente per “occupare” quei luoghi dove le persone con disabilità devono essere presenti per far emergere la loro condizione. La questione di genere è una questione presente nella società ma anche nel mondo della disabilità. Aver attivato quindi un Gruppo Donne significa dare attenzione al fatto che le ragazze e le donne con disabilità, che rappresentano il 16% della popolazione femminile Europea, sono invisibili nel mondo maschile, nel mondo femminile e nel mondo della disabilità. Significa anche lavorare per garantire che le questioni relative all’uguaglianza di genere e ai diritti delle donne siano sufficientemente e adeguatamente affrontate nelle politiche, nella comunicazione e nelle pratiche di lavoro del Forum Europeo. Il nostro è un lavoro di sensibilizzazione sulla situazione specifica delle ragazze e delle donne con disabilità in Europa e questo lavoro viene fatto alla luce dell’articolo 6 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) e il suo Commento generale n. 3 [specificamente incentrato sulle donne con disabilità, N.d.R.] e la Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW). Nella pratica ci assicuriamo che i membri dell’EDF siano pienamente informati sul lavoro del Gruppo Donne; controlliamo e garantiamo che il lavoro di EDF tenga conto della prospettiva delle ragazze e delle donne con disabilità; partecipiamo come EDF nelle reti europee che rappresentano i diritti delle donne; rappresentiamo EDF nelle conferenze quali relatrici o delegate. Partecipiamo nei rispettivi Paesi e a livello Europeo nello sviluppo di strategie politiche e/o di Direttive Europee sempre per garantire al loro interno la prospettiva delle donne con disabilità». Nel sito del Forum Europeo sulla Disabilità è presente una specifica sezione dedicata alle “Donne e le politiche per l’uguaglianza di genere”.

Una particolare attenzione la rivolge alle donne con disabilità, che, come lei ribadisce in varie occasioni, sono soggette a discriminazioni multiple, con tutte le conseguenze che ciò implica, come, l’essere vittima di violenza, il non essere contemplate nei programmi di cura e di screening della salute e altre importanti problematiche riguardanti la loro vita. Per far fronte a questa grave situazione, lei afferma che occorre prima di tutto considerarle persone. Noi di «InVisibili» sposiamo in piena questa sua causa, ma secondo lei, nel concreto questo cosa significa?
«Significa renderle visibili come persone e soprattutto renderle tangibili nella dimensione più intima e profonda della propria identità fisica, emotiva e di pensiero. Significa riconoscerle come bambine, ragazze, donne. Significa che è necessario permettere, facilitare, consentire che nei contesti familiari, scolastici, sociali, professionali, etc. in cui vivono possono viversi pienamente per quello che sono: cioè donne! Significa riconoscere i nostri pregiudizi sulle donne e quelli sulle donne con disabilità. In questi ultimi anni la questione di genere è diventata centrale nelle azioni e nelle politiche. Ebbene in tutti i Documenti che affrontano la questione le donne con disabilità o non esistono o sono identificate con un generico “gruppo vulnerabile”. Troppo poco e non va bene. È necessario scrivere esplicitamente dei problemi specifici delle donne con disabilità perché questo fa aumentare le probabilità che i Governi prendano le misure adatte per risolverli e la società si renda consapevole della loro presenza come cittadine a tutti gli effetti. Una adeguata attenzione alle donne con disabilità permette di riconoscere la loro doppia invisibilità: come donne e come donne con disabilità. Si parla sempre di mainstreaming, ebbene il principio di mainstreaming significa assicurare e applicare la prospettiva del genere e della disabilità nella realizzazione di leggi, azioni e programmi relativi al genere e relativi alla disabilità.
Anche il Comitato ONU della CRPD nella sua Raccomandazione n. 14 contenuta nelle Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia (2016) sollecita il nostro Paese (per) che la prospettiva di genere sia integrata nelle politiche per la disabilità e che la condizione di disabilità sia integrata nelle politiche di genere, entrambe in stretta consultazione con le donne e le ragazze con disabilità e con le loro organizzazioni rappresentative. Il Comitato raccomanda che lo Stato parte tenga in considerazione l’articolo 6 della Convenzione ed il Commento Generale del Comitato n. 3 nell’attuazione dell’Obiettivo per lo Sviluppo Sostenibile n. 5, nei punti 5.1, 5.2 e 5.5».

Considerata questa situazione generale di criticità delle donne con disabilità, qual è il livello di inclusione nei vari ambiti della società rispetto agli uomini con disabilità?
«Ancora oggi e nonostante le battaglie femministe, ogni donna, per cultura e tradizione, nelle società in cui viviamo, è ingessata in un ruolo emarginante e discriminante. In particolare, la donna con disabilità vive in una condizione ancora più difficile poiché, spesso, questo ruolo non le viene neanche riconosciuto. La doppia discriminazione che vivono le donne con disabilità, in quanto donne e in quanto persone disabili, è evidente, ma è difficile farla emergere perché queste donne non hanno le parole per esprimerla e denunciarla. La donna con disabilità è esclusa tra gli esclusi. Essa non gode di pari opportunità né rispetto alle altre donne, né rispetto alla categoria degli uomini con disabilità.
Ancora oggi nel prendere in considerazione la condizione di disabilità si presume l’irrilevanza del genere e la disabilità viene considerata un concetto unitario che eclissa tutte le altre dimensioni. L’approccio attuale rivela la tendenza a nascondere il genere nell’esaminare le vite delle persone con disabilità, trascurando di esplorare l’influenza che il genere ha su di esse. In tutti gli interventi, le pratiche, le politiche e le azioni di contrasto alla discriminazione delle donne manca l’interesse nel progettare interventi e pratiche, politiche ed azioni per soddisfare le necessità specifiche delle donne con disabilità. E questo purtroppo ripropone la discriminazione di genere anche all’interno della popolazione con disabilità.
Attualmente non esistono studi, ricerche, dati sull’effetto della discriminazione di genere sulle bambine, ragazze, donne con disabilità. Mancano dati e statistiche sulle discriminazioni intersettoriali che colpiscono donne e ragazze con disabilità, per analizzare il loro livello di partecipazione alla vita sociale e il loro accesso alle pari opportunità in tutti gli ambiti della vita. E purtroppo non avere dati non significa che nella popolazione con disabilità non esiste il fenomeno della discriminazione di genere e intersettoriale. Significa che esiste ma è assente l’attenzione sul fenomeno e la volontà di esplorarlo per combatterlo».

Qualche anno fa, in uno dei suoi scritti ha parlato dell’importanza della libertà personale delle persone con disabilità. Diritto sancito dall’art.19 della Convenzione ONU che favorisce la Vita Indipendente e l’inclusione sociale: qual è l’effettiva situazione in Italia? Pensa che i progetti avviati siano sulla strada giusta?
«L’articolo 19 della Convenzione ONU è un articolo rivoluzionario nella sua semplicità: le persone con disabilità devono avere la possibilità di scegliere dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione.
Questa frase se è ovvia per le persone senza disabilità diventa un tormento per le persone con disabilità. L’idea stessa che una persona con disabilità possa scegliere è attualmente negata come riflessione teorica e nella prassi quotidiana, specialmente per le persone con disabilità che necessitano di sostegni nella scelta. Lo stesso art. 19 indica agli Stati i loro obblighi nell’adottare misure adeguate ed efficaci affinché le persone con disabilità possano vivere nella società e non vengano isolate o diventino vittime di segregazione.
Disparità territoriali, mancanza di servizi di sostegno, scarsità di risorse adeguate ai progetti individuali e scarsa volontà politica di programmazione verso la Vita Indipendente minano se non annullano la possibilità della persona con disabilità di scegliere in base ai propri desideri e ai propri bisogni. A volte anche le legislazioni non riconoscono alla persona con disabilità la libertà di scelta nemmeno se sostenuta. Mi riferisco all’ istituto dell’Amministratore di Sostegno che, come dice la mia amica Simona Lancioni, sociologa e responsabile del centro Informare H, quando venne approvata, nell’ormai lontano gennaio del 2004, la Legge 6, venne accolta con grande entusiasmo e aspettative ma che oggi nella pratica si presta a configurare situazioni di arbitraria compressione dei diritti di soggetti vulnerabili, quando non delle vere e proprie violenze, la qual cosa porta a concludere che l’introduzione di qualche correttivo si connota come urgente. Correttivi che ha vivamente raccomandato all’Italia anche il Comitato ONU della CRPD».

La precoce morte di suo figlio, ragazzo con disabilità, avvenuta in seguito a un tragico incidente, ha cambiato il suo modo di rapportarsi alla sua attività, e se sì come? 
«Devo confessare che la mia attività mi sta aiutando a sopportare il dolore e la sofferenza della sua assenza. Un dolore che è chiuso nel mio cuore. Un dolore duro che cerco di controllare ma che nello stesso tempo ho voglia di farlo esplodere per dire al mondo chi era Nicola e cosa il mondo ha perso perdendo Nicola. Un’attività, la mia, che mi aiuta a gestire un sentimento di rabbia visto che a quasi tre anni dall’incidente non siamo ancora arrivati a istruire il procedimento penale. Mi piacerebbe sapere da chi mi frequenta se questo evento mi ha cambiato. Personalmente cerco di mantenere un distacco nelle azioni e nei pensieri. Non vesto, anzi rifuggo, i panni della madre dolorosa. Certamente sono ancora più fermamente convinta che la condizione di disabilità non può essere né diventare una scusante per giustificare mancanze o negligenze, ma uno sprone ad operare con competenza e professionalità. Con l’umiltà di riconoscere di non poter agire da sola, ma dentro ad un movimento composto da donne e uomini con e senza disabilità. Lo devo a mio figlio».

Nei giorni scorsi, «InVisibili», il nostro blog, ha compiuto 10 anni di vita, se dovesse fare un bilancio sul rispetto dei diritti delle persone con disabilità, rispetto a dieci anni fa, a che punto siamo?
«Il movimento delle persone con disabilità ha compiuto in Europa 25 anni. E ancor prima le persone con disabilità hanno iniziato a chiedere ed ottenere che i diritti umani fossero anche per loro. Sedici anni fa venne sottoscritta la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Penso che questa ricorrenza dei 10 anni di «InVIsibili» sia nel solco dei risultati ottenuti dalle persone con disabilità attraverso il loro costante lavoro di tutela e promozione dei diritti. Molto è cambiato da quando le persone con disabilità erano raccontate da altri. Racconti che descrivevano la persona con disabilità come malata, dipendente, oggetto di assistenza e di beneficienza.
Oggi, e non da solo oggi, le persone con disabilità raccontano la loro condizione in prima persona. Questo, secondo me, è un risultato grande. Un risultato che dimostra che non dobbiamo limitarci a “contare” quanti diritti abbiamo ottenuto e quanti ne abbiamo da ottenere, ma che dobbiamo sempre pretendere di essere ascoltati e coinvolti nelle decisioni che influenzano la nostra vita. E mi sembra che su questo aspetto le persone con disabilità abbiano raggiunto un grado di consapevolezza molto elevato grazie anche a «InVisibili».
Chiudo se mi permette con una recente dichiarazione di Sif Holst, vicepresidente della Disabled People’s Organisation Denmark (DPOD), che illustra il quadro di tale consapevolezza: “Nessuno è solo una persona con una disabilità. Siamo donne, madri, insegnanti, muratori e così via. E spesso dimentichiamo che le persone con disabilità affrontano lo stesso problema di ogni altra donna o uomo, oltre ai loro problemi con la disabilità”».

* Il presente testo è già stato pubblicato su «InVisibili», il blog in tema di disabilità ospitato nel sito del «Corriere della Sera», e viene qui ripreso, con lievi adattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.

 

Vedi anche:

EDF – Forum Europeo sulla Disabilità.

Sezione del sito dell’EDF dedicata alle “Donne e le politiche per l’uguaglianza di genere”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.

 

Ultimo aggiornamento il 10 Marzo 2022 da Simona