di Simona Lancioni*
Prendendo spunto dalle recenti considerazioni espresse su «Superando» da Gianfranco Vitale, padre di una persona autistica, a commento dell’ennesima drammatica notizia di violenze attuate ai danni di persone con disabilità ospiti di una comunità nei pressi di Torino, il presente testo intende contribuire alla riflessione mettendo in luce come la via maestra per prevenire e combattere la violenza commessa nei confronti delle persone con disabilità ospitate nelle strutture, sia chiedere la predisposizione di un piano nazionale di deistituzionalizzazione e la fine dell’istituzionalizzazione stessa.

Preliminarmente desidero esprimere la mia vicinanza e la mia solidarietà alle persone con disabilità vittime delle violenze attuate in una comunità di Luserna San Giovanni (Torino), di cui i media hanno riferito in questi giorni, nonché alle loro famiglie. Manifesto vicinanza anche a Gianfranco Vitale, padre di Gabriele, una persona autistica, che sulle pagine di «Superando» ha voluto esprimere la propria indignazione per questo ennesimo drammatico episodio di violenza commessa all’interno di strutture residenziali che ospitano persone con disabilità (si veda: Ancora violenze nei confronti delle persone con disabilità: è ora di dire basta!, 20 giugno 2025). Ringrazio sinceramente Vitale per i toni autentici e profondi utilizzati nel suo scritto. Toni di cui abbiamo un disperato bisogno, visto che spesso, nella narrazione pubblica di queste vicende, è facile trovare fiumi di retorica anche nei comunicati diramati dall’associazionismo di settore. Le considerazioni che seguono prendono spunto proprio dal testo di Vitale.
È «fondamentale che ai responsabili di questi abusi siano comminate pene esemplari, ma è altrettanto urgente promuovere e allargare la riflessione, per indagare sulle cause strutturali che rendono possibili gli abusi stessi», scrive, tra le altre cose, Vitale, il cui figlio, anni fa, ha trascorso alcune settimane proprio nella comunità di Luserna San Giovanni. E sebbene oggi Gabriele viva in un’altra struttura, situata a Torino, anche questa è gestita dalla stessa cooperativa che ora è al centro delle indagini della magistratura. «Non lasciamoci intimidire! – è il forte appello che Vitale rivolge alle famiglie –. Come vedete a scrivere questo articolo è un padre come me, il cui figlio è ospite in una delle strutture gestite proprio dalla cooperativa finita sotto inchiesta. Ho 76 anni e non ho paura di esprimere il mio sdegno per questa orribile situazione. Continuerò a difendere i diritti di mio figlio – e di tutte le persone autistiche come lui – anche se in passato ho ricevuto più volte pressioni e ricatti da parte della cooperativa: mi è stato chiesto di ritirare Gabriele, e recentemente sono arrivate perfino minacce di portarlo in Pronto Soccorso per un TSO [Trattamento Sanitario Obbligatorio, N.d.R.], senza alcuna reale motivazione che giustificasse un intervento così grave e traumatico».
Nel testo di Vitale si parla della «necessità improrogabile di un’intensificazione dei controlli e di una vigilanza costante all’interno delle strutture che accolgono persone vulnerabili». Mentre in un altro passaggio è scritto: «È giusto e necessario che i responsabili vengano puniti, su questo non ci sono dubbi. Tuttavia, se non cambiamo in modo profondo il sistema di gestione e controllo, tra qualche tempo ci troveremo a leggere notizie simili in un’altra comunità».
Ecco, a livello personale mi sono persuasa che cambiare «in modo profondo il sistema di gestione e controllo» non sia risolutivo, perché quella che a mio avviso va messa in discussione è la stessa istituzionalizzazione. Cerco di spiegarmi meglio. Mi sembra che attualmente l’orientamento prevalente sia quello di dire: «va bene istituzionalizzare le persone con disabilità, ma vigiliamo perché nessuno faccia loro del male». Tuttavia mi sembra che ci sia qualcosa che non torna nella premessa di questa frase, infatti, a mio parere, istituzionalizzare le persone con disabilità non va per niente bene. Ne convengo, la mia non è un’idea originale, giacché esite un corposo complesso di norme, nazionali e internazionali, tutte orientate a prevenire l’istituzionalizzazione e promuovere la deistituzionalizzazione. Ma il fatto che quella premessa venga troppo spesso data per scontata, significa che dobbiamo lavorare meglio su noi stessi/e per acquisire che l’istituzionalizzazione è una pratica che viola i diritti umani delle persone con disabilità. E li viola anche quando nessuno le minaccia, le insulta, le intimidisce, le maltratta o le sottopone ad abusi e violenze (sessuali e non), o ad altri orrori che le cronache ci restituiscono con regolarità. Confesso che ogni volta rimango molto perplessa quando noto che anche davanti a episodi gravissimi come quello di Luserna San Giovanni, invece di mettere in discussione il sistema dell’istituzionalizzazione, si cercano modi per rattopparlo, come se l’unico problema fosse quello di prevenire e contrastare solo la violenza che si concretizza in fattispecie di reati codificati. Al che mi viene da chiedere: e dell’altra violenza, quella sistemica, quando pensiamo di occuparcene?
Non sto esprimendo un giudizio su chi propone maggiori controlli e pene esemplari. Non sono contraria a queste richieste, ci tengo a precisarlo. Voglio solo stimolare un confronto autentico su un tema fondamentale quale è la libertà di scegliere dove, come e con chi vivere. Libertà che, essendo un diritto umano, va riconosciuta a tutte le persone, e dunque anche a quelle con disabilità.
Dal mio punto di vista è basilare insegnare alla testa e al cuore che l’istituzionalizzazione è incompatibile con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Infatti l’articolo 19 (Vita indipendente ed inclusione nella società), tra le altre cose, impegna gli Stati Parti – e dunque anche l’Italia – ad assicurare che: «le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione». Questa incompatibilità è stata ampiamente approfondita anche nelle Linee guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza, pubblicate dal Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità nel settembre del 2022 (se ne legga anche a questo link). Uno strumento, quest’ultimo, che definisce l’istituzionalizzazione come una pratica intrinsecamente violenta.
Credo che uno dei freni maggiori all’adozione della prospettiva delineata dalla Convenzione e dal Comitato sia la convinzione che l’istituzionalizzazione sia indispensabile. Ossia che alle necessità di sostegno elevato, molto elevato e intensivo – per utilizzare le espressioni con le quali nella recente normativa in materia di disabilità sono state rinominate le situazioni di gravità – si debba rispondere con soluzioni speciali, luoghi dedicati e altamente specializzati. Che, insomma, la segregazione che ne consegue sia un effetto collaterale inevitabile, perché, senza istituti, queste persone non potrebbero avere risposte adeguate alle loro esigenze. Ma è vero? Di certo lo considera vero chi possiede e/o gestisce queste strutture, che infatti coglie tutte le occasioni propizie per ribadirlo anche pubblicamente, appuntellando i propri argomenti con mirabolanti interpretazioni della Convenzione ONU che ammetterebbe l’istituzionalizzazione (Gulp!), ma guardandosi bene dall’esplicitare il proprio conflitto di interessi. Non sia mai che qualcuno pensi che ci guadagna sopra, e che quelle dichiarazioni siano strumentali. Ma la verità è che ciò che porta a percepire come ineludibilmente necessario questo tipo di servizi è l’idea – non adeguatamente indagata – che non esistano alternative inclusive degli stessi. L’impressione è che molti e molte queste alternative abbiano rinunciato a cercarle. Probabilmente per stanchezza, solitudine e rassegnazione. Tutti sentimenti reali e comprensibili, e tuttavia invito caldamente queste persone a non abbandonare la speranza, perché nel momento in cui, cercando meglio, scopriranno che queste alternative sono possibili, e, forti della nuova consapevolezza, inizieranno anche loro a chiedere che progettualità e risorse vengano investite in questa prospettiva, ecco che l’ineludibile necessità degli istituiti apparirà manifestamente infondata.
Per non lasciare queste riflessioni sospese in una nebulosa teorica, segnalo che rientrano certamente tra le alternative possibili i progetti di vita individuali personalizzati e partecipati disciplinati dal Decreto Legislativo 62/2024, attuativo della Legge Delega 227/2021 in materia di disabilità. Essi sono attualmente in fase di sperimentazione in diverse città e dovrebbero divenire esigibili il 1° gennaio 2027. Visto che l’ho citata, ne approfitto per evidenziare che anche nella Legge Delega vi è un esplicito riferimento alla prevenzione dell’istituzionalizzazione ed alla promozione della deistituzionalizzazione (lo trovate all’articolo 2 comma 2, lettera c, numero 12), anche se purtroppo, in maniera del tutto arbitraria, nel citato Decreto Legislativo 62 questo riferimento è stato omesso. Per questo motivo il Centro per cui lavoro sta chiedendo che la stessa dicitura venga introdotta anche nel Decreto in questione. Spero che chi interloquisce con le Istituzioni si faccia carico di questa istanza (tutti i dettagli sono disponibili a questo link).
Le mie considerazioni finiscono qui. Le argomentazioni esposte mi inducono a concludere che la via maestra per prevenire e combattere la violenza attuata nei confronti delle persone con disabilità ospitate nelle strutture, sia chiedere la predisposizione di un piano nazionale di deistituzionalizzazione e la fine dell’istituzionalizzazione. Questa richiesta va avanzata con urgenza – anche in assenza di vicende come quella di Luserna San Giovanni –, perché, lo ribadisco, anche se registro un generale clima di assuefazione all’attuale assetto dei servizi residenziali per le persone con disabilità, il Comitato ONU è molto assertivo nell’affermare che l’istituzionalizzazione è una pratica intrinsecamente violenta.
* Responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa). L’autrice dichiara di non avere alcun conflitto di interessi, neanche indiretto, riguardo al tema dell’istituzionalizzazione. Il Centro è ben lieto di ospitare ulteriori contributi sul tema in questione, ma vincola la pubblicazione all’esplicitazione di eventuali conflitti di interessi, anche indiretti, riguardo al tema considerato.
Vedi anche:
Simona Lancioni, Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone, «Informare un’h», 20 giugno 2025.
Domenico Massano, “Maltrattamento istituzionale” e violazione dei diritti di persone vulnerabili, «Informare un’h», 18 aprile 2025.
Giampiero Griffo, La istituzionalizzazione in Italia, storia, dati e prospettive, «Informare un’h», 14 febbraio 2025.
Ciro Tarantino (intervista a), Carmela Cioffi (a cura di), Che cosa giustifica ancora il “soggiorno obbligato” delle persone con disabilità?, «Informare un’h», 15 gennaio 2025.
Il soggiorno obbligato. La disabilità fra dispositivi di incapacitazione e strategie di emancipazione, a cura di Ciro Tarantino, Collana: Percorsi, Bologna, il Mulino, 2024, 672 pagine. Il testo è liberamente fruibile a questo link.
Simona Lancioni, Linee guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza, «Informare un’h», 19 settembre 2022.
Ultimo aggiornamento il 23 Giugno 2025 da Simona