Che un caregiver debba essere accanto a una persona con disabilità grave ricoverata in ospedale, anche (e soprattutto) in questi tempi di pandemia, e sono numerosi gli appelli in tal senso lanciati da varie Associazioni. L’importanza di tale questione, poi, viene ulteriormente evidenziata quando si verificano situazioni come quella denunciata dal quotidiano livornese «Il Tirreno», con l’articolo intitolato “Disabile al 100% sparito all’ospedale di Livorno: «Nessuna notizia, era come disperso»”. *
«Il caregiver familiare è una figura affettiva che, proprio per il fatto di avere ricoperto a lungo il ruolo di prestatore di cura e, al contempo, di facilitatore tra la persona non autosufficiente e il resto del mondo, rappresenta una risorsa indispensabile e universalmente riconosciuta per qualsiasi approccio terapeutico complesso, a maggior ragione in contesti di emergenza come quelli che occorre affrontare in una pandemia, dove la scarsità di risorse umane è costantemente in sovraffaticamento. Per questo motivo appare indispensabile e urgente effettuare un protocollo obbligatorio, non più lasciato al giudizio insindacabile di un direttore/dirigente sanitario, che permetta la presenza del caregiver familiare per le persone non autosufficienti affette da Covid in ospedale sin dal loro ingresso in pronto soccorso e nei reparti di degenza, fino alle aree di terapia sub-intensiva»: parole chiare e precise, quelle usate dalle Associazioni romane Hermes e Oltre lo Sguardo, in una lettera inviata qualche tempo fa al Ministero della Salute, e dedicata a un tema sul quale numerose altre organizzazioni di persone con disabilità e non autosufficienti si sono spese, quali ad esempio l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) e altre ancora.
L’importanza di questo tema viene ulteriormente evidenziata quando si verificano situazioni come quella denunciata lo scorso 4 febbraio dal quotidiano «Il Tirreno» di Livorno, con l’articolo a firma di Stefano Taglione, intitolato Disabile al 100% sparito all’ospedale di Livorno: «Nessuna notizia, era come disperso».
A rendere nota la vicenda è stata la signora Maria Grazia, che da sei anni si prende cura del marito, divenuto invalido al 100% per i danni riportati a seguito di un investimento mentre attraversava le strisce pedonali.
Qualche giorno fa, Paolo, il settantunenne marito della signora, era stato portato in ambulanza all’ospedale per quella che appariva come una crisi epilettica. Ebbene, per tre giorni la moglie non era riuscita ad avere alcuna notizia sulle sue condizioni, se non dopo avere contattato «Il Tirreno». «Lo abbiamo creduto disperso fra i padiglioni di Viale Alfieri – racconta la signora – visto che per tre giorni nessuno ha mai fornito notizie sulle sue condizioni di salute e su dove fosse in degenza. Solo dopo avere parlato con il giornale della mia città sono riuscita a parlare con un medico, il quale mi ha detto che mio marito si trovava al decimo padiglione, al Pronto Soccorso Covid, in attesa del ricovero, perché mancavano i posti letto». In realtà, a quanto pare, la persona era stata ricoverata poco dopo il suo arrivo in ospedale, prima in appoggio al reparto di Ortopedia e poi a Medicina.
«Capisco la pandemia – ha dichiarato Maria Grazia – e il fatto che io non possa andare a visitarlo, ma non è così che deve funzionare un ospedale. Mio marito non può stare fermo per troppo tempo, perché poi il suo corpo si riempie di piaghe. Al telefono per giorni mi hanno risposto solo gli infermieri ogni tanto. Uno di loro a un certo punto si è lamentato dicendo che “come lui c’erano trenta pazienti».
«Dal giorno dell’incidente – ha aggiunto – mio marito non può parlare, è immobile e quindi devono accudirlo nel migliore dei modi, anche se, quando attorno a lui vede persone sconosciute, smette di collaborare».
La donna ha scritto quindi una lettera al Presidente della Regione Toscana Giani, all’Assessore Regionale alla Sanità Bezzini e alla Direttrice Generale dell’Azienda USL Toscana Nord Ovest Casani. «Nel comprendere le difficoltà del personale – ha scritto nel messaggio – mi chiedo come sia possibile e in base a quale legge una persona nelle condizioni di mio marito possa essere ricoverata senza accompagnatori. Non riesco neppure volendo a farvi capire la mia preoccupazione e la mia angoscia nel saperlo da solo, in un letto fuori dal contesto familiare, magari con esami dolorosi da fare, senza poter parlare, senza una persona conosciuta che lo conforti. I medici e gli infermieri, malgrado la buona volontà, non credo possano capire le sue necessità».
La lettera si conclude con la richiesta di poter «accompagnare e assistere mio marito in caso di ricovero».
Si attendono risposte dalle Istituzioni competenti, anche se per l’intanto l’AUSL Toscana Nord Ovest, contattata anch’essa dal «Tirreno», si è già scusata per l’accaduto, facendo mettere subito in contatto il personale ospedaliero con la signora.
Da parte nostra non possiamo che commentare il fatto utilizzando il titolo di un articolo pubblicato una quarantina di giorni fa sul portale «Superando», ovvero, semplicemente, Un caregiver dev’essere accanto alla persona con disabilità grave ricoverata. (Stefano Borgato)
* Si ringrazia Tania Polidoro per la segnalazione. Il presente testo è già stato pubblicato su Superando.it, il portale promosso dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), e viene qui ripreso per gentile concessione.
Ultimo aggiornamento il 8 Febbraio 2021 da Simona