di Marta Migliosi, attivista per i diritti delle persone con disabilità
«La segregazione non è riconducibile ad un luogo specifico ma ad una logica», osserva, tra le altre cose, Marta Migliosi, attivista per i diritti delle persone con disabilità, prendendo spunto da una recente vicenda di maltrattamenti ai danni di diverse persone anziane avvenuta in una residenza sanitaria assistita del viterbese, ma allargando la riflessione al tema dell’istituzionalizzazione delle persone con disabilità. Ben volentieri le diamo spazio.
Titolo: “C’è un grosso caso di maltrattamenti in una RSA vicino a Viterbo”. Occhiello: “Tre dipendenti sono stati arrestati con l’accusa di aver commesso gravi abusi su 21 persone anziane residenti a Villa Daniela, a Latera”. Così, il 22 gennaio 2025, la testata «Il Post» rilanciava una notizia di cronaca (fruibile a questo link) divulgata anche da altri media e agenzie di informazione. La vicenda è quella che riguarda la RSA (residenza sanitaria assistita) Villa Daniela di Latera, un Comune in provincia di Viterbo, al cui interno sono stati commessi abusi fisici e sessuali, nonché violenze di vario tipo ai danni delle persone anziane ospitate. Le violenze sono state attuate da alcuni operatori che avrebbero dovuto prestar loro assistenza. Uso l’acronimo RSA, sebbene sia impreciso, perché esso è comunemente utilizzato per indicare una struttura socio-sanitaria chiusa, al cui interno le persone ospitate ricevono assistenza. Le dinamiche di questa vicenda sono ben descritte in un testo pubblicato dal Centro Informare un’h di Peccioli (Pisa) lo scorso 24 gennaio: L’istituzionalizzazione e la “violenza addizionale”.
Ciò che suscita stupore è la tendenza della maggioranza dei media a riportare la notizia come se si trattasse di un fatto particolare, isolato, senza nemmeno provare a far emergere il carattere sistemico di queste vicende, senza mai mettere in discussione la struttura organizzativa che produce questi esiti e, in ultima istanza, il servizio stesso.
Se da una parte la narrazione deve essere equilibrata, e dunque non deve dare per scontato che la singola struttura sia necessariamente violenta, e deve evitare di creare una certa assuefazione alla violenza, dall’altra è quanto meno lontano dalla realtà parlare di emergenza o caso isolato, quando i casi noti, in realtà, sono molti.
È inoltre importante notare che per portare allo scoperto i maltrattamenti perpetrati nella struttura di Latera c’è voluto quasi un anno di indagini, e che tali indagini sono state intraprese dietro segnalazione di alcuni ex-operatori della struttura, dunque da soggetti esterni che però erano a conoscenza delle dinamiche interne della struttura stessa. Tutto ciò ci fa comprendere quanto questi luoghi siano chiusi e quanto le violenze attuate al loro interno siano normalizzate, e rientrino nel funzionamento stesso del sistema.
È fondamentale provare prestare attenzione ad alcuni elementi utili a mettere in discussione l’intero sistema:
- attualmente le RSA sono la risposta più semplice a chi ha necessità di sostegni nello svolgimento delle attività della vita quotidiana. Questa risposta rientra nel complesso dei diritti civili riconosciuti ad una persona non autosufficiente[1] che ha questo tipo di bisogno, e si inquadra nei LEA-LEPS (Livelli Essenziali di Assistenza- Livelli Essenziali delle Prestazioni in ambito Sociale);
- le RSA destinate alle persone disabili[2], ed in generale i servizi residenziali, sono gestite/i da enti profit e non profit con delle prestazioni a carico del sistema sanitario nazionale, e con la possibile compartecipazione alle spese delle persone stesse, o del Comune di residenza, con costi che vanno dai 110 ai 800 euro al giorno a posto letto. Un giro di interessi economici non indifferente.
Questi luoghi non sono sempre espressione di violenza diretta, ma sicuramente sono luoghi di privazione di libertà personale e lontani dal diritto di fruire di sostegni emancipatori. Ossia della possibilità, e non della capacità, di prendere decisioni per sé stessi/e con la stessa libertà di scelta riconosciuta alle persone senza disabilità, in un’ottica di piena cittadinanza. Tale privazione rappresenta una violazione dei diritti umani.
Oggi dobbiamo rimettere al centro del dibattito la questione dei servizi residenziali e prenderci la responsabilità e il dovere di avere delle posizioni chiare. Il punto non è migliorare l’organizzazione interna di queste strutture, ma fare in modo che il ricorso a questa soluzione rappresenti la più remota possibilità di ricevere sostegni per una persona con disabilità, soprattutto per una persona con disabilità intellettiva.
D’altra parte se sostenessimo le persone disabili assumendo una prospettiva emancipatoria, tale che possano vivere nei contesti dai quali ora veniamo esclusi, questi servizi si svuoterebbero, venendo meno il loro mandato principale e quindi la ragione della loro esistenza.
Chiaramente, e qui potremmo dilungarci molto, la segregazione non è riconducibile ad un luogo specifico ma ad una logica. Quindi, secondo me, è poco utile ridurre il dibattito all’affermazione che l’alternativa ai servizi residenziali siano i servizi domiciliari, perché ciò ripropone una logica di assistenzialismo che è ben lontana dalle logiche di cittadinanza. Diciamo piuttosto che i servizi domiciliari presentano un minor rischio di essere segreganti, ma che anche essi non escludono del tutto la possibilità che possano diventare tali.
Oggi abbiamo diversi strumenti per superare le logiche segreganti e per predisporre dei sostegni emancipatori. Tra questi rientrano certamente la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e il progetto di vita (come disciplinato dal Decreto Legislativo 62/2024). Ora è compito dell’associazionismo delle persone con disabilità spingere le Istituzioni a vari livelli in questa direzione, o il rischio è che le logiche di segregazione rimangano invariate e che gli strumenti a disposizione non vengano utilizzati al massimo delle loro possibilità.
[1] Il concetto di non-autosufficienza in realtà è superato, è corretto parlare di persone con bisogni di sostegni intensivi, considerando che non esiste una scala per misurare l’autosufficienza e riconoscendo che i bisogni umani non sono solo riconducibili alla mera sopravvivenza materiale.
[2] Nelle quali rientrano anche le persone anziane, non essendoci un limite di età.
Vedi anche:
L’istituzionalizzazione e la “violenza addizionale”, «Informare un’h», 24 gennaio 2025.
Che cosa giustifica ancora il “soggiorno obbligato” delle persone con disabilità?, intervista a Ciro Tarantino a cura di Carmela Cioffi, «Informare un’h», 15 gennaio 2025.
Ultimo aggiornamento il 4 Febbraio 2025 da Simona