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Quante concessioni siamo ancora disposti a fare a chi possiede/gestisce istituti per persone con disabilità?

Secondo il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità la pratica dell’istituzionalizzazione viola ben otto articoli della Convezione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Tutti gli organismi internazionali chiedono di porre fine all’istituzionalizzazione e di promuovere la deistituzionalizzazione, come pure la nostra Legge Delega in materia di disabilità. I casi di violenze ai danni di persone con disabilità ospitate in istituti sono una costante (l’ultimo a Cuneo, pochi giorni fa). Ma chi possiede/gestisce strutture per persone con disabilità continua ad operare indisturbato e ad influenzare le politiche su questa materia. Quante concessioni siamo ancora disposti/e a fargli? Cosa deve ancora accadere affinché l’Italia si decida a disporre un piano di deistituzionalizzazione?

Scatto in bianco e nero di una pozzanghera su cui si riflette un cielo pieno di nuvole di diverse tonalità di grigio, ed in mezzo alla quale c’è un ombrello aperto, abbandonato, col manico rivolto verso l’alto (foto di Alicja Brodowicz).

Non abbiamo ancora archiviato la vicenda di maltrattamenti ai danni di persone con disabilità ospiti di una Comunità di Luserna San Giovanni, un Comune nei pressi di Torino (se ne legga a questo link), che già ci risiamo. Siamo sempre in Piemonte, ma in un’altra città. Botte e umiliazioni in un centro per disabili a Cuneo, 12 persone rinviate a giudizio, titola il testo di Stefania Carboni, pubblicato sulla testata online «Open» il 4 luglio 2025. Da esso apprendiamo che dodici operatori di un centro diurno per persone con disabilità di Cuneo sono stati rinviati a giudizio per maltrattamenti, in riferimento a una serie di episodi che si sarebbero verificati dal 2014 all’aprile del 2019. A subire le presunte violenze sarebbero stati 15 ospiti, tutti interessati da autismo associato a patologie psichiatriche. Alcuni di loro sono minorenni. Nell’inchiesta sarebbero coinvolti anche la direttrice e la coordinatrice della cooperativa sociale “Per Mano”. Sono accusate di essere state a conoscenza degli episodi di violenza e di aver detto al personale, non formato per gestire situazioni di crisi, «di non lasciare segni che potessero far insospettire i familiari – riferisce Carboni –. Molte famiglie delle presunte vittime sono ora costituite come parti civili al processo». «Secondo gli inquirenti oltre alla situazione di incuria in cui versavano gli utenti, nel centro venivano somministrate in abbondanza dosi di psicofarmaci – si legge ancora nell’articolo –. Spesso le vittime venivano abbandonate a lungo nella cosiddetta relax room, spazio in cui gli ospiti erano accompagnati quando versavano in stati di forte agitazione psicomotoria».

Possiamo già immaginare i soliti comunicati dell’associazionismo di settore che, dopo aver espresso il doveroso cordoglio istituzionale, propongono la consueta ricetta per cui il problema sarebbe il personale che va formato, sensibilizzato e pagato in modo adeguato. Il problema sarebbero anche le dimensioni delle strutture e, naturalmente, il controllo. Installiamo telecamere ovunque, chiedono, così, ci viene da pensare, oltre a essere private della libertà personale, le persone con disabilità si giocano anche il diritto alla privacy. Non che prima quest’ultimo diritto fosse particolarmente tutelato, ma pare che ora, in nome della protezione, sia lecito riprenderle 24 ore su 24, senza il loro consenso ed anche in assenza di indizi di reato.

Non pare che costoro abbiano speso tempo a chiedersi se quanto stanno proponendo sia compatibile o meno con la Convezione ONU sui Dritti delle Persone con Disabilità, quella che l’Italia ha ratificato con la Legge 18/2009. Se lo avessero fatto, avrebbero scoperto che è la stessa istituzionalizzazione ad essere incompatibile la Convenzione ONU e che rinchiudere le persone con disabilità in istituti, sia pure variamente denominati, comporta la violazione di una gran quantità dei loro diritti umani, anche quando nessuno le riempie di botte e psicofarmaci. Quali siano i diritti umani violati lo indica in modo abbastanza chiaro il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che sul tema è tornato più volte. In questo spazio faremo riferimento alle Linee guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza del 9 settembre 2022. Vediamo cosa c’è scritto.

«L’istituzionalizzazione è una pratica discriminatoria nei confronti delle persone con disabilità, contraria all’articolo 5 [Uguaglianza e non discriminazione, N.d.R.] della Convenzione. Comporta la negazione di fatto della capacità giuridica delle persone con disabilità, in violazione dell’articolo 12 [Uguale riconoscimento dinanzi alla legge, N.d.R.]. Costituisce una detenzione e una privazione della libertà basata sulla menomazione, in contrasto con l’articolo 14 [Libertà e sicurezza della persona, N.d.R.]. Gli Stati parti devono riconoscere l’istituzionalizzazione come una forma di violenza contro le persone con disabilità. Espone le persone con disabilità a interventi medici forzati con farmaci psicotropi, come sedativi, stabilizzatori dell’umore, trattamenti elettro-convulsivi e terapie di conversione, in violazione degli articoli 15 [Diritto di non essere sottoposto a tortura, a pene o a trattamenti crudeli, inumani o degradanti, N.d.R.], 16 [Diritto di non essere sottoposto a sfruttamento, violenza e maltrattamenti, N.d.R.] e 17 [Protezione dell’integrità della persona, N.d.R.]. Espone le persone con disabilità alla somministrazione di farmaci e altri interventi senza il loro consenso libero, preventivo e informato, in violazione degli articoli 15 e 25 [Salute, N.d.R.]» (punto 6, i grassetti in questa e nelle successive citazioni sono un nostro intervento). «Gli Stati parti dovrebbero abolire tutte le forme di istituzionalizzazione, porre fine ai nuovi collocamenti in istituti e astenersi dall’investire in istituti. L’istituzionalizzazione non deve mai essere considerata una forma di protezione delle persone con disabilità o una “scelta”. L’esercizio dei diritti previsti dall’articolo 19 [Vita indipendente ed inclusione nella società, N.d.R.] della Convenzione non può essere sospeso in situazioni di emergenza, comprese le emergenze sanitarie» (punto 8).

A far notare queste cose si viene accusati di scarsa empatia, al che viene spontaneo chiedersi quale livello di empatia pensa di avere chi invece vuole mantenere in vita una pratica – l’istituzionalizzazione – che viola simultaneamente ben otto articoli della Convenzione ONU.

Lasciamo perdere articoli e commi perché le situazioni reali sono ben più complesse e drammatiche di quanto la normativa possa prevedere, è l’altro ritornello che parte in automatico, ma chi lo recita non sa dire – e non dice – su quali basi giuridiche, sociologiche filosofiche o empiriche si fonderebbe questa idea per cui rinchiudere le persone con disabilità da qualche parte, con tutto il corollario di violazioni dei diritti umani che ne consegue, sarebbe un modo adeguato ed efficace per affrontare la complessità. Citano la Convenzione ONU in giorno sì e l’altro pure, ma continuano a trattare i diritti umani e le libertà fondamentali delle persone con disabilità come se fossero negoziabili. Scusate, dove sarebbe scritto?

Lasciamo perdere articoli e commi ripetono, con particolare convinzione, coloro che possiedono/gestiscono istituti e negli ultimi anni hanno percepito milioni di euro di soldi pubblici, e dunque hanno un conflitto di interessi grande come una montagna, perché lo sanno benissimo che se la questione viene posta su un piano giuridico non hanno alcuna argomentazione da spendere. Infatti l’istituzionalizzazione, oltre ad essere incompatibile con la Convenzione ONU, lo è anche con la Legge 227/2021, la cosiddetta Legge Delega al Governo in materia di disabilità, che all’articolo 2 comma 2, lettera c, numero 12, prevede esplicitamente che si debba favorire la deistituzionalizzazione e prevenire l’istituzionalizzazione. Lasciamo perdere articoli e commi perché è ideologico volerli applicare alla lettera, argomentano, ed anche perché, ci permettiamo di aggiungere, a non lasciarli perdere, potrebbe venire fuori che anche l’utilizzo dei fondi europei è soggetto al vincolo di dover essere finalizzato alla deistituzionalizzazione, intesa come transizione dall’assistenza istituzionale alla vita indipendente e l’inclusione nella comunità. Ciò è quanto prevede la “Guida sulla vita indipendente e l’inclusione nella società delle persone con disabilità nel contesto dei fondi europei”, pubblicata dalla Commissione Europea il 20 novembre 2024 (la versione originale, in lingua inglese, della Guida è disponibile a questo link, mentre quella in lingua italiana, prodotta in modo automatico e dunque non verificata, è disponibile a quest’altro link).

E, per non farci mancare nulla, il conflitto di interessi lo abbiamo declinato anche in forma indiretta, giacché chi possiede/gestisce strutture fa parte anche di organismi ombrello molto solleciti nel confermare che sì, rivendicare in modo perentorio la deistituzionalizzazione sarebbe ideologico. Dunque chi possiede/gestisce strutture può dormire sonni tranquilli, ha tutto l’appoggio di cui ha bisogno per continuare a istituzionalizzare. L’“ombrello” è salvo. Non altrettanto i diritti umani e le libertà fondamentali delle persone con disabilità. Ma per l’“ombrello”, che si pronuncia senza esplicitare il proprio conflitto di interessi, questo non è un problema. «E perché mai dovrebbe esserlo?», è il sotteso.

Visto che ci siamo, rimaniamo in tema. «Ai fornitori di servizi, agli enti di beneficenza, ai gruppi professionali e religiosi, ai sindacati e a coloro che hanno interessi finanziari o di altro tipo nel mantenere aperte le istruzioni deve essere impedito di influenzare i processi decisionali relativi alla deistituzionalizzazione», è scritto al punto 34 delle Linee guida del Comitato ONU che, va detto, ha l’“antipatica caratteristica” di essere un organo indipendente. Lo stiamo impedendo? Ma figurarsi: chi possiede/gestisce strutture siede tranquillamente nell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità e può contribuire indisturbato alla definizione delle politiche nazionali in tema di disabilità. Non ci risulta che la questione dell’incompatibilità di detti soggetti sia mai stata sollevata all’interno dell’Osservatorio, ma ci piacerebbe tanto sbagliarci, pertanto invitiamo chi avesse evidenze contrarie a farcelo sapere. Invitiamo anche chi svolge giornalismo d’inchiesta ad indagare e scrivere della questione. Voi avete mezzi e competenze di cui noi non disponiamo, dunque, per favore, aiutateci a mettere fine alla discriminazione istituzionale, se diventa visibile sarà più difficile protrarla ulteriormente.

«È tempo di porre fine all’istituzionalizzazione una volta per tutte!», è il titolo del comunicato col quale il Forum Europeo sulla Disabilità (EDF), lo scorso 5 maggio, in occasione della Giornata Europea della Vita Indipendente (The European Independent Living Day), «ha voluto ribadire ancora una volta il proprio appello all’Unione Europea, ma anche ai governi nazionali, affinché abbandonino urgentemente gli istituti segreganti a favore di servizi per la vita indipendente e basati sulla comunità. Già con il nostro documento su tale tema, prodotto nel marzo dello scorso anno – prosegue il comunicato –, avevamo delineato le ragioni per cui non possiamo rimanere in silenzio di fronte alla continua istituzionalizzazione delle persone con disabilità in tutta Europa e alla sconvolgente realtà che in molti Stati Membri dell’Unione Europea il numero di persone con disabilità istituzionalizzate continua ad aumentare» (il comunicato dell’EDF è disponibile a questo link). Il Forum non può rimanere in silenzio di fronte a tali sconvolgenti questioni, e pensare che a noi, qui in Italia, far finta di niente viene così naturale.

Le persone con disabilità, soprattutto quella psicosociale, hanno bisogno di protezione, perché il mondo è un brutto posto e senza la protezione degli istituti chiunque potrebbe approfittarne, è un altro dei temi ricorrenti. Quanto riescano ad essere protettivi gli istituti emerge con chiarezza dall’impressionante numero di vicende simili a quelle di Luserna San Giovanni e Cuneo che le cronache continuano restituirci. Ma prima ancora lo ha mostrato in modo incontrovertibile la pandemia da COVID-19. È questo un tema di cui si è occupato, tra gli altri, anche Giampiero Griffo, componente del Consiglio mondiale di DPI – Disabled Peoples’ International  e condirettore del CeRC (Centre for Governmentality and Disability Studies Robert Castel) dell’Università suor Orsola Benincasa di Napoli, in un importante approfondimento – La istituzionalizzazione in Italia, storia, dati e prospettive del 14 febbraio 2025 – di cui consigliamo la lettura integrale. Scrive Griffo: la pandemia da SAR-COV-2 ha «evidenziato tutti i limiti di un sistema italiano ancora orientato in modo prevalente alla “protezione” della persona con disabilità e non pienamente strutturato per riconoscerne e valorizzarne il potenziale nei suoi contesti di vita ed in seno alla comunità di appartenenza. I sistemi di welfare rivolti alla protezione (la cosiddetta sicurezza sociale) si sono rivelati inadeguati sia sotto il profilo sociale che sanitario, non riuscendo difatti a proteggere le persone con disabilità. Drammaticamente alto è stato il numero dei morti registrato nelle residenze».

Dunque, ricapitolando, secondo il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità la pratica dell’istituzionalizzazione viola ben otto articoli della Convezione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Tutti gli organismi internazionali chiedono di porre fine all’istituzionalizzazione e di promuovere la deistituzionalizzazione, come pure la nostra Legge Delega in materia di disabilità. La pandemia ha definitivamente sfatato il “mito della protezione”. I casi di violenze ai danni di persone con disabilità ospitate in istituti sono una costante (l’ultimo a Cuneo, pochi giorni fa). Ma chi possiede/gestisce strutture per persone con disabilità continua ad operare indisturbato e ad influenzare le politiche su questa materia. Quante concessioni siamo ancora disposti/e a fargli? Cosa deve ancora accadere affinché l’Italia si decida a predisporre un piano di deistituzionalizzazione?

Simona Lancioni
Responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa). L’autrice dichiara di non avere alcun conflitto di interessi, neanche indiretto, riguardo al tema dell’istituzionalizzazione.
Il Centro è ben lieto di ospitare ulteriori contributi sul tema in questione, ma vincola la pubblicazione all’esplicitazione di eventuali conflitti di interessi, anche indiretti, riguardo al tema considerato.

 

Vedi anche:

Simona Lancioni, Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone, «Informare un’h», 20 giugno 2025.

 

Ultimo aggiornamento il 6 Luglio 2025 da Simona