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L’istituzionalizzazione e la “specialità della casa”

«Perché il concetto di “specialità” così energicamente rifiutato, ad esempio, in àmbito scolastico, è ancora largamente e pacificamente accolto in relazione alle politiche per l’abitare delle persone con disabilità? Perché, in altre parole, abbiamo abolito le scuole speciali, ma sembra non scatti alcun campanello d’allarme davanti al persistere delle “case speciali”?» Se lo chiede Simona Lancioni in questo nuovo contributo in tema di istituzionalizzazione.

Una casa di legno nel bosco (foto di Enida Nieves su Pexels).

L’ANFFAS (Associazione Nazionale di Famiglie e Persone con Disabilità Intellettive e del Neurosviluppo) «contrasta ogni maldestro tentativo di “generalizzata criminalizzazione” di servizi [si riferisce alle le strutture semiresidenziali e residenziali per le persone con disabilità, N.d.R.] senza i quali le persone con disabilità, specie quelle a più alta complessità, non avrebbero alcuna possibilità di scegliere di poter vivere al meglio le proprie vite in luoghi adatti alle loro specifiche esigenze, ai loro desideri e alle loro aspettative» (formattazione mia in questa e nelle successive citazioni). Il passaggio è contenuto in una nota informativa diramata dall’Associazione il 13 gennaio 2025 (il cui testo è disponibile a questo link), a commento della nomina dell’Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità, un organo collegiale istituito con il Decreto Legislativo 20/2024, entrato in vigore dal 1° gennaio 2025. In questa nota l’Associazione ribadisce la propria posizione in tema di istituzionalizzazione che, nella sostanza, consiste nel ritenere che per rispondere alle specifiche esigenze delle persone con disabilità con necessità di sostegno elevato, molto elevato e intensivo siano necessari luoghi speciali. Per sostenere questa posizione – che si potrebbe connotare con l’espressione “specialità della casa” –, l’ANFFAS arriva a proporre una versione manipolata dell’articolo 19 (Vita indipendente ed inclusione nella società) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Infatti nella nota è scritto che le persone con disabilità «nel rispetto dell’art. 19 della Convenzione ONU hanno il diritto di poter scegliere dove come e con chi vivere, comprese le strutture semiresidenziali o residenziali, senza mai essere costrette ad una specifica sistemazione, contro la propria volontà». Possiamo notare come, in questa formulazione, l’inciso “comprese le strutture semiresidenziali o residenziali” sia stato inserito in modo del tutto arbitrario allo scopo di far credere che l’istituzionalizzazione sia compatibile con la Convenzione ONU. Un’interpretazione che contrasta con tutte le indicazioni fornite su questa materia dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, l’organo indipendente che, tra gli altri compiti, ha anche quello di dare indicazioni sull’interpretazione della Convenzione. In realtà il comma 1, lettera (a) dell’articolo 19 impegna gli Stati che hanno ratificato la Convenzione ad assicurare, tra le altre cose, che «le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione». Risulta pertanto evidente che il contenuto della disposizione della Convenzione è ben diverso da quello veicolato dall’ANFFAS nella sua nota (su questo tema si veda l’approfondimento pubblicato a questo link).

Dunque la domanda sorge spontanea: perché l’ANFFAS sta distorcendo la Convenzione ONU? Ritengo che il motivo sia il suo conflitto di interessi: l’Associazione gestisce moltissime strutture residenziali e semiresidenziali. È difficile rintracciare il numero preciso ma, interrogando il database delle strutture presente nel sito istituzionale, emerge che sono abbondantemente sopra il centinaio. Si tratta di servizi per la cui gestione l’Associazione percepisce cospicue somme di denaro pubblico.

Ma forse le domande che dovremmo porci con più urgenza sono altre: perché molte famiglie e persone con disabilità continuano a fidarsi e ad affidarsi ad un’Associazione che propone loro la “specialità della casa”, nonostante quest’ultima sia innegabilmente in contrasto con la Convenzione ONU? Perché il concetto di “specialità” così energicamente rifiutato, ad esempio, in àmbito scolastico (l’Italia ha superato il sistema delle classi differenziali con la Legge 517/1977), è ancora largamente e pacificamente accolto in relazione alle politiche per l’abitare delle persone con disabilità? Perché, in altre parole, abbiamo abolito le scuole speciali, ma sembra non scatti alcun campanello d’allarme davanti al persistere delle “case speciali”?

Le risposte a tali quesiti possono essere molteplici, e tuttavia quella che mi è sembrata più convincente emerge da una nota a piè di pagina del volume di Alessia Lovece e Massimiliano Verga La vita indipendente per le persone con disabilità. Un diritto fondamentale (Ledizioni, 2024). Ed in particolare, dal terzo capitolo dell’opera, che è dedicato al tema del “Dopo di Noi”(come disciplinato dalla Legge 112 del 2016, contenente Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare). Riporto di seguito il testo integrale della nota n. 2, ed invito a leggerlo senza alcun giudizio, ma semplicemente stando in ascolto:

«Pur con il rischio di scivolare in facili retoriche, non può essere taciuto come, per un familiare di una persona con disabilità, il “Dopo di noi” non rappresenti soltanto un insieme di asettiche disposizioni in materia di assistenza (per riprendere una porzione del titolo della legge), ma sia, anche e soprattutto, un tema che non di rado assume i contorni di una quotidianità angosciante e dolorosa. Detto altrimenti, prima ancora che una legge, il “Dopo di noi” è uno stato d’animo che, a maggior ragione con l’avanzare dell’età, assume i tratti di una preoccupazione devastante, totalizzante ed emergenziale che non di rado compromette la già precaria serenità di un percorso di vita contrassegnato, oltre che dall’affetto e dalle reciproche cure, da logoranti fatiche fisiche e psichiche. Fatiche che certamente dipendono anche dell’intensità del sostegno [corsivo nell’originale, N.d.R.] richiesta dal proprio familiare con disabilità (per usare il linguaggio proposto dalla recente Legge 227 [si riferisce alla Legge Delega 227/2021 in materia di disabilità, N.d.R.]), ma che, in via prioritaria, sono attualmente dovute alle maratone burocratiche richieste dal nostro ordinamento nel “Durante” e alla consolidata incertezza nei confronti dei servizi previsti per le persone con disabilità nel “Dopo”» (pagina 35).

Leggendo queste riflessioni viene da pensare che la “specialità della casa” si presti ad essere considerata come una risposta plausibile per molti familiari – anche se non per tutti – che vivono il “Dopo di Noi” come uno stato d’animo che assume i tratti di una preoccupazione devastante, totalizzante ed emergenziale anche in ragione di una consolidata incertezza nei confronti dei servizi previsti per le persone con disabilità nel “Dopo”. Come accennato, non si tratta di esprimere giudizi, ma di mettersi in ascolto e, soprattutto – mi viene da aggiungere –, di disporsi a considerare le istanze dei e delle familiari come complementari – e dunque non contrapposte – a quelle delle persone con disabilità. Provo a spiegarlo meglio. Cosa vogliono le persone con disabilità? Vogliono essere accolte come sono, ed esprimere sé stesse nel mondo di tutti e tutte. Cosa vogliono i/le familiari? Che i servizi previsti per le persone con disabilità nel “Dopo di loro” siano esigibili e affidabili. Ritengo che in concreto ciò che induce i/le familiari a orientarsi verso l’istituzionalizzazione potrebbe essere proprio il fatto di ritenere che questi due requisiti – esigibilità e affidabilità – siano garantiti solo dalle “case speciali”. Ritengo anche che questa convinzione li/le induca a minimizzare o a considerare insopprimibile il tratto discriminatorio di questa soluzione. La narrazione dominate è fortemente orientata a far passare il messaggio che i percorsi siano obbligati e che non ci siano alternative all’istituzionalizzazione. E, dall’altra parte, guardando il tema dalla prospettiva del familiare che invece nell’istituzionalizzazione non ci ha mai creduto, ed ha fatto di tutto per evitarla, crediamo che possa pensarla diversamente quando si proietta nel “Dopo di sé”? Ma se è così, come se ne esce?

Credo che sia necessario decostruire questa convinzione lavorando su più livelli. Da un lato segnalando il conflitto di interessi di chi la sta strumentalmente alimentando, e dall’altro lato mostrando che è possibile predisporre Progetti di Vita personalizzati, partecipati, esigibili e affidabili che consentano anche alla persona con disabilità con necessità di sostegno elevato, molto elevato e intensivo di vivere nella comunità, potendo usufruire di tutti i supporti di cui ha bisogno. Sono esattamente questi i tratti distintivi del Progetto di Vita disciplinato dal Decreto Legislativo 62/2024, attuativo della Legge Delega in materia di disabilità. Uno strumento che attualmente è in fase di sperimentazione. La redazione del Progetto di Vita impegna la persona con disabilità (che ne è titolare), nonché gli altri soggetti coinvolti nella stesura, a predisporre i servizi a partire dalla stessa persona e dalla sua unicità e, dunque, ad abbandonare definitivamente all’idea che sia lei a doversi adattare alla “specialità della casa”.

In questi giorni stanno arrivando al Centro Informare un’h le testimonianze di diverse persone e famiglie che stanno già lavorando in una prospettiva inclusiva. La loro stessa esistenza è la dimostrazione che le alternative all’istituzionalizzazione sono concretamente possibili, se ci disponiamo a cercarle, inventarle e crearle. Segnalo di seguito quelle pubblicate sino ad ora. Invito a leggerle con la mente aperta e il cuore spalancato:

Katia Salice (con una dichiarazione di Sonia Salice), Istituzionalizzazione: basta residui manicomiali fuori dal tempo, questo è il tempo dei diritti, «Informare un’h», 13 luglio 2025.

Barbara BichiriCaterina e Chiara, la loro vita in famiglia e nella società, «Informare un’h», 16 luglio 2025.

Emanuela e TommasoNicoletta, che vive serenamente nel mondo di tutti, «Informare un’h», 19 luglio 2025.

PaolaCome genitori vogliamo essere sicuri che nostro figlio autistico avrà la sua vita libera con tutti i sostegni, «Informare un’h», 24 luglio 2025.

 

Simona Lancioni
Responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa). L’autrice dichiara di non avere alcun conflitto di interessi, neanche indiretto, riguardo al tema dell’istituzionalizzazione.

 

Nota: il Centro Informare un’h è impegnato nel rivendicare la promozione della deistituzionalizzazione e lo stop all’istituzionalizzazione. Temi su cui si è avviato un confronto pubblico. In calce alla pagina Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone (in aggiornamento) sono segnalati i contributi che di volta in volta si stanno susseguendo. 

 

Ultimo aggiornamento il 27 Luglio 2025 da Simona