intervista a Simone Giangiacomi a cura di Chiara Santato*
«Say it clear, say it loud: gay is good, gay is proud!» (Ditelo chiaramente, ditelo a voce alta: gay è bello, gay è orgoglio!) fu il grido lanciato durante le prime parate e rimasto lo slogan ufficiale del movimento del Pride, l’orgoglio gay. Giugno è, appunto, il mese dedicato al Pride da quando, nel 1969, i clienti dello Stonewall Inn (locale gay di New York) – a seguito dell’ennesima retata della polizia – si rivoltarono e scesero in piazza con migliaia di persone, non nascondendo più la propria sessualità. Una battaglia che riguarda tuttз **, comprese le persone con disabilità. Simone Giangiacomi, presidente di UILDM di Ancona (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), ci ha raccontato la sua esperienza personale e di attivista della comunità LGBTQIA+.
Giugno è il mese dedicato al Pride, vale a dire all’orgoglio di appartenere alla comunità LGBTQIA+. Cosa significa per te, Simone, farne parte e lottare per i valori che la animano?
«Questo mese è importante per tutta la comunità LGBTQIA+ (ove tale acronimo sta per persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersesessuali, asessuali e, più in generale, tutte quelle persone che non si sentono pienamente rappresentate sotto l’etichetta di donna o uomo eterosessuale), e per me ha molti significati: vivere un momento libero e spensierato dove posso esprimere tutto il mio orgoglio di essere una persona completa e serena. Perché il mio è stato un percorso difficile, fatto di accettazione e paura di essere giudicato o abbandonato. Questo perché molto spesso la società etero normativa, cattolica e patriarcale ti porta a non fidarti e a guardarti sempre alle spalle perché frequentemente la discriminazione si presenta nel contesto dove cresci e vivi tutti i giorni, e per una persona disabile non autosufficiente tutto questo può essere terribilmente e doppiamente difficoltoso.
Io ho fatto il mio primo coming out a 32 anni con la mia famiglia e alcuni amici. Prima la mia vita era stata sempre costellata di bugie, mi nascondevo per via del mio orientamento sessuale. A tutto ciò aggiungo anche il fatto di non aver mai vissuto una relazione affettiva-sessuale con nessuna persona, e questo non mi ha aiutato. Adesso per me la situazione è cambiata anche grazie all’impegno e l’attività di volontariato all’interno dell’Arcigay Comunitas Ancona, in qualità di componente del Consiglio Direttivo. Grazie a questa bellissima realtà sono finalmente libero e orgoglioso di essere gay. Per me il mese del Pride significa libertà e ribadire il concetto che “l’amore è senza barriere”».
Le persone con disabilità spesso subiscono doppie discriminazioni: a te è mai capitato? Se sì, come hai reagito?
«Di base la società e le persone si pongono nei confronti delle persone con disabilità, sia nel linguaggio che negli atteggiamenti, come se queste ultime non fossero adatte a fare o fossero fragili, senza considerare altro. Posso dire che sono stato discriminato, e mi sento discriminato, quando non posso accedere ad un locale perché non accessibile. Mi sento discriminato quando vengo trattato con superficialità, quando non sono considerato alla pari delle altre persone, ad esempio, se pensano che sia incapace di lavorare o fare volontariato. Questo non ha senso, sono dei pregiudizi. Mi sono imbattuto in alcune persone che, per via della mia disabilità, in relazione alla sfera affettiva e sessuale mi hanno considerato come una “seconda scelta”, o non adatto a vivere questi aspetti della mia vita perché sono disabile, quando la realtà è ben diversa. C’è la concezione che il corpo in qualche modo deve essere perfetto e fatto in un certo modo, altrimenti sei fuori e sei scansato, sei emarginato».
Spesso anche i Pride che vediamo sfilare per le città non sono accessibili. Pensi che la situazione stia cambiando?
«Sappiamo benissimo che purtroppo le città spesso non offrono servizi o garantiscono l’accessibilità alle persone con disabilità. In questi ultimi anni la sensibilità è aumentata soprattutto nell’organizzazione dei Pride, grazie anche al lavoro di Simone Riflesso, attivista disabile e queer che con il suo SondaPride, ha sollecitato з organizzatorз, grazie a un questionario, a rendere accessibile a tuttз questa importante iniziativa.
Io, nel mio piccolo, ho offerto il mio aiuto nell’organizzazione del Marche Pride di Civitanova Marche che si è svolto lo scorso 17 giugno. Purtroppo ci imbattiamo in una città che offre pochi servizi per le persone con disabilità. Il Comitato Marche Pride, з volontarз, attivistз e tuttз hanno lavorato tantissimo per creare una mappatura sull’accessibilità, fornire dei servizi durante il corteo, e rendere il più possibile fruibile alle persone con disabilità la partecipazione alla manifestazione».
Sei un volontario UILDM da molti anni. Questa esperienza cosa sta dando alle attività che segui per il Pride? E viceversa?
«Tutta l’esperienza che ho maturato in questi anni in UILDM è stata ed è preziosa, un vero e proprio bagaglio di cultura che posso trasmettere ad altre realtà ed iniziative come il Pride. Essa sta dando una forte spinta verso temi come l’accessibilità e l’inclusione, a partire dalla percezione che i diritti appartengono a tuttз, sia se sei un volontario e attivista della UILDM, sia dell’Arcigay. Tutte le lotte sociali hanno obiettivi che ci uniscono».
Essere riconosciutз dalla società come cittadini è il primo passo dal quale derivano tante altre scelte politiche legate alla salute, alla Vita indipendente, all’assistenza. Battaglie che riguardano tutta la società, non solo alcuni settori. Come far capire che queste sono, appunto, battaglie comuni? Quali strumenti servono, come costruire maggiore cultura dell’inclusione?
«Ho sempre detto in varie occasioni d’incontro e confronto che, purtroppo, nella vita la disabilità si può presentare improvvisamente o per via dell’invecchiamento, quindi le battaglie per aver garantita una vita autonoma e indipendente rivendicano diritti che appartengono a tuttз.
Per esempio la possibilità di sperimentare l’erotismo e il proprio corpo sono diritti che devono essere riconosciuti e proprio per questo, oltre a cambiare la cultura e la società, deve essere istituita in Italia la figura dell’assistente sessuale per le persone con disabilità (OEAS – Operatore all’emotività, all’affettività e alla sessualità). Tutte le persone con disabilità devono parlare, esprimersi, farsi sentire con tutti i mezzi possibili. Dobbiamo creare momenti di incontro, partecipare alla vita politica e associativa, essere parte attiva come tutte le persone, senza distinzione. Questa per me è cultura inclusiva.
Noi persone con disabilità dobbiamo ricordarci il motto “nulla su di noi senza di noi”, facciamoci avanti!»
* La presente intervista è già stata pubblicata sul sito della UILDM Nazionale (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), e viene qui ripreso, con lievi adattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.
** In questo testo si fa uso dello schwa (ə) per il singolare e dello schwa lungo (з) per il plurale in luogo delle desinenze femminili e maschili comunemente utilizzate quando ci si riferisce alle persone. Si tratta di un tentativo sperimentale finalizzato a promuovere l’impiego di un linguaggio inclusivo dei generi femminile, maschile e non binario (per approfondire si veda: Un linguaggio accessibile e inclusivo delle differenze tra i generi).
Vedi anche:
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema: “Il contrasto all’abilismo e all’omolesbobitransfobia”.
Ultimo aggiornamento il 21 Giugno 2023 da Simona