Intervista a Nadia Muscialini a cura di Simona Lancioni
Quale supporto viene (o dovrebbe essere) fornito dai sanitari alle donne in gravidanza qualora la diagnosi prenatale individui una patologia del feto? È una delle domande che abbiamo rivolto a Nadia Muscialini, psicologa, psicoanalista e saggista, autrice, tra l’altro, del saggio “Maternità difficili. Psicopatologia e gravidanza: dalla teoria alla pratica clinica” (Franco Angeli, 2010).
Recentemente abbiamo pubblicato la testimonianza di Maria, una donna che ha raccontato la duplice pressione psicologica – vissuta da lei stessa come una vera e propria violenza – alla quale si è trovata esposta, in relazione a due gravidanze successive, nel momento in cui le diagnosi prenatali hanno rilevato la presenza di una rilevante patologia fetale. Una pressione di matrice abilista posta in essere in un contesto quasi esclusivamente antiabortista. La testimonianza ha messo in luce l’inadeguatezza sistema sanitario a fornire un appropriato supporto alle donne che, nel condurre una gestazione, devono affrontare situazioni alquanto complesse e dolorose. Di questi temi, e più in generale della salute e della tutela del benessere delle donne e dei minori che accedono ai presidi ospedalieri, si è occupata a lungo Nadia Muscialini, psicologa, psicoanalista e saggista, autrice, tra l’altro, del saggio “Maternità difficili. Psicopatologia e gravidanza: dalla teoria alla pratica clinica” (Franco Angeli, 2010). Nel testo sono trattati temi come l’aborto, l’infanticidio, l’abbandono di minori, la gravidanze conseguenti a violenza, le mamme bambine, gli aspetti psicologici legati all’aborto terapeutico, al lutto fetale e neonatale, e molti altri. Temi che mostrano come la maternità non sia sempre e solo un percorso cercato e gioioso, ma possa presentare difficoltà e ambivalenze, o divenire motivo di sofferenza e, talvolta, di lutto. Approfittando della sua disponibilità, abbiamo rivolto all’autrice qualche domanda tesa ad indagare in particolar modo quale supporto viene (o dovrebbe essere) fornito dai sanitari alle donne in gravidanza qualora la diagnosi prenatale individui una patologia del feto.
“Maternità difficili” nasce dalla sua esperienza nei reparti di maternità. Può raccontarci sinteticamente questa sua esperienza, e cosa l’ha indotta a scrivere questo saggio?
«Nell’immaginario collettivo la maternità è un momento di gioia, soddisfazione e realizzazione per la donna; la gravidanza viene rappresentata come un momento paradisiaco, stato di pura gioia e serenità, nessuno parla di quelli che sono i fastidi, gli ostacoli, le difficoltà che si possono incontrare in questo periodo. Diventare madri è un momento di passaggio, un grande cambiamento della propria identità (soprattutto con il primo figlio) e, come tutti i cambiamenti identitari, comporta momenti difficili accanto a quelli piacevoli. Inoltre, condividere il proprio corpo con quello di un altro, tenere dentro di se il feto, è un’esperienza intensissima: per alcune donne molto faticosa, per altre entusiasmante, per altre ancora insopportabile.
La gravidanza e il puerperio sono considerati dalla comunità scientifica periodi di estrema vulnerabilità durante i quali possono insorgere problematiche di salute fisica e\o mentale.
Gravidanza e puerperio sono i periodi della vita di una donna in cui vi è la più elevata probabilità di sviluppare problematiche psicologiche o psichiatriche. In tali caso sono inevitabili conseguenze sul benessere del nascituro e l’equilibrio del nucleo familiare, motivo per il quale identificarle precocemente permette di attivare tempestivamente gli interventi necessari per “curarle”.
Per alcune donne (ad esempio, nei concepimenti conseguenti a violenze) la gravidanza può essere un periodo di estrema sofferenza che può portare a compiere gesti estremi e drammatici come infanticidi, abbandono o mancato riconoscimento del neonato, o facilitare l’insorgere di psicosi o depressione puerperali.
È importante, quindi, che una gestante venga seguita in maniera multidisciplinare e completa affinché situazioni di sofferenza o di rischio vengano identificate precocemente e attivati gli interventi di aiuto e cura necessari.
La maternità è un percorso ad ostacoli e le gestanti andrebbero sempre sostenute, qualora lo richiedano, per evitare l’insorgenza di psicosi o depressione post partum, o, ancora, difficoltà nella relazione di attaccamento madre bambino\a.»
Occupandoci di disabilità, ed anche alla luce della testimonianza citata nell’introduzione, vorremmo capire meglio quale supporto viene (o dovrebbe essere) fornito dai sanitari alle donne in gravidanza qualora la diagnosi prenatale individui una patologia del feto. Può aiutarci?
«La tutela della maternità in Italia è sempre stata molto all’avanguardia (le prime leggi sono dei primi anni del 1900); la Legge 194 del 22 maggio 1978, definisce le “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. Nel testo vi sono indicazioni chiare: la donna deve essere supportata in caso di rilevazione di una patologia fetale nella fase diagnostica e decisionale, nel caso di richiesta di interruzione della gravidanza (sia nel primo che nel secondo trimestre) e anche nel caso del proseguimento della gestazione.
È ovvio che nel caso di una accertata patologia fetale il sostegno psicologico non può essere trascurato. Alla gestante (e alla coppia) devono essere fornite tutte le informazioni necessarie affinché possa prendere una decisione quanto più possibile lucida e serena relativa al proseguimento o all’interruzione della gravidanza.
Sebbene il pensiero che il feto possa avere una patologia sia presente nella mente della donna che si sottopone a diagnosi prenatale, è altrettanto vero che non si pensa mai che ciò possa accadere al proprio bambino, e la comunicazione di una patologia fetale è quindi sempre un evento traumatico.
In seguito alla rilevazione di patologia fetale è necessario quindi offrire un aiuto psicologico, sia nel caso che la donna decida di proseguire la gravidanza sia nel caso scelga di interromperla. Solo dopo avere ricevuto tutte le informazioni, che devono essere quanto più complete e affidabili, la donna può effettuare una scelta responsabile e consapevole.
Nel caso la donna scelga di interrompere la gravidanza deve ricevere assistenza medica\infermieristica\psicologica\ostetrica sia durante il ricovero sia nel periodo seguente l’aborto, periodo connotato da sentimenti di tristezza e depressione per la perdita del bambino desiderato. Il sostegno durante il ricovero è indispensabile sia per facilitare l’aborto, che nel secondo trimestre è di fatto un “un parto”, sia per l’elaborazione del lutto.
Nel caso la donna decida di proseguire la gravidanza deve ricevere adeguata assistenza medica e psicologica per affrontare momenti difficili o di ambivalenza che possono insorgere durante la gestazione o dopo la nascita del neonato.
Nel caso in cui venga rilevata una patologia fetale una maggiore medicalizzazione della gravidanza, possibili pregiudizi e prese di posizione ideologiche, possono interferire con la qualità di vita e il benessere della donna, è quindi molto importante offrire un’adeguata e completa assistenza sanitaria scevra di ogni pregiudizio e ideologia e rispettosa della Legge.»
In merito all’aborto terapeutico*, lei osserva che la Legge 194/1978 (art. 6, comma b) affida «al medico e non alla donna» la responsabilità e la possibilità di decidere riguardo alla gravidanza, giacché è il medico, e non la donna, quello chiamato a stabilire se sussiste o meno il rischio che la presenza della patologia fetale possa determinare, qualora la gravidanza fosse portata a temine, un danno per la salute psicofisica della donna. Osserva infatti: «si rivela così un nodo critico in questa Legge il cui obiettivo è quello di cercare di tutelare la salute e il benessere psicofisico della donna, ma che demanda ad altri (medici, psicologi, psichiatri) onnipotenti ruoli e responsabilità decisionali circa la vita della stessa» (pag. 158). Un quadro terrificante! Cosa succede se la donna non condivide il parere del medico?
«La donna è sicuramente l’unica che può decidere cosa è meglio per sé e la sua salute.
La scelta deve sempre essere della donna, sostenuta e aiutata dagli specialisti in caso di ambivalenza o dubbi.
Una gestante sarà in grado di affrontare una gravidanza e la nascita di un figlio con una problematica di salute nella maniera più serena possibile qualora non venga giudicata e obbligata a fare una scelta che non corrisponde al proprio desiderio.
Madri serene e consapevoli garantiranno la crescita di figli felici, diversamente madri obbligate a portare aventi o interrompere una gravidanza contro la propria volontà saranno infelici e tristi.
La criticità dell’articolo 6 della legge è soprattutto a livello pratico nel momento in cui un medico, e\o il consulente, decidano al posto della donna e non ascoltando la donna.
Altre criticità nell’applicazione della legge sono quando Centri in cui viene offerta la diagnosi prenatale non garantiscono l’interruzione di gravidanza nel caso di un’accertata patologia fetale o, viceversa, non offrano un adeguato supporto ad una donna che decide di portare avanti la gravidanza di un feto in cui vengono rilevate problematiche di salute.
Nel primo caso la donna è costretta ha “questuare” un aborto terapeutico previsto dalla Legge, nel secondo a rivendicare il proprio diritto di scelta ad amare un figlio con cui vengono rilevate problematiche di salute la cui evoluzione sarà da valutare nel futuro.»
Se analizziamo il tema dell’interruzione volontaria di gravidanza è facile trovare come, qui in Italia, la libera scelta della donna sia messa a rischio dall’elevatissima percentuale di medici obiettori di coscienza; non è invece così frequente trovare documentata la pressione ad abortire rivolta alle donne incinte in presenza di un’accertata patologia fetale, sebbene anch’essa mini la libertà di scelta della donna. Alla luce della sua esperienza, che idea si è fatta in merito?
«Esistono entrambi i problemi. Per non parlare poi del diritto a diventare madre delle donne con disabilità, argomento di cui si dibatte ancora poco a fronte di numerose discriminazioni. Ma sarebbe un argomento da trattare a lungo in questa sede.»
L’abilismo è un pregiudizio che considera come unica condizione accettata l’abilità fisica, sensoriale o mentale. Quanto pensa che sia diffuso tra il personale sanitario (non solo tra i medici) che deve supportare le donne nelle loro scelte in tema di maternità? Si sta facendo qualcosa per contrastarlo?
«Il problema più grave è quando “il medico” è convinto di essere l’Unico a sapere cos’è meglio per la gestante. Ho incontrato medici che sostenevano la scelta di abortire in caso di diagnosi di patologia fetale, ma anche quella di portare avanti la gravidanza senza consultare la donna avvalendosi solo di consulenti specialisti della salute mentale.
L’errore è considerare la donna un soggetto passivo, incapace di scegliere cosa è meglio per sé e il proprio bambino. Io ho incontrato e parlato con tantissime donne che si sono trovate in questa difficile situazione e so per certo che qualsiasi scelta fatta dalla gestante è fatta con amore e per proteggere il nascituro.
So anche che non è possibile prendere decisioni su dati teorici perché ogni caso è un caso a sé, ogni donna si confronta con la realtà di un figlio a cui viene diagnosticata una patologia fetale, e deve decidere cosa e come farlo in quella circostanza e non in linea teorica.
Se posso fare un esempio personale, io per una delle mie gravidanze mi sono sottoposta alla villocentesi ma non volevo successivamente fare l’ecografia della ventesima settimana (morfologica) convinta che qualsiasi fosse stato l’esito (anche in presenza di problematiche fetali) della stessa io avrei comunque portato avanti la gravidanza.
Il personale sanitario mi è stato di sostegno garantendomi assistenza, mai sostituendosi a me nelle decisioni, mi chiarirono però che una diagnosi precoce avrebbe potuto essere molto utile anche nel caso di rilevazione di una problematica fetale al fine di prepararsi alla nascita di un neonato con problemi di salute.
Di questa terza opzione nei dibattiti si parla poco oscillando tra ideologie abortiste e anti abortiste, in realtà, garantito il diritto fondamentale di scelta della donna, le metodiche di diagnostica prenatale sono presidi di diagnosi precoce che possono essere molto utili per attivare tutti i presidi sanitari necessari in caso di nascita di neonati con patologie congenite.»
Sembra una riflessione tutta al femminile, ma lei nelle conclusioni del suo saggio mette in rilievo l’importanza del ruolo del padre. Vuole parlarcene?
«La nascita di un figlio dovrebbe sempre essere la condivisione del desiderio di un progetto di coppia, di un padre e di una madre.
Un figlio felice nasce da genitori sereni. Il “Padre” è sicuramente molto importante nell’affiancare la donna nella gravidanza, nel parto e nella crescita di un figlio; è molto importante che sia presente, se la donna lo desidera, anche quando viene rilevata una patologia fetale, e che affianchi e sostenga la compagna nella decisione e nella scelta che essa effettuerà circa l’interruzione o il proseguimento della gravidanza.»
* In Italia l’interruzione volontaria di gravidanza è legale ed è disciplinata dalla Legge 194/1978, “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. L’interruzione volontaria di gravidanza è praticata normalmente entro i primi novanta giorni di gestazione, tuttavia l’articolo 6 della Legge 194 prevede che essa possa essere praticata anche dopo tale termine: «a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.» In tali ultime circostanze l’interruzione volontaria di gravidanza è comunemente indicata con l’espressione “aborto terapeutico”.
Nadia Muscialini è le massime esperte italiane di lotta alla violenza di genere, lavora dal 1993 presso il Servizio Sanitario Nazionale dove si è sempre occupata della salute e della tutela del benessere di donne e minori che accedevano ai presidi ospedalieri. Si occupa prevalentemente della prevenzione e del contrasto alla violenza contro donne e bambini; per il suo impegno ha ricevuto diversi riconoscimenti istituzionali. È, nel panorama nazionale, una delle pochissime persone attive e competenti nel contrasto alla violenza nei confronti delle donne con disabilità. Ha fondato e diretto fino al 2015 del Soccorso Rosa, centro antiviolenza in difesa di donne e bambini vittime di violenza domestica, presso l’ospedale San Carlo Borromeo di Milano e la Onlus Soccorso Rosa con la quale ha realizzato il progetto “Di Pari Passo”, un percorso di educazione contro gli stereotipi e la violenza di genere nelle scuole secondarie di primo e secondo grado in tutta Italia. Di Pari Passo ha ricevuto la medaglia di riconoscimento della Presidenza della Repubblica. Attualmente è responsabile del Progetto Codice Rosa del Centro Antiviolenza dell’ospedale Vittore Buzzi di Milano a tutela delle donne in gravidanza e delle mamme che subiscono violenza.
Per approfondire:
Nadia Muscialini, Maternità difficili. Psicopatologia e gravidanza: dalla teoria alla pratica clinica, prefazione di Mauro Buscaglia, postfazione di Giuseppe Pellizzari, Franco Angeli, 2010.
Quella violenza incrociata che nega la libertà di scelta delle donne in tema di maternità, a cura di Simona Lancioni, «Informare un’h», 4 gennaio 2019.
Aborto, la legge 194 compie quarant’anni. “Fra le priorità regolamentare l’obiezione di coscienza”, «La Repubblica.it», 21 maggio 2018.
Olivia Osio, Donne, maternità e disabilità: diritti, sfide culturali, etica, «Informare un’h», 24 dicembre 2018.
Nadia Muscialini (intervista a), Quando la violenza sulle donne è causa di disabilità, a cura di Simona Lancioni, «Informare un’h», 17 novembre 2017.
Simona Lancioni, In dialogo per contrastare la violenza di genere, «Informare un’h», 20 giugno 2017.
Nadia Muscialini e Armando Cecatiello (intervista a), Disabilità e violenza domestica, a cura di Simona Lancioni, «Informare un’h», 24 novembre 2015.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.
Ultimo aggiornamento: 17 gennaio 2019