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La verità politica di Bobò: non ci sono persone inadatte alla libertà

Quella che “Bobò – La voce del silenzio”, il film-documentario di Pippo Delbono, propone è una verità che può essere intesa come autenticità, ma anche come verità politica. Infatti ancora oggi – contravvenendo a tutta la normativa nazionale e internazionale che spinge verso la deistituzionalizzazione – c’è chi va sostenendo che ci sono persone adatte a vivere nel mondo di tutti e tutte, e altre non adatte. Ma la storia di Bobò mostra che non ci sono persone inadatte alla libertà, inadeguato ed ingiusto è invece chi, sostenendo il contrario, viola, o permette che venga violato, il diritto di ogni individuo di vivere nella comunità di appartenenza in condizioni di uguaglianza con le altre persone.

Il regista e attore Pippo Delbono con la targa del Premio L’Altrarte, istituito nell’àmbito del Premio Piero Ciampi, a Livorno (Cinema Teatro 4 Mori, il 12 dicembre 2025).

«Bobò era felice, la libertà rende felici», ha risposto così il regista e attore Pippo Delbono, lo scorso 12 dicembre, al Cinema Teatro 4 Mori di Livorno, subito dopo la proiezione del suo ultimo film-documentario, Bobò – La voce del silenzio, a una spettatrice che gli chiedeva «Com’era Bobò nella quotidianità? Era triste o era felice?».

La proiezione è stata anche l’occasione per la Città di Livorno di conferire a Delbono il Premio L’Altrarte, un riconoscimento specifico istituito nell’àmbito del Premio Piero Ciampi.

Il film-documentario racconta gli sviluppi di un incontro avvenuto nel 1995, quello tra Pippo Delbono, appunto, e Vincenzo Cannavacciuolo (1936-2019), in arte Bobò. A quel tempo Bobò era ancora rinchiuso nel manicomio di Aversa (Caserta), struttura in cui ha vissuto per 46 anni. L’occasione di incontrò fu data al laboratorio teatrale che Delbono teneva all’interno del manicomio. Egli rimase profondamente colpito dall’espressività di quest’uomo minuto, sordomuto, analfabeta e microcefalo. Talmente colpito, da accogliere la sua insistita richiesta di aiuto, da sottrarlo all’istituzionalizzazione sfidando le leggi, e da coinvolgerlo nella sua compagnia teatrale, di cui Bobò divenne figura di spicco. Ma l’incontro tra Delbono e Bobò non fu quello in cui un uomo ne ha salvato un altro, fu invece quello di due uomini, entrambi feriti dalla vita, che si sono salvati a vicenda. «Eravamo due vite distrutte che si sono scoperte», spiega Delbono, «avevamo tutti e due bisogno di uscire dal buio. Eravamo due persone ferite, che volevano vivere». Quell’incontro, racconta il regista, «ha cambiato la mia vita, il mio teatro, il mio cinema». Condividevano ogni cosa, comunicavano in una lingua non codificata di gesti e suoni da cui traspariva una complicità giocosa, diedero vita ad un sodalizio umano e artistico che si è protratto per oltre vent’anni.

Bobò (a sinistra) e Pippo Delbono si abbracciano in una scena del film-documentario “Bobò – La voce del silenzio”.

Bobò «non parlava – racconta ancora Delbono, regista, attore e voce narrante del documentario realizzato con i materiali d’archivio raccolti nel tempo –, camminava malissimo, ma danzava, danzava, danzava. Era tutto per me. Un padre, un fratello, un maestro» (parole riprese anche nel trailer, della durata di 1.31 minuti, visibile a questo link).

Il legame era così stretto che, confida Delbono nel dopo proiezione, dopo la morte di Bobò, avvenuta ad Aversa nel 2019, all’età di 83 anni, per molto tempo egli non riuscì a guardare le sue foto, o le riprese effettuate sia durante gli spettacoli, che nella quotidianità. Dunque il documentario non ha solo lo scopo di far conoscere al mondo la storia di Bobò, ma anche quella di curare l’intensa sofferenza prodotta dalla separazione.

Bobò cammina tra le macerie reggendo con le mani un mazzo di fiori bianchi. Fotogramma di “Guerra”, un film-documentario di Pippo Delbono girato tra Israele e Palestina nel 2003.

Insieme, Bobò, Delbono e la compagnia teatrale, hanno girato il mondo. L’Europa certo – a Parigi impazzivano per Bobò. «Bobò est magnifique», esclamavano i parigini mentre gli chiedevano autografi che lui, analfabeta, firmava con uno scarabocchio –, ma anche l’America, Cuba e il Medio Oriente. Sono di sconvolgente attualità le immagini girate nel 2003, in occasione di una tournée in Israele e Palestina, nelle quali Bobò si aggira tra le macerie con un enorme mazzo di fiori bianchi (si veda il lungometraggio Guerra, della durata di 1:06:05 minuti, liberamente fruibile a questo link). La troupe teatrale suscitava parecchia curiosità anche tra la popolazione, abituata com’era a vedere solo il personale delle organizzazioni umanitarie, la bizzarra compagnia non passava certo inosservata. Il fatto che qualcuno si interessasse alle vicende di quei luoghi e, attraverso l’arte, portasse un messaggio di pace era benaccetto. Persino Yasser Arafat, a quel tempo leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), accettò di incontrarli. Delbono racconta scherzando di avere una foto di Bobò insieme ad Arafat nella quale Bobò somiglia ad Arafat più di quanto Arafat non somigliasse a sé stesso.

Né Delbono, né la compagnia hanno mai pensato a Bobò come a una persona disabile. «Non ci siamo mai occupati di handicap», racconta il regista alla platea del Cinema Teatro 4 Mori. Per loro Bobò era semplicemente «un grande attore», e nessuno lo ha mai guardato con pietà, magari, forse, qualche volta, «con invidia» per il suo talento, prosegue accennando un sorriso.

Ma c’è un termine che Delbono ripete molto spesso riferendosi a Bobò, quel termine è verità. Nel mondo d’oggi dove quasi tutto è falso, dove anche la musica e il teatro sembrano finti, dove conta l’apparire, dove sembra che ogni cosa si possa comprare, Bobò riusciva sempre ad essere autentico e profondamente vero. Persino i suoi personaggi non erano personaggi, erano persone, persone del suo mondo interiore. Quando indossava un costume di scena lui diveniva quella persona senza che nessuno gli impartisse alcuna istruzione, e ciò che andava in scena erano lo stupore e la meraviglia di chi scopre, esplora e assapora la libertà dopo esserne stato immotivatamente privato per quasi mezzo secolo.

È difficile trovare parole che rendano l’idea di ciò che “Bobò – La voce del silenzio” riesce a trasmettere. Solo vedendo l’opera si possono cogliere l’intensità espressiva, l’immensità del messaggio e lo spessore artistico. Accolta con consensi unanimi al 78° Festival di Locarno e al 43° Torino Film Festival, la pellicola è stata proposta alla selezione della 38° edizione del IDFA – International Documentary Film Festival di Amsterdam. Tuttavia la verità che la storia di Bobò propone non riguarda solo l’autenticità di cui parla Pippo Delbono, ma vi è anche, per chi la vuole vedere, una verità politica. Infatti ancora oggi – contravvenendo a tutta la normativa nazionale e internazionale che spinge verso la deistituzionalizzazione – c’è chi va sostenendo che ci sono persone adatte a vivere nel mondo di tutti e tutte, e altre inadatte. Verosimilmente, per costoro, una persona come Bobò sarebbe morta rinchiusa in manicomio. Ma la storia di Bobò mostra che non ci sono persone inadatte alla libertà, inadeguato ed ingiusto è invece chi, sostenendo il contrario, viola, o permette che venga violato, il diritto di ogni individuo di vivere nella comunità di appartenenza in condizioni di uguaglianza con le altre persone.

Distribuito da Luce Cinecittà, “Bobò – La voce del silenzio” è nelle sale italiane dallo scorso 27 novembre. Raccontando di sé stesso, Bobò ci mostra qualcosa di noi. (Simona Lancioni)

 

Vedi anche:

Arriva nelle sale la vita di Bobò, dal manicomio al palcoscenico. Quando l’arte restituisce luce e diventa Politica, «Informare un’h», 16 novembre 2025.

 

Ultimo aggiornamento il 16 Dicembre 2025 da Simona