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“A volte la disabilità è l’ultimo dei miei problemi”, una campagna politicamente scorretta

Dallo scorso 6 maggio è on air “A volte la disabilità è l’ultimo dei miei problemi”, la nuova campagna sociale della Fondazione di partecipazione Tetrabondi, che utilizza l’ironia, l’irriverenza e il politicamente scorretto per ribaltare gli stereotipi sulla disabilità. La campagna si compone di foto, brevi video e spot radio che hanno per protagonisti diversi giovani con disabilità alle prese con i problemi della loro età.

Mara, giovane donna in sedia a rotelle, racconta “Mi sono presa una cotta pazzesca per il migliore amico del mio ex. A volte la disabilità è l’ultimo dei miei problemi”. Una delle immagini realizzate per la campagna sociale promossa dalla Fondazione di partecipazione Tetrabondi.

Dallo scorso 6 maggio è “on air” A volte la disabilità è l’ultimo dei miei problemi, la nuova campagna sociale della Fondazione di partecipazione Tetrabondi, parola che deriva dalla fusione di tetraplegico e vagabondo, e che si propone di «ribaltare il paradigma della disabilità per distruggere stereotipi» (come si legge sul sito della Fondazione stessa). E quale migliore modalità per ribaltare uno stereotipo che quella di ricorrere all’ironia, all’irriverenza, alla provocazione, ed in definitiva al politicamente scorretto?

«Sirio, Gaia, Mara, Oly e Theo – storti, sbilenchi, sordi, ipovedenti – sono solo un piccolo pezzettino di un esercito sgangherato e irriverente di corpi e menti non conformi che vuole riappropriarsi del diritto di raccontarsi per quello che è, al di là della disabilità – spiegano dalla Fondazione –. La campagna dei Tetrabondi parla della quotidianità “normale” di queste ragazze e ragazzi attraverso le foto di Ilaria Magliocchetti Lombi, brevi video e spot radio a cui dà voce Valerio Mastandrea».

Essa è stata ideata e realizzata gratuitamente dall’agenzia SuperHumans ed ha per protagonisti Sirio di 11 anni, Oli e Theo 8, Gaia 14 e Mara 21 anni. Ognuno di loro è alle prese con i problemi ordinari legati alla propria età. Sirio, con un gestaccio, comunica che non ha studiato per la verifica, e pensa di giustificarsi facendo “morire il nonno un’altra volta”; Mara ha allegato per sbaglio al suo CV delle ”foto private. Ehm sì, proprio quelle”, ed inoltre, in un’altra immagine ammette di essersi “presa una cotta pazzesca per il migliore amico del mio ex”; i gemelli Oli e Theo sono preoccupati perché il bambino a cui hanno rubato la palla è andato a piangere dalla loro mamma, dunque sanno che c’è una “punizione in arrivo”; Gaia si sente sfigata perché dopo “settimane di sole”, oggi che voleva andare a skateare con la sua sedia a rotelle piove. Tutti loro concludono che “a volte la disabilità è l’ultimo dei problemi”.

«Parlare di disabilità non è mai facile e lo è ancora meno in una società in cui si tende a usare un linguaggio velato, che finisce per rafforzare lo stigma in nome del cosiddetto politicamente corretto – argomentano ancora dalla Fondazione –. Qui si ricorre a parole volutamente provocatorie, con l’obiettivo di distruggere i luoghi comuni melensi e pietistici che spesso accompagnano la narrazione delle persone con disabilità». La campagna sta circolando sulle testate del gruppo GEDI, le sue emittenti radiofoniche e su Internazionale, che hanno scelto di sposare e rilanciare gratuitamente il messaggio.

“Non ho studiato per la verifica di domani e ora dovrò far morire nonno un’altra volta. A volte la disabilità è l’ultimo dei miei problemi”, dice Sirio, seduto su una valigia, mentre fa un gestaccio. È un’altra delle immagini realizzate per la campagna sociale promossa dalla Fondazione di partecipazione Tetrabondi.

«La necessità di questa campagna nasce dalla consapevolezza che spesso le persone con disabilità sono cittadini di serie B, vite destinate solo alla cura e all’assistenza che attraversano la società come fantasmi, senza la possibilità di essere parte attiva del mondo e dar voce ai propri desideri, istinti, attitudini. “Questa campagna vuole raccontare persone con desideri, aspettative, diritti, bellezza, felicità. E non sono solo tetraplegici. Non sono solo sordi, ipovedenti, storti, pieni di paralisi o di distonie, con quel rivoletto di bava sempre pronto a scendere sul viso e poi sui vestiti: sono bambini e bambine, adolescenti, giovani e  futuri adulti di una società che deve imparare a guardarli per quello che sono – spiega Valentina Perniciaro, fondatrice e portavoce di Tetrabondi e mamma di Sirio, a cui fu incollata la diagnosi di “stato vegetativo” dopo un arresto cardiaco a due mesi di vita e che lui prende prepotentemente a calci da sempre –. Oltre le condizioni fisiche o mentali, oltre le menomazioni, le malformazioni ci sono persone consapevoli non solo dei loro diritti civili, tutti, ma del loro diritto alla felicità, all’autodeterminazione, alla collettività, all’adrenalina”», è scritto nel sito della Fondazione.

La scelta di utilizzare un registro provocatorio non è nuova. Viene in mente, ad esempio, la campagna di comunicazione Poteva andarmi peggio ideata e promossa dell’Associazione Parent Project nel 2021 (se ne legga a questo link). Questa campagna si componeva di sei locandine, ognuna delle quali aveva per protagonista una giovane persona con disabilità motoria. I protagonisti sorridevano ed esprimevano un messaggio con un’identica frase principale – “Poteva andarmi peggio” – ed una subordinata diversa per ciascuna locandina: “Poteva andarmi peggio. Potevo nascere complottista”, oppure omofobo, no-vax, razzista, terrapiattista, negazionista. Anche qui gli scopi erano nobili: decostruire la “visione tragica della disabilità” e raccogliere fondi per la ricerca scientifica sulle distrofie muscolari di Duchenne e Becker. Non tutti e tutte compresero e gradirono.

Venne invece premiata #ihavethisability (letteralmente: #iohoquestaabilità), una campagna di comunicazione prodotta anch’essa nel 2021 su indicazione del brand Durex (marchio facente parte della multinazionale Reckitt Benckiser con il quale produce e distribuisce profilattici e altri prodotti utili per il benessere sessuale) nell’ambito degli D&AD New Blood Awards, prestigioso premio dedicato ai giovani talenti che si affacciano al mondo della comunicazione creativa, dove si è posizionata al secondo posto (argento) nella categoria New Blood Entry (se ne legga a questo link). Essa consisteva in una serie di messaggi ironici e provocatori veicolati con affissioni in luoghi pubblici e video centrati sulla sessualità delle persone con disabilità, ciò allo scopo di ridurre la distanza tra sessualità e disabilità.

Insomma, ben vengano anche ironia e irriverenza, se usati in modo intelligente e con il coinvolgimento delle stesse persone con disabilità. Diverso sarebbe se persone senza disabilità si permettessero, in modo del tutto arbitrario, di parlare di disabilità con un registro politicamente scorretto. Perché, come per tutti e tutte, un conto è fare ironia (anche dissacrante) su sé stessi/e, altra questione è assumere come bersaglio altre persone, se queste non sono potenti e oltretutto sono esposte a stigma e marginalità sociale. Alla fine, il discrimine tra ciò che è ammesso e ciò che andrebbe evitato, si gioca su questa linea di demarcazione. (Simona Lancioni)

 

Vedi anche:

Sito della Fondazione di partecipazione Tetrabondi.

Combattere l’abilismo ribaltandone il messaggio, 13 novembre 2021.

Premiata la campagna di comunicazione per ridurre la distanza tra sessualità e disabilità, 28 maggio 2021.

 

Ultimo aggiornamento il 13 Maggio 2025 da Simona