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Voglio tutte le sorelle disabili, non solo vive, ma anche libere

di Marta Migliosi*

«Dobbiamo comprendere che questo non è un omicidio, ma un disabilicidio, vale a dire un omicidio di stampo abilista, esattamente come i femminicidi sono omicidi di stampo patriarcale. Non si tratta di casi isolati, ma dell’esito di una disparità di potere che porta la caregiver, in modo analogo al femminicida, a pensare di poter disporre completamente della vita di un’altra persona, deumanizzandola e uccidendola», lo scrive Marta Migliosi, studiosa e attivista per i diritti delle persone disabili, commentando la recente vicenda, avvenuta a Corleone (Palermo), nella quale una donna autistica è stata uccisa da sua madre, che era anche la sua caregiver. Una riflessione preziosissima – quella di Migliosi – perché fa emergere anche le dinamiche di potere che caratterizzano l’attuale sistema di servizi di assistenza per le persone disabili.

Alcuni titoli di giornali relativi a omicidi ai danni di persone con disabilità.

Ciò che provo da donna disabile è rabbia ed empatia nei confronti di Giuseppina Milone, donna disabile di 47 anni uccisa dalla madre-caregiver, ed anche la paura che questa stessa sorte possa accadere a tante mie sorelle [si riferisce alla vicenda, avvenuta lo scorso 5 dicembre a Corleone (Palermo), nella quale una donna autistica è stata uccisa da sua madre (che era anche la sua caregiver), che poi si è suicidata, se ne legga a questo link, N.d.R.].

Ritengo fondamentale proporre una riflessione – che manca – per provare a restituire un po’ di potere a Giuseppina. Infatti le narrazioni proposte dai media si sono divise in due poli che però convergono nell’empatizzare con chi ha ucciso.

Da un lato la maggioranza dei media generalisti si è piegata alla narrazione abilista e bieca che, usando espressioni come “tragedia familiare[1] e “gesto d’amore”, interpretando l’omicidio come un “averla salvata” (dalla vita?), e indugiando sul fatto che la sua “condizione” fosse “grave” allora… hanno finito per giustificare implicitamente il gesto della madre che l’ha assassinata e, conseguentemente, a cancellare la vita di Giuseppina. È emblematico che diversi giornali non riportino nemmeno il suo nome, mentre non manca quello dell’omicida, di cui sono riferite anche informazioni relative alla sua vita: «andava a messa, in vacanza, una famiglia molto conosciuta, di buon cuore». Dov’è Giuseppina in questo racconto?

Dobbiamo comprendere che questo non è un omicidio, ma un disabilicidio [2], vale a dire un omicidio di stampo abilista, esattamente come i femminicidi sono omicidi di stampo patriarcale. Non si tratta di casi isolati, ma dell’esito di una disparità di potere che porta la caregiver, in modo analogo al femminicida, a pensare di poter disporre completamente della vita di un’altra persona, deumanizzandola e uccidendola.

Esattamente come per il femminicidio, l’uso del temine disabilicidio serve ad individuare le cause che hanno portato all’omicidio, e dunque a mostrare che Giuseppina è stata uccisa perché disabile. Perché la sua morte non crea la stessa rabbia che suscitano gli altri omicidi? Perché non suscita lo stesso sentimento di ingiustizia?

Dall’altro lato, una parte del giornalismo e le dichiarazioni dell’associazionismo del settore della disabilità evidenziano la mancanza di servizi, ma sempre empatizzando con chi ha ucciso Giuseppina. Siamo pieni di giornali e titoli di articoli che hanno interpretato la vicenda attraverso il tema del “Dopo di Noi”, della carenza dei servizi e dei supporti necessari… servizi e supporti che aiutano chi?
Sicuramente la mancanza di sostegni adeguati è una concausa, ma è imprescindibile che ci domandiamo a cosa servono i sostegni, qual è la loro funzione. Perché se i sostegni servono alla famiglia o sono incentrati sulla condizione di Giuseppina, allora lei sparisce di nuovo, e l’unica cosa che abbiamo ottenuto con questo tipo di servizi e interventi è spostare l’asse del potere dalla famiglia allo Stato. Se invece immaginiamo che i sostegni servano proprio a Giuseppina per uscire dall’oppressione e vivere libera nella società, solo in questo caso l’asse del potere tornerebbe solo nelle sue mani, non in quelle di nessun altro.

È per questo che anche interpretando vicende come questa dobbiamo ribadire collettivamente che le tipologie di sostegni che devono essere attivate devono restituire potere e libertà alla persona disabile, e solo secondariamente, a cascata, alla sua famiglia. Non possiamo limitarci a parlare semplicemente di assistenza, o di sostituzione della famiglia, altrimenti staremmo continuando a trattare Giuseppina come un “oggetto”. La Legge Delega 227/2021 in materia di disabilità ed il Decreto Legislativo 62/2024 [uno dei decreti attuativi della citata Legge Delega, N.d.R.] vanno in questa direzione.

Per Giuseppina, e per tutte le persone disabili uccise, proviamo a lavorare, studiare e lottare per creare una società che ci consenta di essere non solo vive, ma anche libere.

 

* Studiosa e attivista per i diritti delle persone con disabilità.

Nota: in questo testo si fa uso del femminile sovraesteso per evidenziare la similitudine tra disabilicidio e femminicidio.

 

[1] Servizio di Ernesto Oliva, Corleone, mamma uccide figlia disabile e si suicida, «Rai News.it», 6 dicembre 2025.

[2] A tal proposito invitiamo a seguire le indicazioni proposte nel Manifesto Anti Abilista per le giornaliste e i giornalisti per il rispetto delle persone con disabilità e neurodivergenti e il contrasto all’abilismo nell’informazione, contro ogni forma di violenza e discriminazione abilista attraverso parole e immagini elaborato da Barbara Centrone, Marina Cuollo, Marianna Monterosso e Flavia Pini, pubblicato nel settembre 2024 dall’Intergruppo Parlamentare per i Diritti Fondamentali della Persona. Esso è disponibile al seguente link. In particolare il punto 9 del Manifesto Anti Abilista prescrive di «utilizzare il termine specifico “disabilicidio” per riferirsi a tutti gli omicidi compiuti sulle persone disabili e neurodivergenti in quanto tali, avendo cura di evidenziare la matrice abilista dell’atto». Mentre il punto 10 invita a considerare lo stesso Manifesto Anti Abilista come «una risorsa preziosa nelle narrazioni di molestie, abusi, violenze, disabilicidi, evitare qualsivoglia retorica: a) che avalli la sottovalutazione della violenza fisica, psicologica, economica, giuridica, culturale, sessista e abilista che le persone disabili spesso subiscono; b) che suggerisca, anche indirettamente, attenuanti e giustificazioni a chi agisce violenza su una persona disabile, ed evitare la romanticizzazione dell’atto di violenza, come ad esempio “la sofferenza/stanchezza/sopportazione del caregiver”, “difficoltà economiche nella cura”, “abbandono da parte dello Stato”, “depressione”, “è stato un atto estremo di amore/liberazione dalle sofferenze della persona disabile/neurodivergente”, e così via». Infine, il punto 12 raccomanda di «utilizzare il termine caregiver nella sua accezione più ampia di persona che si prende cura e presta assistenza alla persona disabile, evitando di rafforzare il familismo».

 

Vedi anche:

Simona Lancioni, L’uccisione delle persone con disabilità e la tendenza a empatizzare con l’omicida, «Informare un’h», 10 dicembre 2025.

Centro Informare un’h, Omicidi-suicidi: proposta di regolamentazione delle comunicazioni pubbliche, «Informare un’h», 20 febbraio 2023.

 

 

Ultimo aggiornamento il 11 Dicembre 2025 da Simona