Intervista a Rosalba Taddeini, psicologa e responsabile dell’Osservatorio sulla violenza contro le donne con disabilità dell’associazione Differenza Donna, a cura di Simona Lancioni
L’attenzione al fenomeno della violenza sulle donne con disabilità è sensibilmente cresciuta negli ultimi anni, e se sono davvero tante le cose si potrebbero ancora dire e fare in questo ambito, è pur vero che qualcosa è già stato fatto. E quando si parla di cose fatte, Rosalba Taddeini, psicologa e responsabile dell’Osservatorio sulla violenza contro le donne con disabilità dell’associazione Differenza Donna di Roma, ha davvero tanto da raccontare. Nell’intervista che ci ha concesso non rileviamo solo le caratteristiche di un modello di risposta alla violenza che meriterebbe di essere replicato in ogni dove, cogliamo anche la «voglia di stare in contatto con le donne, di essere aperte, senza avere paura». Forse è proprio questo l’“ingrediente segreto” che trasforma un servizio in un servizio inclusivo. (S.L.)
La vostra è stata una delle prime ed è, al momento, una delle poche associazioni che si è predisposta per accogliere donne con disabilità vittime di violenza. Com’è nata e come si è evoluta questa idea?
«La sensibilità di Differenza Donna verso questo tema nasce nel 2008 quando insieme ad alcune donne del territorio di San Miniato (Pisa) fondammo l’Associazione Frida Khalo, per noi la famosa pittrice ha sempre rappresentato un esempio di donna forte ma vulnerabile, una donna immigrata nel periodo vissuto a New York, una donna con disabilità, una donna tradita dal marito, ecc. Un’indagine fatta da un gruppo di studi di genere americano mise in evidenza il gap esistente nella difesa dei diritti umani delle donne con disabilità, una tristissima verità che io ho sentito autentica: i movimenti per la difesa dei diritti umani delle persone con disabilità avevano tralasciato il genere nelle loro lotte, mentre quelli delle donne non si occupavano di disabilità.
Le nostre analisi rilevavano che le donne con disabilità non riuscivano ad arrivare ai Centri Antiviolenza, quindi, grazie ad un finanziamento di una grande organizzazione americana, riuscimmo a fare una prima ricerca sui pregiudizi e gli stereotipi sulla violenza contro le donne con disabilità. Nacque così il Progetto Aurora che terminò con un bel Convegno ad Empoli (Firenze), nel 2013.
Dal 2013 in poi siamo cresciute molto sul tema della violenza sulle donne con disabilità, fino ad essere riconosciute e citate come unica associazione della società civile italiana impegnata su questo fronte dall’ONU (nella sua sessantunesima sessione della Commissione sulla condizione femminile che si è svolta a New York nel 2017), ed essere invitate, lo scorso anno, alla Quarta Conferenza Mondiale dei Centri Antiviolenza a Taiwan. La nostra metodologia e i nostri strumenti nascono dai racconti delle donne, essi sono sufficientemente flessibili da essere usufruibili da tutte le donne, anche da quelle con disabilità.»
Che tipo di formazione ricevono le operatrici della sezione dell’associazione dedicata alle donne con disabilità? Questa formazione è rivolta anche alle operatrici impegnate nelle altre sezioni?
«La formazione che le attiviste dell’associazione ricevono è uguale per tutte, ma naturalmente durante l’anno vengono proposte delle tematiche da approfondire, e “la violenza di genere e la disabilità” è una di quelle a cui poniamo più attenzione e cura. Nondimeno, gli approfondimenti vengono fatti anche su temi più generali, come, ad esempio, il tema della “violenza e maternità” e della “violenza sul corpo delle donne”, e quindi sulla “salute riproduttiva”, tutti aspetti che vengono affrontati tenendo conto delle varie differenze. Il nostro tema portante è la “violenza di genere”, e sotto questo grande “cappello” inseriamo le varie discriminazioni, come la disabilità, l’orientamento sessuale, ecc. Crediamo molto che per fare un’analisi profonda della violenza maschile sulle donne si debba partire da un’analisi intersezionale: più vulnerabilità si sommano, più probabilità ci sono che si verifichino situazioni di violenza di genere.»
Quali servizi offrite alle donne con disabilità vittime di violenza?
«I servizi sono gli stessi che offriamo a tutte le donne, ad ogni donna che incontriamo chiediamo cosa vorrebbe fare e noi le supportiamo nel suo percorso, non ci sostituiamo mai alle sue scelte, ma la sosteniamo affinché il suo desiderio di uscire dalla violenza si avveri, nei modi e nelle forme che lei stessa ritiene più opportuni. In pratica sosteniamo queste donne nell’emersione della violenza subita e nella sua elaborazione; insieme a loro stiliamo un progetto di fuoriuscita dalla violenza che può prevedere, in caso di pericolo per la loro incolumità, che siano ospitate in una struttura sicura e protetta; se serve, ovviamente, offriamo anche un sostegno legale. In realtà, ora che ci penso, alle donne con disabilità offriamo una cosa in più: i focus group. Abbiamo notato che la maggior parte delle donne con disabilità che abbiamo conosciuto non hanno avuto l’opportunità di parlare tra loro di temi come la sessualità, la maternità ecc., come se questi aspetti non fossero di loro interesse. Un numero consistente di queste donne ha raccontato di essere stato escluso da questi temi, nonostante molte di loro abbiano una relazione sentimentale. Pertanto, negli incontri che stiamo facendo con donne disabili in tutta Italia parliamo di sessualità, di diritti delle donne, di relazioni affettive e di violenza. Alla fine del percorso, il 91% delle partecipanti riferisce di aver subito violenza di genere.»
Quali accorgimenti di accessibilità sono stati predisposti per svolgere al meglio i vostri servizi?
«I nostri Centri Antiviolenza e le Case Rifugio sono accessibili per disabilità motorie. Quando è capitato che la donna non potesse raggiungerci presso le nostre sedi, noi siamo andate ad incontrarla nel suo Centro di riferimento. Per venire incontro alle esigenze di donne con disabilità sensoriale esiste la possibilità di comunicare con i messaggi inviati dal cellulare, e quella di comunicare nella Lingua Italiana dei Segni (LIS) con le operatrici che la conoscono (anche se, in realtà, donne sorde che utilizzano la LIS non ne abbiamo conosciute tante). Quando ci capitano dei casi particolarmente complessi che non sappiamo affrontare da sole, ci avvaliamo del supporto di altre associazioni specifiche che lavorano in rete con noi.»
Nelle equipe di lavoro sui casi sono coinvolte anche donne con disabilità?
«Si, la nostra associazione è composta anche da donne con disabilità.»
Vi è capitato di coinvolgere qualche associazione di persone con disabilità nell’affrontare qualche caso specifico? In tal caso, che tipo di collaborazione c’è stata?
«Si, ad esempio, per affrontare il caso di una donna sorda di lingua anglofona abbiamo chiesto aiuto ad un’associazione di donne sorde che ha condotto la mediazione attraverso l’American Sign Language (ASL). Oppure, viceversa, abbiamo supportato alcune associazioni di persone con disabilità in Italia che si sono rivolte a noi per gestire situazioni di donne che subiscono violenza.»
Poi riassumerci gli ultimi dati sulla tipologia di utenti con disabilità alle quali avete prestato assistenza?
«Dalla metà del 2014 a gennaio 2020 l’associazione ha seguito 143 donne con disabilità vittime di violenza. Esse hanno un’età media di 37 anni, con un range che va dai 18 ai 67 anni. Il 98% di quelle accolte e/o ospitate presso i Centri Antiviolenza e le Case rifugio sono italiane.
Il 71% ha subito violenza psicologica, il 65% violenza economica, il 63% violenza sessuale da familiari, conoscenti e sconosciuti. Il 29% ha subito maltrattamenti in famiglia, dal marito, compagno, fidanzato, genitori, etc. Il 10% è stata vittima di violenza tramite web/social. In quasi tutte emerge un vissuto di discriminazione e violenza da parte di conoscenti e sconosciuti.
Alcune donne hanno subito molteplici forme di violenza, tra esse, 5 donne hanno contratto matrimonio forzato, mentre 7 sono state indotte alla prostituzione coatta. Tra le donne con disabilità seguite, il 72% presenta una disabilità cognitiva/intellettiva, il 18% una disabilità fisica, il 12% una disabilità fisica e cognitiva, il 7% una disabilità psichiatrica accertata, e il 3% ha una disabilità sensoriale.
Dal primo luglio l’associazione ha la gestione del 1522, il numero antiviolenza e stalking promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri.»
In cosa si distingue l’accoglienza rivolta alle donne con disabilità rispetto a quella rivolta alle altre donne vittime di violenza?
«In generale non facciamo nessuna distinzione, adottiamo solo degli strumenti specifici per condurre al meglio la nostra comunicazione. Se ci chiede sostegno una donna sorda, le chiediamo come preferisce comunicare, e, se ha bisogno di una mediatrice dei segni, al nostro incontro sarà presente la mediatrice; oppure, se abbiamo a che fare con una donna con disabilità cognitiva utilizzeremo un linguaggio più semplice. La cosa più importante è avere molta voglia di stare in contatto con le donne, di essere aperte, senza avere paura. Quando abbiamo iniziato a lavorare con loro non conoscevamo tutti i tipi di disabilità, ce li siamo fatti raccontare dalle dirette interessate, e questo ha reso le nostre relazioni più forti.»
Per approfondire:
Sito dell’associazione Differenza Donna di Roma.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.
Ultimo aggiornamento il 27 Agosto 2020 da Simona