di Gianfranco Vitale*
«Non è più possibile fingere sorpresa – scrive Gianfranco Vitale -: gli episodi di maltrattamenti nelle strutture che ospitano persone con disabilità si susseguono con una puntualità insopportabile. Ma la violenza non si manifesta solo nelle mani di chi picchia o umilia. Esiste anche nella freddezza di chi firma delibere senza conoscere i volti, di chi taglia fondi all’assistenza territoriale, di chi misura la fragilità in termini di bilancio».

Non è più possibile fingere sorpresa. Gli episodi di maltrattamenti nelle strutture che ospitano persone con disabilità si susseguono con una puntualità insopportabile [si veda l’articolo a firma CharB. “Blitz al centro diurno per autistici di Cuneo: eseguite diciassette misure cautelari, due in carcere”, pubblicato su «TargatoCn» del 27 ottobre 2025, N.d.R.]. Ogni volta la stessa scena: un’inchiesta, le immagini delle telecamere, le frasi indignate, qualche sospensione, un coro unanime di sdegno. Poi il silenzio. Fino al prossimo caso.
A essere accusati sono operatori, infermieri, educatori, psicologi: coloro che avrebbero dovuto prendersi cura, e invece hanno tradito nel modo più vile. Ma la verità è che il problema non si esaurisce nei gesti mostruosi di pochi individui. Questi episodi non sono il frutto di devianze isolate, bensì il sintomo di un sistema malato, che da anni si regge su omissioni, connivenze e convenienze.
Lo raccontano le tante storie di violenze fisiche e psicologiche, di diritti calpestati, di famiglie disperate che non trovano ascolto. Denunce che si perdono nei meandri della burocrazia, tra faldoni impolverati e caselle di posta elettronica dimenticate. E mentre i fascicoli restano fermi, la sofferenza continua.
A volte serve che accada “il miracolo al contrario”: qualcosa di talmente grave da rompere il muro dell’indifferenza e costringere media e autorità a muoversi. Ma è solo un’illusione di cambiamento, destinata a dissolversi in fretta. Perché, finita la tempesta, le strutture restano le stesse, i controlli restano sporadici, i responsabili si riciclano altrove.
Il punto vero è che la catena delle responsabilità è lunga. E in cima non ci sono solo gli autori materiali delle violenze, ma anche chi avrebbe dovuto impedire che accadessero: dirigenti, funzionari, tecnici dei servizi socio-sanitari, amministratori pubblici. Tutti coloro che sapevano, o potevano sapere, e hanno preferito guardare da un’altra parte.
Dietro il fallimento di queste strutture c’è l’assenza di un sistema di controllo serio, continuo, indipendente. C’è l’idea, radicata e comoda, che la disabilità si possa “gestire” delegandola a istituzioni chiuse, lontane dagli occhi e dal cuore della comunità.
È qui che la retorica dei “valori inclusivi” crolla miseramente. La Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità viene citata nei convegni, nei comunicati, nei programmi elettorali. Ma resta lettera morta quando si continuano a finanziare modelli segreganti, che separano invece di includere.
E intanto, la logica dei grandi enti gestori — pubblici e privati — continua a prosperare, sostenuta da appalti milionari, interessi trasversali, equilibri di potere che pochi hanno il coraggio di scalfire.
Eppure, le alternative ci sono, scritte nero su bianco nelle leggi che già abbiamo: budget di salute, progetti di vita personalizzati, integrazione socio-sanitaria reale. Se fossero applicate davvero, la residenzialità sarebbe l’ultima risorsa, non la prima. Ma questa prospettiva non conviene a chi, sull’istituzionalizzazione della disabilità, costruisce carriere e fortune.
La verità è che la violenza non si manifesta solo nelle mani di chi picchia o umilia. Esiste anche nella freddezza di chi firma delibere senza conoscere i volti, di chi taglia fondi all’assistenza territoriale, di chi misura la fragilità in termini di bilancio.
È un sistema che non difende i più deboli: li usa, li contiene, li monetizza. E finché continueremo ad accettarlo, ogni “caso di cronaca” sarà solo l’ennesima replica di una tragedia già scritta.
La vera domanda, allora, non è chi ha colpito, ma chi ha permesso, ancora una volta, che accadesse.
* Il presente testo è già stato pubblicato sulla testata «Superando», e viene qui ripreso, con lievi adattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.
Nota: il Centro Informare un’h è impegnato nel rivendicare la promozione della deistituzionalizzazione e lo stop all’istituzionalizzazione. Temi su cui si è avviato un confronto pubblico. In calce alla pagina Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone (in aggiornamento) sono segnalati i contributi che di volta in volta si stanno susseguendo.
Ultimo aggiornamento il 28 Ottobre 2025 da Simona
