Con un Decreto del 27 dicembre 2024 il Tribunale di Ascoli Piceno ha rigettato la richiesta di autorizzazione al rifiuto di trattamenti sanitari vitali avanzata dall’amministratore di sostegno per la persona beneficiaria in stato di compromissione cognitiva. Si tratta di un pronunciamento rilevante sia perché affronta temi eticamente sensibili, sia perché individua dei limiti alla rappresentanza esclusiva che può essere conferita agli amministratori di sostegno in àmbito sanitario.
Nei giorni scorsi il Gruppo Solidarietà ha pubblicato un’interessante notizia relativa ad un recente pronunciamento con il quale il Tribunale di Ascoli Piceno ha rigettato la richiesta di autorizzazione al rifiuto di trattamenti sanitari vitali avanzata dall’amministratore di sostegno per la persona beneficiaria in stato di compromissione cognitiva. Il Decreto in questione è stato emesso il 27 dicembre 2024 ed è reperibile a questo link. Si tratta di un pronunciamento rilevante sia perché affronta temi eticamente sensibili, sia perché individua dei limiti alla rappresentanza esclusiva che può essere conferita agli amministratori di sostegno in àmbito sanitario. Vediamo qualche dettaglio.
Il Tribunale di Ascoli Piceno è stato chiamato ad esprimersi sulla vicenda di una persona sottoposta ad amministrazione di sostengo dal 2008 che, essendo stata ricoverata nel reparto di rianimazione dell’Ospedale locale in seguito ad un’insufficienza respiratoria acuta, era stata inizialmente sottoposta a intubazione orotracheale e a ventilazione meccanica, ma in seguito, al fine di stabilizzarne il quadro clinico, aveva necessità di un intervento di tracheostomia. Tuttavia il Decreto di nomina dell’amministratore di sostegno (il fratello della persona beneficiaria) non conteneva l’autorizzazione ad esprimere il consenso/dissenso ai trattamenti sanitari vitali (come la tracheotomia), ma solo la possibilità, tra le altre, di “prestare consenso agli accertamenti medici di routine che siano necessari per la cura della salute del beneficiario”.
Poiché però gli interventi sanitari non possono essere eseguiti senza il consenso informato della persona, l’Azienda Sanitaria Locale (in dissenso con l’amministratore di sostegno) ha richiesto al Giudice Tutelare di pronunciarsi in merito alla questione. Davanti a questa richiesta il Giudice Tutelare, avendo constatato nel beneficiario una compromissione cognitiva tale da non renderlo capace di autodeterminarsi in materia di cure, ha provveduto a modificare d’ufficio il Decreto di nomina dell’amministratore di sostegno riconoscendo a quest’ultimo il potere di rappresentanza esclusiva in àmbito sanitario, ma escludendo che detto potere potesse essere esercitato con riferimento al rifiuto delle cure e ai trattamenti sanitari vitali.
In risposta a questa modifica, l’amministratore di sostegno, agendo sulla base della convinzione che il beneficiario non avrebbe autorizzato tale tipo di trattamento, ha rivolto al Giudice Tutelare una specifica richiesta di essere autorizzato a rifiutare l’intervento di tracheostomia. Ma il Giudice, dopo essersi recato personalmente all’Ospedale per verificare le condizioni della persona, dopo aver tentato un dialogo con la stessa, dopo aver sentito gli ulteriori componenti del suo nucleo familiare, nonché i responsabili della struttura residenziale di cura che ospitava da tempo la persona, e dopo aver raccolto ulteriori testimonianze e documentazione, non essendo riuscito a ricostruire la volontà della persona per quel che riguarda il rifiuto dei trattamenti sanitari (ed in specifico della tracheotomia), ha rigettato la richiesta di autorizzazione avanzata dall’amministratore di sostegno.
Nell’argomentare il rigetto il Giudice ha richiamato in particolare la Legge 219/2017 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), ed ha evidenziato come il diritto al rifiuto al trattamento sanitario vitale sia riconosciuto tanto alle persone capaci di autodeterminarsi in modo libero e consapevole, quanto «al soggetto non capace di autodeterminarsi in àmbito sanitario». In questo contesto l’amministrazione di sostegno si configura come «l’istituto di protezione ed eguaglianza finalizzato a porre su un medesimo piano di libertà la persona capace di autodeterminarsi, anche nel rifiuto al trattamento vitale, e la persona a ciò incapace». E tuttavia, facendo riferimento a diverse Sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, il Giudice ha osservato che il carattere personalissimo del diritto alla salute della persona incapace comporta che l’istituto della rappresentanza legale non trasferisca a chi la esercita un potere “incondizionato” di disporre della salute della persona in stato di totale e permanente incoscienza, e che nel consentire al trattamento medico o nel dissentire dalla sua prosecuzione sulla persona incapace sussiste un duplice vincolo: che si agisca nell’esclusivo interesse della persona; e che, nel ricercare il “best interest” (miglior interesse), non si debba decidere “al posto” della persona, né “per” la persona, ma “con” la persona, e che dunque si debba cercare di ricostruire la volontà della persona riguardo allo specifico trattamento sanitario espressa prima che divenisse impossibilitata ad esprimerla.
Ne consegue che il Giudice potrebbe autorizzare la disattivazione di un presidio sanitario vitale solo sulla base di due presupposti: quando la condizione di stato vegetativo sia irreversibile (ossia quando non vi sia alcun fondamento medico-scientifico che lasci supporre la benché minima possibilità di recupero dello stato di coscienza); e quando, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, è possibile affermare che fosse realmente questa l’istanza espressa dalla persona. Ove l’uno o l’altro presupposto non sussista, il Giudice deve negare l’autorizzazione.
Nel caso in esame il Giudice ha rilevato come dalla documentazione medica acquisita ed esaminata non sia emersa con chiarezza ed in modo inequivocabile l’irreversibilità della condizione di non autodeterminazione della persona in merito ai trattamenti sanitari. Al contempo dalle indagini condotte non è inequivocabilmente emersa nemmeno una volontà di rifiuto, quantomeno consapevole degli esiti mortali, del trattamento di tracheotomia di per sé considerato. Per questi motivi la richiesta di autorizzazione avanzata dall’amministratore di sostegno di rifiutare l’esecuzione del trattamento è stata rigettata, e sia l’amministratore di sostegno che il personale sanitario sono stati invitati ad assumere le determinazioni di competenza nell’interesse della persona. (Simona Lancioni)
Nota: in più passaggi del Decreto è utilizzata l’espressione “incapace” per riferirsi alla persona con disabilità. Nel presente testo, onde evitare di discostaci troppo dal linguaggio utilizzato nel provvedimento, abbiamo utilizzato “persona incapace”. Tuttavia riteniamo opportuno evidenziare che il linguaggio corretto è quello utilizzato nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Vedi anche:
Ilaria Zanotto, Tribunale Ascoli Piceno. Sulla richiesta di autorizzazione al rifiuto di trattamenti sanitari vitali promossa dall’AdS, «Gruppo Solidarietà», 22 gennaio 2025.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema della “Tutela giuridica”.
Ultimo aggiornamento il 28 Gennaio 2025 da Simona