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«Dear Future Mom» e le ambiguità dell’associazionismo di settore

Realizzata da un’equipe internazionale guidata dal CoorDown nel 2014, la campagna di sensibilizzazione «Dear Future Mom», venne ritirata dai canali televisivi francesi dall’Autorità competente perché ritenuta interpretabile in senso antiabortista. La decisone venne confermata dal Consiglio di Stato francese nel 2016. Ora anche Corte Europea dei Diritti dell’Uomo rifiuta di pronunciarsi in merito ritenendo che i ricorrenti non possano essere considerati “vittime” ai sensi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Una triste vicenda che tuttavia offre alle Associazioni a cui afferiscono le persone con sindrome di Down l’occasione di chiarire la propria posizione in tema di aborto terapeutico, un aspetto su cui si riscontrano ancora diverse ambiguità. Sapranno coglierla?

Una delle protagoniste del corto “Dear Future Mom” sorride mentre abbraccia la sua mamma, anch’ella sorridente.

«Dear Future Mom» (Cara futura mamma) è un corto realizzato in occasione della Giornata mondiale della Sindrome di Down del 2014 da un’equipe internazionale guidata dal CoorDown, il Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down.

Il video è interpretato da 15 protagonisti e protagoniste con sindrome di Down che rispondono alla domanda posta loro da una futura mamma attraverso un messaggio e-mail. «Aspetto un bambino. Ho scoperto che ha la sindrome di Down. Ho paura: che vita avrà mio figlio?», chiede la donna. Invece di risponderle privatamente, diversi bambini, adolescenti e adulti con sindrome di Down, provenienti da tutta Europa, le rispondono, ognuno nella propria lingua, attraverso un video, in modo che la loro risposta possa giungere alle altre mamme che dovessero trovarsi nella stessa situazione. Queste le loro parole: «Cara futura mamma, non avere paura. Tuo figlio potrà fare un sacco di cose. Potrà abbracciarti. Potrà correrti incontro. Potrà parlare e dirti che ti vuole bene. Potrà andare a scuola, come tutti. Potrà imparare a scrivere. E potrà scriverti, se un giorno sarà lontano. Perché sì, potrà viaggiare. Potrà aiutare suo padre ad aggiustare la bici. Potrà lavorare e guadagnare i suoi soldi. E con quei soldi potrà invitarti a cena fuori. O affittare un appartamento e andare a vivere da solo. A volte sarà difficile. Molto difficile. Quasi impossibile. Ma non è così per tutte le mamme? Cara futura mamma, tuo figlio potrà essere felice, come lo sono io. E anche tu sarai felice. Vero mamma?» A questo punto tutti i protagonisti e le protagoniste abbracciano le loro rispettive mamme. Quindi compare il seguente messaggio: «Le persone con sindrome di Down possono vivere una vita felice. Anche grazie a tutti noi». Come già altre campagne di sensibilizzazione di CoorDown, anche «Dear Future Mom» è stata realizzata da Saatchi&Saatchi e ideata dai due creativi Luca Pannese e Luca Lorenzini con la regia di Luca Lucini. Inoltre essa è stata premiata al Festival della Creatività di Cannes con due Leoni d’Oro, tre d’Argento e un Bronzo. Il video, della durata di 2.28 minuti, ha avuto più di 8 milioni di visualizzazioni. Un prodotto di qualità, insomma.

La campagna è stata accolta più o meno ovunque favorevolmente fuorché in Francia, dove il Consiglio Superiore per l’Audiovisivo francese (CSA), l’equivalente della nostra AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni), era intervenuto contro alcuni canali televisivi, proprio per avere trasmesso «Dear Future Mom», con la motivazione che lo spot «benché diffuso a titolo gratuito, non può essere considerato come un messaggio d’interesse generale e la sua finalità può apparire ambigua e non suscitare un’adesione spontanea e consensuale» (grassetto mio nella citazione). Il CSA inoltre ha ritenuto «sconveniente disturbare le coscienze delle donne che nel rispetto della legge hanno fatto scelte diverse di vita personale». La decisione del CSA è stata confermata nel 2016 dal Consiglio di Stato del Paese transalpino, suscitando la forte reazione da parte di Coordown. «Nelle intenzioni nostre e dei partner internazionali che hanno collaborato alla realizzazione e alla diffusione del video – si legge in una nota diramata a suo tempo – non c’era alcun intento di fare una campagna pro-life [“in favore della vita”, N.d.R.], ma la volontà di rispondere a una madre in attesa di una bimba con la sindrome di Down che ci aveva scritto una lettera, chiedendo come sarebbe potuto essere il futuro della figlia che aspettava. Avevamo quindi deciso di dare la parola direttamente a giovani e a adulti con sindrome di Down che, pur ammettendo le difficoltà della loro condizione, avevano affermato con determinazione che la loro era una vita degna e felice».

«Il CSA perde di vista il fatto – si leggeva ancora nella nota del Coordinamento – che difendendo il diritto di scelta di alcune madri, nega la libertà di espressione alle persone con sindrome di Down, una libertà sancita anche dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità».

Contro le decisioni del CSA e del Consiglio di Stato francesi il CoorDown chiese il sostengo del Governo italiano e del Presidente della Repubblica, essendo l’Italia uno degli Stati firmatari della citata Convenzione ONU (ratificata con la Legge 18/2009), e dunque essendo tenuta a farla rispettare, mentre in Francia è stata la Fondation Jérôme Lejeune, anch’essa componente dell’equipe della campagna di sensibilizzazione, a sottoporre la vicenda alla valutazione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Infatti anche la Fondazione ha ritenuto che la condotta del CSA costituisca una discriminazione e una violazione della libertà di espressione delle persone con sindrome di Down.

Non ho notizie di eventuali riscontri avuti dal CoorDown da parte del Governo italiano e del Presidente della Repubblica, ma è datata 1° settembre 2022 la pronuncia con la quale la CEDU ha rifiutato di pronunciarsi sulla questione dichiarando irricevibili le domande della Fondation Jérôme Lejeune e di Inès (una giovane francese con Sindrome di Down), e ritenendo che i ricorrenti non possano essere considerati “vittime” ai sensi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Ne dà notizia l’agenzia «Redattore sociale» (l’articolo, a firma di Chiara Ludovisi, è stato rilanciato da «La difesa del popolo», il settimanale della Diocesi di Padova, “Dear future mom”, censurato in Francia il video di CoorDown. Senza un perché, del 5 settembre 2022). Dove, tra le altre cose, si legge che, la pronuncia della CEDU ha come conseguenza che «il video non può essere trasmesso in un contesto “pubblicitario”, cioè come singolo spot di campagna ma solo come parte di un programma “inquadrato e contestualizzato”, che lo spettatore sceglie di guardare».

Partendo dalla constatazione che il divieto di trasmissione si verificato solo in Francia, il CoorDown ha espresso il seguente commento: «Una differenza di trattamento delle persone con sindrome di Down, che la Francia come un’eccezione nel panorama internazionale e che la CEDU sembra sostenere rifiutandosi di pronunciarsi nel merito. La Fondation Jérôme Lejeune e CoorDown invitano il CSA a riconsiderare la sua decisione per porre fine a questa discriminazione, soprattutto perché il contesto attuale favorisce ampiamente l’inclusione delle persone con sindrome di Down».

Lo stesso articolo, già dal titolo (“Dear future mom”, censurato in Francia il video di CoorDown. Senza un perché), suggerisce che la scelta francese rappresenti un caso di censura e che questa sia immotivata, e d’altra parte lo stesso CoorDown aveva assicurato che nelle loro intenzioni la campagna di sensibilizzazione non ha finalità antiabortiste. E tuttavia è proprio in senso antiabortista che essa viene recepita anche da alcuni soggetti qui in Italia. Come ben esemplifica il testo di Francesco Ognibene intitolato Francia. Down, video anti-discriminazione: la Cedu non si pronuncia, resta la censura. Pubblicato su «L’Avvenire», il quotidiano di ispirazione cattolica, il 5 settembre 2022, l’articolo è introdotto dal seguente occhiello: «La Corte europea per i diritti umani ha deciso di non prendere in esame il ricorso della Fondazione Lejeune al divieto di mettere in onda «Dear Future Mom», filmato contro lo stigma (e l’aborto)» (grassetti miei nella citazione).

Chiarisco subito che non condivido la decisione del CSA francese di impedire la trasmissione del video sui canali televisivi, ma essendo impegnata nella tutela dei diritti delle donne – e dunque anche del loro diritto di fare scelte in materia di maternità libere da interferenze e giudizi esterni –, non posso che rilevare l’ambiguità di quella comunicazione. Che quella comunicazione sia ambigua non lo dimostra solo il fatto che anche «L’Avvenire» lo interpreta in senso antiabortista, ma che frequentemente sono le stesse Associazioni a cui afferiscono le persone con sindrome di Down a considerare l’aborto terapeutico come una forma di discriminazione abilista. Queste da un lato affermano di rispettare la libertà di scelta delle donne, ma contemporaneamente esprimono pesantissimi giudizi sulle loro scelte quando queste non corrispondono alle aspettative e agli interessi espressi dalle Associazioni stesse. Spesso il problema è che non distinguono tra embrioni/feti e neonati veri e propri, la qual cosa le porta a considerare – e a trattare – le donne che abortiscono come assassine o peggio. Prova ne sia un comunicato diramato dall’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) a commento della Sentenza con la quale nel 2021 l’Alta Corte inglese ha dato torto a un’attivista sui diritti umani con sindrome di Down, Heidi Crowter, e a Maire Lea-Wilson, madre di Aidan, 16 mesi (anch’egli con sindrome di Down), confermando la legittimità della norma, già operante nel Regno Unito, che consente l’interruzione della gravidanza, anche oltre il limite massimo di 24 settimane (questo il comunicato dell’Associazione: Il Caso Crowter e le vite degne di essere vissute, «Superando.it», 5 ottobre 2021). In quell’occasione l’ANFFAS ha denunciato che le modalità adottate in Inghilterra sono simili a quelle che si registrano in vari Paesi europei e del mondo e che l’Islanda ambirebbe a diventare il primo Paese europeo senza persone con Sindrome di Down. L’Associazione ha inoltre scritto che «sono molti i bambini che vengono abortiti anche in caso di un semplice sospetto che ci si trovi in presenza di un’alterazione cromosomica come la trisomia 21, la sindrome di Down, appunto»… per l’ANFFAS ad essere abortiti sono i bambini, non gli embrioni e i feti. L’Associazione guarda con preoccupazione i progressi tecnologici che rendono i test diagnostici prenatali più semplici, sempre meno invasivi e più precisi, paventa la prossima sparizione dei bambini con sindrome di Down, quindi cita il progetto nazista Action T4 volto a “sterminare” le persone con disabilità, ed esprime «l’impressione che questa ideologia non si sia mai assopita del tutto e che tutt’oggi, anche se derubricata come evoluzione della ricerca scientifica, di fatto nasconda un approccio prettamente eugenico». Ho chiesto più volte spiegazioni all’ANFFAS per queste sue dichiarazioni. L’ho fatto con questo scritto: Senza giudicare, è questo il modo più adeguato per parlare di aborto terapeutico (del 7 ottobre 2021), e in altri che ho raccolto in una pagina chiamata “Il dibattito in tema di aborto terapeutico”. Pagina nella quale è ospitata anche l’interessante opinione (Mettere le donne in condizione di mettere al mondo il mondo) di Marina Lucchesi, una donna con disabilità. Ma dall’ANFFAS non è mai giunta alcuna risposta né pubblica, né privata.

Se dunque CoorDown non vuole che «Dear Future Mom» venga inteso in senso antiabortista – come fa «L’Avvenire», senza che, per quel che mi risulta, il Coordinamento lo corregga –, forse potrebbe usare questa triste vicenda per chiarire quale sia la propria posizione sul tema dell’aborto terapeutico, un aspetto sul quale mi sembra che l’associazionismo continui da esprimere messaggi piuttosto ambigui (per usare un eufemismo). Saprà cogliere l’occasione?

Nel ribadire, a scanso di equivoci, che non condivido la decisione dell’Autorità francese di vietare la divulgazione del filmato, da attivista per i diritti delle donne (anche con disabilità) non riesco a sorvolare sulle ambivalenze che riscontro su questa materia. Ovviamente sono più che disponibile a dare spazio alle repliche di ANFFAS e CoorDown. Credo che un rispettoso confronto pubblico sarebbe occasione di crescita per tutti e tutte, me per prima.

Simona Lancioni
Responsabile del centro informare un’h di Peccioli (PI)

 

Vedi anche:

CoorDown – Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down.

Il dibattito in tema di aborto terapeutico, «Informare un’h», 2021-2022.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità: diritti sessuali e riproduttivi”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.

 

Ultimo aggiornamento il 7 Settembre 2022 da Simona