di Peter Colin Hodgson*
In Italia è ancora molto diffusa la convinzione che l’istituzionalizzazione delle persone con disabilità non si possa eliminare e sia necessaria quantomeno per rispondere a situazioni di particolare complessità. Tale convinzione diffusa anche tra esponenti dell’associazionismo. È interessante scoprire che la Nuova Zelanda ha posto fine all’istituzionalizzazione delle persone con disabilità già nel 2006, quasi vent’anni fa. Pubblichiamo di seguito gli appunti per il discorso pronunciato presso il Parlamento neozelandese, il 15 novembre 2006, dall’allora ministro della Salute, Peter Colin Hodgson, in occasione della fine dell’istituzionalizzazione delle persone con disabilità in Nuova Zelanda. L’esistenza di esperienze come questa mostra come la deistituzionalizzazione non sia un’idea fantasiosa di qualche illuso/a, ma possa divenire una solida realtà per chi sceglie di investirci.

Sono orgoglioso che la Nuova Zelanda sia stata in prima linea nella deistituzionalizzazione e nel garantire una maggiore inclusione per le persone con disabilità. Il passaggio delle persone con disabilità dal vivere in istituti a vivere in case dove sono in grado di far parte della comunità è in corso da molti anni.
E, con la chiusura del Kimberley Centre, abbiamo assistito alla chiusura degli ultimi tredici istituti governativi per le persone con disabilità in Nuova Zelanda.
Uno degli obiettivi della strategia neozelandese sulla disabilità è quello di dare alle persone una vita “ordinaria”, come ogni neozelandese ha il diritto di avere. Pertanto, il processo di deistituzionalizzazione ha riguardato la garanzia che le persone con disabilità intellettiva possano vivere nella comunità e fare quotidianamente le cose che la maggior parte dei neozelandesi dà per scontate.
Ma per arrivare a questa consapevolezza, abbiamo dovuto fare molta strada. Negli anni ‘30 e ‘40 i medici di famiglia scoraggiarono attivamente i genitori di bambini nati con una disabilità dal vedere il loro bambino o dal portarlo a casa dall’ospedale. Invece, i genitori sono stati incoraggiati a mettere il loro bambino in quello che allora era noto come un ospedale psicopedico e a dimenticarsene. Se le famiglie portavano a casa il loro bambino, c’erano pochi o nessun servizio di supporto a loro disposizione.
Il Rapporto Burns, scritto alla fine degli anni ‘50, è stato uno dei primi a criticare gli istituti per essere “troppo limitanti, troppo grandi, troppo isolati e per non dare sufficiente importanza all’istruzione, alla formazione e alla riabilitazione”. Contrariamente alla prassi consolidata, il Rapporto Burns raccomandava che i bambini piccoli non venissero separati dalle loro famiglie e che, se le persone necessitavano di servizi residenziali, questi dovessero essere erogati in piccole unità familiari.
Eppure, nonostante queste crescenti preoccupazioni, gli istituti continuarono a crescere in numero e dimensioni e nel 1969 più di 2.000 persone con disabilità in Nuova Zelanda vivevano in grandi istituti psicopedici.
Nel 1973 una Commissione Reale sugli Ospedali e i Servizi Correlati presentò un rapporto sui servizi per le persone con disabilità intellettiva. Facendo eco al Rapporto Burns, la Commissione Reale respinse il modello medico di assistenza per le persone con disabilità intellettiva, raccomandò il blocco dei posti letto ospedalieri e propose l’espansione dei servizi comunitari.
Poco dopo, nel 1975, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclamò la Dichiarazione dei Diritti delle Persone Disabili che affermava che le persone disabili hanno il diritto di godere di una vita dignitosa, il più normale e piena possibile.
Da allora, questa Dichiarazione è stata alla base della politica governativa e ha avviato il processo di chiusura dell’assistenza negli istituti, con il Governo che ha imposto una moratoria sull’espansione degli ospedali psichiatrici e psicopedici. Stava diventando sempre più chiaro che questi grandi istituti non erano più un ambiente appropriato per le persone con disabilità intellettiva. Successivamente, molte persone con disabilità intellettiva sono state trasferite dagli istituti psichiatrici, con il primo grande gruppo di persone che è passato dagli istituti all’assistenza comunitaria nel 1988.
Abbiamo fatto così tanta strada che oggi siamo qui per celebrare i nostri successi nella deistituzionalizzazione. Questo Governo si impegna a continuare a sostenere le persone con disabilità affinché vivano una vita il più normale possibile. Non vedo l’ora di continuare a lavorare insieme per migliorare la qualità della vita di tutti i neozelandesi con disabilità intellettiva. Grazie.
* Il testo originale, in lingua inglese, è pubblicato con il titolo “The end of Institutionalisation” (La fine dell’istituzionalizzazione) sul sito web ufficiale del Governo della Nuova Zelanda al seguente link. Adattamento della traduzione in italiano a cura del Centro Informare un’h.
Nota: si ringrazia Giampiero Griffo per la segnalazione.
Nota: il Centro Informare un’h è impegnato nel rivendicare la promozione della deistituzionalizzazione e lo stop all’istituzionalizzazione. Temi su cui si è avviato un confronto pubblico. In calce alla pagina Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone (in aggiornamento) sono segnalati i contributi che di volta in volta si stanno susseguendo.
Sul tema si segnalano anche le seguenti risorse in lingua inglese
Warwick Brunton, The Origins of Deinstitutionalisation in New Zealand, Vol. 5, No. 2, Histories of Psychiatry after Deinstitutionalisation: Australia and New Zealand (2003), pp. 75-103 (29 pagine).
Carol Hamilton, Institutionalisation in twentieth-century New Zealand, pubblicato in Intellectual Disability in the Twentieth Century: Transnational Perspectives on People, Policy, and Practice, a cura di Jan Walmsley e Simon Jarrett, Policy Press, 2019.
Haines, H., & Abbott, M. (1985). Deinstitutionalization and social policy in New Zealand: I. Historical trends, Community Mental Health in New Zealand, 1(2), 44–56.
Ultimo aggiornamento il 11 Novembre 2025 da Simona