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Toscana: edilizia residenziale pubblica e persone con disabilità esposte allo sfratto

Conversazione con Raffaello Belli a cura di Simona Lancioni

La disciplina dell’edilizia residenziale pubblica della Regione Toscana prevede che la persona con disabilità assegnataria di un’abitazione debba essere sfrattata qualora disponga di un valore ISEE superiore ai 50mila euro. L’impatto che uno sfratto può avere su una persona con grave disabilità non è neanche lontanamente equiparabile a quello, già pesantissimo, che può avere sulle persone senza disabilità, e di fatto innesca un perverso meccanismo discriminatorio sulla base della disabilità. Ne abbiamo parlato con Raffaello Belli, attivista per il diritto alla Vita Indipendente delle persone con disabilità, che ha approfondito questi aspetti. Trascriviamo le sue osservazioni e ci uniamo all’appello di giustizia sociale che ne scaturisce.

Un disegno raffigura un agglomerato di case popolari.

In Toscana la materia dell’edilizia residenziale pubblica (ERP) è disciplinata dalla Legge regionale n. 2 del 2 gennaio 2019. In particolare l’articolo 38 comma 3* lett. n) di questa norma prevede che la persona con disabilità assegnataria di un’abitazione debba essere sfrattata (anche se formalmente si parla di “decadenza dall’assegnazione”) qualora disponga di un valore ISEE (situazione economica equivalente) superiore ai 50mila euro (il doppio di quanto previsto per lo sfratto delle persone senza disabilità). Questa disposizione che, come vedremo, innesca un perverso meccanismo discriminatorio, è stata mantenuta inalterata anche nella Proposta di Legge n. 1 del 23 dicembre 2024 con la quale la Regione intende rimettere mano alla materia e apportare modifiche alla Legge regionale 2/2019.

Il meccanismo dell’ISEE, spiega Belli, si rivela equo solo in apparenza, perché non tiene conto delle sproporzionate difficoltà che le persone con disabilità devono affrontare rispetto alle altre persone, e nei fatti è particolarmente penalizzante per le persone con disabilità grave che vivono da sole.

Qualche esempio può aiutare a capire. Supponiamo che una persona con grave disabilità viva con il/la partner e i propri figli, e che questo nucleo familiare sia composto di cinque persone. L’ISEE di questo nucleo familiare avrà un valore ponderato tenendo conto della numerosità dei suoi componenti. Col tempo i figli crescono e lasciano la casa, ed anche il partner potrebbe morire o interrompere la relazione, dunque la persona disabile può ritrovarsi a vivere da sola. In tale situazione questa persona, pur disponendo dello stesso patrimonio di quando viveva con gli altri familiari, avrebbe un valore ISEE notevolmente più alto, tanto da sforare facilmente il tetto dei 50mila euro previsto per lo sfratto. Questo meccanismo non suscita questo effetto solo nel caso dei nuclei familiari numerosi. Esso funziona nello stesso modo anche per i nuclei familiari di due persone, per cui, a parità di patrimonio, la persona con disabilità grave che si ritrova vivere da sola ha un ISEE considerevolmente più alto di quando viveva assieme ad un’altra persona anche se, in concreto, il fatto di vivere da sola la rende più svantaggiata. Infatti una persona con disabilità che convive con qualcuno/a, anche se dispone di uno o più assistenti personali (sempre che possa permetterseli), può contare comunque sui supporti che la condivisione normalmente porta con sé. Ad esempio, quando si vive insieme a qualcuno una volta la spesa può andare a farla la persona disabile, un’altra volta la persona con cui convive, e/o si può impostare l’organizzazione in modo che le mansioni, domestiche e non, siano distribuite tra i conviventi. Ma la persona con disabilità che per qualche motivo si ritrova a vivere da sola non può più contare su questa condivisione dei compiti, la qual cosa comporta una crescita delle spese per l’assistenza personale. Quindi la persona disabile sola si ritrova (a parità di patrimonio) con un ISEE maggiore (rispetto a chi non vive da sola) che la espone a sfratto ed anche con maggiori spese per l’assistenza personale. Due aspetti enormemente penalizzanti legati alla sua condizione di persona disabile, giacché le persone senza disabilità non devono affrontare questi tipi di difficoltà. Difficoltà che, non essendo tenute in considerazione nel computo dell’ISEE, configurano una discriminazione indiretta sulla base della disabilità come definita dalla Legge 67/2006 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni). Recita infatti l’articolo 2, comma 2, di questa norma «Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone». «Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali», affermava, ormai tanti anni fa, il compianto don Lorenzo Milani, esprimendo con linguaggio comune un analogo concetto.

Il meccanismo dell’ISEE – prosegue Belli – è iniquo anche perché nei nuclei familiari in cui vi è una persona disabile, questa presenza viene computata con una maggiorazione di 0,5 punti, come se ci fosse un figlio in più, ma prestare assistenza ad una persona con disabilità grave richiede una spesa notevolmente maggiore rispetto a quella che comporta la cura di un figlio senza disabilità, e questa differenza non è ponderata in modo adeguato nel calcolo dell’ISEE.

A queste iniquità già rilevanti, se ne aggiungono molte altre. Vediamole.

In primo luogo possiamo osservare che se affrontare un trasloco è complicato per tutte le persone, per le persone con disabilità è molto più complesso e costoso perché per fare molte cose che le altre persone fanno in autonomia (e dunque senza costi aggiuntivi), la persona con disabilità grave è obbligata a ricorrere ad un supporto esterno, e dunque a costi organizzativi ed economici aggiuntivi. I costi organizzativi fanno parte di quel lavoro invisibile che contribuisce a tenere le persone con disabilità in una situazione di svantaggio, ma che di solito non è minimamente considerato – né compensato – nelle misure e nei servizi rivolti alle persone con disabilità.

A questa difficoltà si aggiunge quella dovuta al fatto che per vivere nelle proprie abitazioni le persone con disabilità grave fanno spesso degli adattamenti senza i quali non sarebbero in grado di fruire degli ambienti. Dunque la persona con disabilità che cambia casa deve affrontare ulteriori difficoltà e costi per ricreare nel nuovo ambiente gli accorgimenti di accessibilità che le consentono di fruire della propria abitazione. Non solo, per una persona disabile adattarsi ad un nuovo ambiente è molto più complesso, perché ciascuna persona ha i propri appoggi, le proprie strategie, le proprie routine e i cambiamenti del contesto, anche se di lieve entità, possono avere impatti significativi sull’autonomia della stessa nell’ambiente domestico. Non è un caso se sia la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001, sia la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/2009) mettono in evidenza proprio la natura interattiva della disabilità stessa – l’articolo 2 della Convenzione ONU, nel definire le persone con disabilità, parla infatti di “interazione con barriere di diversa natura” –, esplicitando come essa sia una variabile sensibile e dipendente dai cambiamenti del contesto. A ciò si aggiunga che per spostare le modifiche ci vuole tempo, la qual cosa può comportare che la persona disabile sfrattata si ritrovi a dover vivere per un certo periodo – che potrebbe protrarsi anche per settimane o mesi – in un ambiente che, essendo inadeguato alle sue esigenze, pone a repentaglio la sua sicurezza. «Che succede se casca e si fa male? Magari in maniera irreparabile? O batte la testa e muore?», si domanda Belli. Anche questi sono tutti problemi che chi non ha una disabilità non deve affrontare.

Mettiamoci poi che una persona con disabilità che vive da tanto tempo in un determinato ambiente generalmente si è creata una rete informale di aiuti che le semplificano la vita, una rete che col trasloco andrebbe dispersa. Stiamo parlando, ad esempio, dell’alimentari all’angolo che se ti mancano due cose basta telefonargli e te le porta, del vicino di casa che è disponibile in caso di emergenza, dell’amico che abita giusto nel palazzo dietro l’abitazione della persona disabile e costituisce per lei un ulteriore aiuto in determinate attività. Ed il problema della dispersione degli aiuti non si pone solo in relazione alla rete informale, ma anche con l’assistente personale o gli assistenti personali, perché non è affatto scontato che questo/questi siano disponibili a continuare a lavorare per la persona disabile se questa dovesse trovare casa, ad esempio, a diversi chilometri di distanza dall’abitazione precedente. Il che porrebbe la persona disabile nella condizione di dover trovare altri assistenti personali in fase di trasloco, ed anche qui si pongono colossali problemi organizzativi, di tempi e di costi, perché gli assistenti vanno trovati (ed in genere è un’impresa difficilissima, fra l’altro prima di individuare la persona adatta si rende necessario incontrarne diverse o parecchie), poi è necessario un periodo di prova, quindi è necessario un periodo di formazione… e nel frattempo la persona disabile come vive, visto che gli assistenti personali le servono per svolgere le attività quotidiane della vita (alzarsi, lavarsi, vestirsi, mangiare, andare al lavoro, ecc.)? Dover trovare un/a nuovo/a assistente personale è comunque traumatico per una persona con disabilità grave, ma è ancor più terribile quando ciò coincide con il trauma del trasloco.

Possiamo poi osservare che una persona con disabilità ha più difficoltà a trovare casa rispetto alle altre persone perché questa deve essere accessibile o quanto meno adattabile, la qual cosa la porta a escludere quasi del tutto che possa andare ad abitare in case vecchie, e che debba orientarsi su case nuove, che però costano molto di più. Ad esempio, nel mercato immobiliare di Firenze le case nuove costano dai 300mila euro in su, dunque sono decisamente fuori dalla portata di una persona (tanto più se vive da sola) con un ISEE da 50mila euro. Se poi la persona disabile è avanti con l’età non avrebbe nessuna possibilità di accedere a mutui o prestiti d’altro tipo. Rimarrebbe dunque la soluzione dell’affitto, ma qui si pone il problema che nelle case in affitto in genere non è consentito apportare modifiche per l’accessibilità, e oltretutto molti proprietari di immobili non affittano alle persone disabili.

In realtà la disciplina dell’edilizia residenziale pubblica offre anche degli spunti interessanti. Ad esempio è previsto che la persona assegnataria che ha più di settant’anni non possa essere costretta alla mobilità, per cui, riconoscendo che per una persona di quell’età spostarsi dal suo ambiente avrebbe un effetto più destabilizzante rispetto alle persone di età inferiore, è previsto che costei possa permanere nella sua abitazione anche se fosse possibile trovare soluzione economicamente più vantaggiosa per l’ente pubblico. Ad esempio, la persona settantenne che prima viveva con altri familiari e aveva una casa con tante stanze, anche nel caso in cui dovesse ritrovarsi a vivere sola non potrebbe essere obbligata a trasferissi in una casa più piccola. Pertanto, possiamo affermare che rispetto a questa situazione la norma antepone le esigenze della persona all’interesse economico. Dunque, tenendo presente l’esempio appena descritto, appare ancor più paradossale che nel caso delle persone con disabilità, per le quali gli spostamenti sono fonte di disagi ben maggiori, l’interesse economico di liberare l’abitazione assegnata la persona disabile venga anteposto alla tutela della stessa persona (disabile). Ma non basta, perché nel caso della mobilità è compito dell’ente pubblico individuare e assegnare una nuova abitazione idonea alla persona senza disabilità, mentre, nel caso di sfratto della persona con grave disabilità, il ben più difficile compito di trovare una nuova casa idonea e i conseguenti ben maggiori oneri personali, organizzativi ed economici sono interamente scaricati sulla stessa persona con disabilità.

Il codice civile stabilisce il principio per cui nell’adempiere a un’obbligazione i privati debbano adottare la diligenza del buon padre di famiglia, osserva infine Belli. Accade infatti che soprattutto i genitori delle classi meno abbienti lavorino tutta la vita per cercare di tutelare in qualche modo i propri figli e figlie con gravi disabilità cercando di dare loro un po’ di sicurezza materiale, ben sapendo che nei loro percorsi di vita questi ultimi incontreranno più difficoltà rispetto alle altre persone. E ora proprio questa premura legittima, doverosa e sacrosanta di genitori eroici, a causa della Legge Regionale n. 2 del 2019 della Toscana, è motivo di sfratto. «La Regione Toscana pensa davvero di poter risolvere qualcosa di significativo per l’enorme Problema Casa sfrattando alcuni disabili gravi?»: si chiede Belli.

Supportare una persona disabile nel tempo, quando può ancora contare su una serie di supporti che le derivano dalla famiglia e dalla rete informale di aiuti, e poi stabilire un meccanismo che prevede lo sfratto senza soppesare in alcun modo le reali difficoltà che questa persona incontrerà nell’affrontarlo, è ben distante da quella diligenza del buon padre di famiglia che lo Stato chiede ai comuni cittadini e cittadine, ma che, al momento, egli stesso non sta adottando.

All’inizio di gennaio, la Giunta Regionale ha presentato in Consiglio la Proposta di Legge n. 294/2025** di riforma della Legge regionale sull’Edilizia Residenziale Pubblica. È gravissimo che in questa Proposta di Legge sia mantenuto in modo del tutto inalterato lo sfratto anche delle persone con disabilità grave aventi un ISEE superiore a 50.000 euro. E questo sebbene l’assessora regionale alle Politiche abitative Serena Spinelli fosse stata informata per scritto, almeno dal Comune di Firenze, dell’esistenza del problema e avesse detto verbalmente a Belli che avrebbe cambiato la norma. Pertanto Raffaello Belli invita caldamente e pubblicamente la Regione Toscana considerare gli elementi di giustizia sociale, di civiltà e di legalità, evidenziati nel presente testo, nella definizione della Proposta di Legge regionale in questione. In particolare chiede che all’articolo 38, comma 3, lettera n), dopo le parole “…… continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione” e prima delle parole “Tale limite è soggetto ……” vengano aggiunte le parole “e salvo l’esonero dal procedimento di decadenza qualora questa persona viva da sola.” «Fermo restando – aggiunge Belli – che un minimo di decenza impone di esonerare dalla decadenza qualsiasi nucleo familiare in cui vi sia un disabile grave. E salvo precisare che, ai fini della disabilità, a nulla vale la facoltà del Comune di sospendere lo sfratto-decadenza, prevista poco dopo nello stesso articolo. A nulla vale sia perché è una facoltà del Comune, mentre qui stiamo trattando di un diritto. E sia perché la sospensione è un atto temporaneo, mentre qui stiamo trattando di disabilità permanenti».

Anche Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) – di cui chi trascrive questa nota è la responsabile –, concordando sul fatto che le difficoltà delle persone con disabilità che “decadono dall’assegnazione” siano oggettivamente incomparabili a quelle, pur onerose, delle persone senza disabilità, sostiene questo appello.

Se mantenute inalterate, queste disposizioni prospettano per la persona con disabilità grave sfrattata un futuro di istituzionalizzazione, che ne lederebbe i diritti umani sanciti dalla citata Convenzione ONU e avrebbe notevoli costi per lo Stato, e dunque per la comunità. Alla fine la giustizia sociale, che concretizza al meglio l’uguaglianza sostanziale (principio fondamentale enunciato nell’articolo 3, comma 2 della nostra Costituzione), si rivela conveniente anche sotto il profilo economico.

 

* Il comma 3 dell’articolo 38 (Accertamento della situazione del nucleo familiare e decadenza dall’assegnazione) della Legge Regionale 2/2019 recita: “Il Comune, entro sessanta giorni dall’acquisizione dei risultati degli accertamenti di cui ai commi 1 e 2, avvia obbligatoriamente il procedimento di decadenza dall’assegnazione del nucleo familiare assegnatario, qualora lo stesso […] disponga di un valore della situazione economica equivalente (ISEE) superiore al limite della prima fascia del valore ISEE stabilita dalla Regione per i diversi livelli di partecipazione finanziaria degli utenti dei servizi sanitari, sociosanitari e sociali, salvo che all’interno del nucleo familiare con ISEE uguale o inferiore ai 50 mila euro, sia presente un soggetto con invalidità riconosciuta al cento per cento.”

** A questo link è disponibile l’atto del 23 dicembre 2024 con cui la Giunta Regionale Toscana ha approvato la Proposta di Legge avente ad oggetto “Modifiche alla legge regionale 2 gennaio 2019, n. 2 – Disposizioni in materia di edilizia residenziale pubblica (ERP)” e i relativi allegati.

 

Ultimo aggiornamento il 14 Febbraio 2025 da Simona