La recente vicenda, avvenuta a Corleone (Palermo), nella quale una donna autistica è stata uccisa da sua madre, che poi si è suicidata, fa emergere ancora una volta la necessità di una riflessione su come queste storie vengono raccontate. La notizia è rimbalzata sui media per lo più assumendo la prospettiva della caregiver, mentre quella della donna disabile o non compare proprio, o è minoritaria. Eppure, in questa storia, la vera vittima è proprio quest’ultima. La madre ha deciso di due vite, la figlia nemmeno della propria.

Il 5 dicembre 2025 Giuseppina Milone, 47 anni, donna autistica, è stata strangolata con una corda da sua madre e caregiver, Lucia Pecoraro, 78 anni, che poi si è tolta la vita impiccandosi nel terrazzo della propria abitazione. Il fatto è accaduto a Corleone (Palermo). La notizia è rimbalzata sui media per lo più assumendo la prospettiva della caregiver, mentre quella della donna disabile o non compare proprio, o è minoritaria*. Eppure, in questa storia, la vera vittima è proprio quest’ultima. La madre ha deciso di due vite, Giuseppina Milone nemmeno della propria. Non si tratta di giudicare, ma di analizzare. Se vogliamo prevenire questi episodi dobbiamo chiamare le cose col proprio nome: in questa storia c’è una persona che ha ucciso e una che è stata uccisa. Assumere la prospettiva della vera vittima è uno dei modi per provare ad arginare il fenomeno.
Lo ha ben compreso Patriza Gariffo, giornalista e donna con disabilità, che, commentando la vicenda, osserva: «In questi giorni, Giusy è scomparsa quasi del tutto dal racconto pubblico. Quando è stata nominata, lo si è fatto solo per ricordare la fatica reale vissuta dalla sua famiglia» (si veda: La tragedia di Corleone e la vittima divenuta invisibile, «la Repubblica», 10 dicembre 2025). «Una vicenda dolorosa, certo, ma che non può trasformarsi nella cornice che attenua un gesto irreparabile. Si continua a parlare di contesto, di disperazione, di solitudine: elementi veri, legittimi da comprendere. Ma non fino al punto da relativizzare l’uccisione di una donna che, fino a prova contraria, voleva vivere», scrive, tra le altre cose, Gariffo.
Sulla stessa linea d’onda è anche la riflessione proposta da Sofia Righetti, attivista e filosofa specializzata nei Disability Study, Queer e Crip Studies e Gender Studies, nonché anch’essa donna con disabilità. «Giuseppina Milone, 47 anni, disabile, è stata uccisa strangolata da sua madre due giorni dopo la giornata internazionale delle persone disabili – scrive Righetti sul suo profilo Instagram in un post del 9 dicembre 2025 –. Questo non è un “omicidio compassionevole”, come la stanno rigirando i giornali, è un crimine d’odio. Perché sono centinaia i casi di persone disabili uccise dai genitori e dai caregiver. E l’orrore che ti mette addosso è che i prossimi potremmo essere noi con la scusa del “se non me ne occupo io non se ne occupa nessuno”.
Quindi ora cosa dovremmo fare, ringraziare i nostri genitori/caregiver perché non ci hanno ancora ammazzate?
Chiamatelo col suo nome, si chiama DISABILICIDIO. Ci vogliamo VIVE».
Nel 2023 come Centro Informare un’h lanciammo una campagna di sensibilizzazione volta a sollecitare una riflessione sulle narrazioni pubbliche dei casi di omicidio-suicidio attuati dai/dalle caregiver a danno di sé stessi/e e della persona con disabilità di cui si curano. Omicidi-suicidi: proposta di regolamentazione delle comunicazioni pubbliche, questo il nome della campagna visibile online a questo link, poneva l’accento proprio sui messaggi sottesi a certe narrazioni. Uno degli aspetti a cui era richiesto di prestare attenzione era la necessità di sottolineare «che non rientra tre le prerogative del/la caregiver decidere arbitrariamente della morte della persona di cui si cura, e che l’unica vita di cui può disporre è solo la propria». Possiamo convenire che la campagna non abbia perso di attualità**.
Simona Lancioni
Responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa)
* Di seguito alcuni lanci: Uccide la figlia disabile e si suicida: cosa ci dice la tragedia di Corleone (Costanza Oliva, «Avvenire», 6 dicembre 2025); Corleone, donna uccide la figlia disabile e si toglie la vita. Aveva perso il marito pochi mesi fa (Redazione online, «Corriere della Sera», 6 dicembre 2025); Uccide la figlia e si suicida, chiede perdono con una lettera (Redazione ANSA, «ANSA.it», 7 dicembre 2025); Strangola la figlia disabile e poi si impicca con la stessa corda: 8 mesi fa la donna aveva perso il marito (Redazione Cronaca, «Il Fatto Quotidiano», 6 dicembre 2025); Un caregiver che uccide è un fallimento dello Stato: perché i soldi per il “dopo di noi” ci sono ma non vengono spesi (Chiara Ludovisi, «Vita», 9 dicembre 2025); L’omicidio-suicidio di Corleone, folla e lacrime ai funerali: “Che tragedia, inutile cercare di capire il perché” (Redazione, «PalermoToday», 9 dicembre 2025); Uccide la figlia disabile a Corleone e si suicida, Lucia Pecoraro ha lasciato una lettera chiedendo scusa (Simone Gervasio, «Virgilio Notizie», 7 dicembre 2025).
** Trascriviamo di seguito il testo della proposta.
Proposta di regolamentazione delle comunicazioni pubbliche rivolta ai/alle caregiver, a chi opera nel comparto sociale, sanitario e giudiziario/giuridico, ed ai/alle professionisti della comunicazione
Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli chiede che nelle comunicazioni pubbliche relative agli episodi di omicidi-suicidi attuati dai caregiver e dalle caregiver ai danni di sé stessi e della persona con disabilità a cui prestano assistenza vengano considerati i seguenti aspetti:
- che sia fatto rilevare che le soggettività coinvolte nei tragici episodi sono due, quella del/la caregiver e quella delle persone con disabilità, che entrambe sono vittime di una violenza sistemica-istituzionale, e che entrambe le loro rappresentanze devono avere voce nella narrazione pubblica di questi eventi;
- che venga esplicitato che la prevenzione di tali eventi possa essere conseguita solo accogliendo simultaneamente sia le legittime istanze dei/delle caregiver, sia quelle – altrettanto legittime, ma non necessariamente sovrapponibili – delle persone con disabilità;
- che, senza mettere in discussione il diritto della persona (anche disabile) a prendere libere decisioni anche sui temi del fine vita, ci si disponga a rilevare, per quanto possibile, se l’omicidio della persona con disabilità è stato attuato col suo consenso oppure no;
- che gli omicidi non consensuali e i suicidi non vengano mai messi sullo stesso piano perché i primi rappresentano la più estrema violazione dei diritti umani che si possa compiere nei confronti di un individuo, mentre i secondi, pur essendo gesti terribili, si configurano come atti di disposizione di sé;
- che non rientra tre le prerogative del/la caregiver decidere arbitrariamente della morte della persona di cui si cura, e che l’unica vita di cui può disporre è solo la propria;
- che sia esplicitato che il lavoro di cura svolto dai/dalle caregiver debba sempre essere attuato nei termini di supporto alle decisioni della persona con disabilità e nel rispetto del suo diritto all’autodeterminazione, e mai con modalità sostitutive della sua volontà e delle sue preferenze, e che tale principio si applica a tutte le persone con disabilità, a prescindere dal tipo e dalla gravità della disabilità stessa (come sancito dall’articolo 12 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità);
- che, pur con la consapevolezza che l’istituzionalizzazione sia essa stessa una forma di violenza sistemica-istituzionale che va combattuta in tutti i modi, l’alternativa ad essa non sia, né mai possa essere, l’arbitraria negazione del diritto alla vita della persona con disabilità;
- che la violenza sistemica-istituzionale subita dalle parti non possa mai essere assunta dalla caregiver e dal caregiver per giustificare l’omicidio non consensuale delle persone con disabilità o altre forme di violenza nei loro confronti;
- che quando un omicidio non consensuale è attuato nei confronti di una donna con disabilità sia necessario indagare e far rilevare che il crimine potrebbe essere stato compiuto in ragione della sua disabilità ma anche del suo genere;
- che le caregiver, i caregiver e le persone con disabilità debbano mettersi insieme per contrastare gli stereotipi ed i pregiudizi, purtroppo ancora diffusi, che la vita della persona con disabilità sia tragica ed indegna di essere vissuta;
- che, senza sminuire le innegabili violazioni dei diritti umani a cui sono esposti i caregiver, le caregiver e le persone con disabilità, dalla narrazione emerga come il lavoro di cura rappresenti, per i soggetti coinvolti, anche un’occasione di condivisione e di costruzione di relazioni autentiche e profonde, nonché di crescita personale;
- che non vengano mai veicolati messaggi che, anche solo implicitamente, mettano in discussione o in dubbio il diritto alla vita delle persone con disabilità.
Ultimo aggiornamento il 11 Dicembre 2025 da Simona