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Deistituzionalizzazione: il grande bluff italiano

di Cristina Paderi*

«Se vogliamo davvero parlare di deistituzionalizzazione, dobbiamo smetterla con l’autocelebrazione e iniziare a guardare la realtà per quello che è. Non basta chiudere i manicomi se poi creiamo strutture con gli stessi meccanismi oppressivi. L’inclusione vera richiede politiche concrete, investimenti coraggiosi e un cambio culturale radicale», scrive, tra le altre cose, Cristina Paderi nel trattare il tema, purtroppo sempre attuale, dell’istituzionalizzazione.

Uno scorcio dell’edificio che ospitava l’ex manicomio di Aversa (Caserta) in una foto del 2012 (foto di Mauro Pagnano).

L’Italia si vanta all’estero di aver chiuso i manicomi e di essere un modello di deistituzionalizzazione. Lo raccontiamo con orgoglio, lo inseriamo nei dossier internazionali e lo utilizziamo come biglietto da visita nelle conferenze sui diritti umani. Ma la verità? La verità è ben diversa, e chi lavora nel settore lo sa bene: abbiamo chiuso i manicomi solo per sostituirli con altre forme di istituzionalizzazione, meno evidenti, più subdole, ma altrettanto oppressive.

Nel 1978, la cosiddetta ‘Legge Basaglia’ ha decretato la chiusura dei manicomi, ma cosa è successo dopo? Gli ospedali psichiatrici giudiziari sono rimasti attivi fino al 2015, e oggi molte residenze sanitarie assistenziali (RSA), strutture socio-riabilitative e comunità alloggio hanno preso il posto dei vecchi manicomi. Cambia il nome, ma la logica rimane la stessa: persone private della loro libertà, isolate, gestite secondo dinamiche istituzionali e con scarso controllo sui loro stessi diritti.

In teoria, la deistituzionalizzazione significa che le persone con disabilità devono vivere nella comunità, avere supporto personalizzato e godere di un’autonomia reale. Ma in Italia, migliaia di persone con disabilità intellettive o psicosociali sono ancora segregate in strutture dove la loro vita è scandita da orari rigidi, regolamenti interni e assistenza standardizzata. Non sono più chiamati “manicomi”, ma nei fatti lo sono ancora.

Molte RSA, ad esempio, sono diventate veri e propri ghetti per anziani e disabili, spesso in condizioni di abbandono, con scarsa trasparenza sui trattamenti e con pochi controlli effettivi. Il COVID-19 ha reso palese la realtà di queste strutture: migliaia di morti, abusi nascosti e isolamento forzato. Ma nessuno si è chiesto: perché queste persone erano ancora segregate in istituzioni invece di vivere in case e comunità aperte?

La verità è che la deistituzionalizzazione vera costa soprattutto in termini di cambio di mentalità, perché significherebbe restituire potere decisionale alle persone con disabilità. L’Italia preferisce quindi mantenere un sistema di istituzionalizzazione mascherata: meno evidente, ma più facile da gestire e più redditizio per le cooperative e gli enti privati che gestiscono le strutture.

Nel frattempo, continuiamo a venderci come paladini dei diritti umani, mentre la realtà delle persone con disabilità rimane fatta di esclusione, marginalizzazione e scelte obbligate.

Se vogliamo davvero parlare di deistituzionalizzazione, dobbiamo smetterla con l’autocelebrazione e iniziare a guardare la realtà per quello che è. Non basta chiudere i manicomi se poi creiamo strutture con gli stessi meccanismi oppressivi. L’inclusione vera richiede politiche concrete, investimenti coraggiosi e un cambio culturale radicale. Fino ad allora, l’Italia resterà un grande bluff sulla scena internazionale.

 

I seguenti documenti offrono un quadro dettagliato delle misure necessarie per garantire che le persone con disabilità possano vivere in modo indipendente e siano pienamente integrate nella società.

  • Linee guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza: pubblicate dal Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità, queste linee guida mirano a sostenere gli Stati nell’attuazione del diritto delle persone con disabilità a vivere in modo indipendente e a essere incluse nella comunità. Disponibili a questo link.
  • Commento Generale n. 5 (2017) sul diritto a vivere in modo indipendente e a essere inclusi nella comunità: questo documento del Comitato ONU approfondisce il significato dell’articolo 19 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, fornendo indicazioni agli Stati su come promuovere l’inclusione e prevenire l’istituzionalizzazione. Disponibili a quest’altro link.

 

* Cristina Paderi è un’attivista per i diritti umani delle persone con disabilità, nonché segretaria di Diritti alle Follia, un’Associazione impegnata in particolare nell’ambito della disabilità psicosociale. Il presente testo è già stato pubblicato sul portale di divulgazione scientifica «Mad in Italy», e viene qui ripreso, con lievi adattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.

 

Vedi anche:

Linee guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza, «Informare un’h», 17 settembre 2022.

Ultimo aggiornamento il 4 Febbraio 2025 da Simona