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La libertà di attraversare il quotidiano, come tutti!

di Sandra Vincenzi

Il confronto in tema di istituzionalizzazione è stato arricchito da riflessioni di carattere generale, ma anche, prevedibilmente, da testimonianze, giacché è nella natura delle cose che la rivendicazione dei diritti si nutra di intersezioni biografiche. Quella che Sandra Vincenzi, madre di Marta, una giovane donna con disabilità, ha scelto di condividere è una storia da ascoltare con attenzione. «La lettura della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ci fa sperare di poter continuare una vita degna di essere vissuta e di avere per Marta la libertà di attraversare un quotidiano ricco e pieno di senso», scrive, tra le altre cose, Vincenzi. Una speranza che è anche nostra.

Una giovane con sindrome di Down.

Mi chiamo Sandra e con mio marito Giovanni siamo i genitori di Marta, una ragazza di 20 anni, studentessa che a settembre si appresta a ultimare il suo ciclo di studi. «Io penso positivo anche nei momenti no – il virgolettato è lei che si presenta – e sono una persona forte perché quando mi succede qualcosa di inaspettato l’affronto normalmente e cerco di risolverlo da sola e desidero essere libera anch’io come i miei fratelli e di scegliere io in prima persona cosa fare!». Marta ha un cromosoma in più (trisomia 21), che le causa un ritardo intellettivo di grado medio.

Fra un anno inizierà il “dopo”, ovvero l’uscita dalla scuola che chiude un periodo: quello del diritto allo studio, che per Marta è stata la cornice nella quale l’esigibilità dei suoi diritti è sempre stata una stella polare che ha orientato il nostro muoversi nella scuola: tra ricorsi (per avere le 18 ore di sostegno che le spettavano), continui aggiustamenti per rispettare e valorizzare il suo modo di apprendere, che nel tempo si è evoluto e raffinato, ma anche soddisfazioni, relazioni arricchenti, amicizie sbocciate e crescita personale.

La fatica dell’inclusione scolastica c’è stata, ma la cornice normativa del diritto allo studio, unitamente ad un’affidabilità di risorse (anche per l’extrascolastico) durante un lungo lasso di tempo che va dalle elementari alle superiori, hanno permesso una traiettoria esistenziale che l’ha vista fiorire come tutti i suoi compagni di corsi e di classe, dunque su una base di uguaglianza con gli altri.

Ma l’uscita dal diritto allo studio sancisce l’entrata in mondo che ci preoccupa e disorienta, dove l’esigibilità dei diritti – quelli che, per intendersi, hanno tutti i suoi compagni di classe ed i suoi fratelli – viene meno.

Ma dove siamo capitati? È la domanda che ci assale quando già il servizio sociale ci paventa servizi standardizzati, che non incontrano i desideri di Marta ma questo è quello che “passa il Convento”; e luoghi “speciali” come il gruppo teatro per persone con disabilità, il laboratorio di inserimento lavorativo dove fare lavoretti manuali frequentato solo da persone con disabilità, ecc.

E allora fermi tutti! Ripercorriamo i principi che negli anni del diritto allo studio hanno permesso a Marta di diventare quella che è oggi, perché possano essere “fari” per continuare a costruire un percorso unico e personale.

Il primo “faro” è stato quello di offrirle le stesse opportunità di esperienze che facevano i suoi pari. Così Marta ha scelto un liceo per la sua attitudine alle Scienze Umane, il desiderio di imparare lo spagnolo, contro il parere di chi suggeriva di “volare basso”, optare per un corso professionale perché così forse avrebbe potuto avere il diploma. Abbiamo scelto pensando ai suoi desideri ed aspettative e la scelta si è rivelata azzeccata rispetto ai talenti che sta coltivando: una passione per le vicende umane, per l’introspezione e la cura e l’assistenza dei bambini piccoli. Anche in ambito extrascolastico ha fatto esperienze di Scout, Camp in lingua inglese, Grest estivi, Parchi avventura, laboratori per la comunicazione, esperienze di cittadinanza attiva per adolescenti, a volte senza accompagnamento, altre con i sostegni messi a disposizione dall’organizzazione o dal Comune.

Quando Marta era piccola, l’incontro con i gli specialisti che avevamo scelto per affiancarci, oltre a porci sulla strada che ho raccontato, mi ha portato ad approfondire letture che hanno aperto in noi traiettorie che vogliamo continuare anche in futuro, di cui mi piace raccontare: siamo a Philadelphia negli Stati Uniti d’America negli anni ’50, quando prende vita il gruppo di Riabilitazione che darà l’origine al metodo Doman-Delacato. Il Gruppo comincia a porsi la domanda perché i loro pazienti, adulti e bambini cerebrolesi, non migliorassero con le tecniche che la medicina di allora aveva introdotto (cure come il calore, la manipolazione degli arti lesi, la chirurgia ortopedica e le operazioni al cervello). Così confrontarono il loro gruppo – di pazienti istituzionalizzati – e il gruppo di coloro che non avevano intrapreso queste cure mediche ed erano restati alle loro case. Così «scoprimmo che ai bambini cerebrolesi non era stata data l’opportunità di uno sviluppo normale… Non solo il nostro lavoro era stato del tutto inefficacie, ma i bambini non curati stavano meglio dei nostri che avevamo seguito così a lungo e con passione» (Glenn Doman, Che cosa fare per il vostro bambino cerebroleso, Armando Editore, 1975). Mentre il gruppo istituzionalizzato era costretto ad indossare apparecchiature ortopediche, avere arti ingessati, sedie a ruote, stare su lettini speciali, il gruppo a casa aveva potuto sperimentare i movimenti liberi, sul pavimento di casa dove strisciare, gattonare, andare a carponi e mettere così in evidenza le tappe della filogenesi, dell’evoluzione dell’uomo: per evolvere abbiamo bisogno di opportunità e di esperienze e le limitazioni funzionali e relazionali ci danneggiano.

Questa esperienza aveva fatto capire che l’istituzionalizzazione fa danni perché toglie le opportunità di sperimentare e di fare esperienze, che è prerogativa dell’essere umano.

Il secondo “faro” è stato quello di assicurarle una quotidianità che si nutre di ricchezza sociale. Ritorno all’incontro con una persona che mi ha colpito profondamente e al successivo approfondimento di letture che hanno riguardato i “padri fondatori” della Legge 517 del 4 agosto 1977 che aboliva le classi differenziali e stabiliva un limite nella composizione delle classi che accoglievano bambini con disabilità. L’incontro è stato con la signora Lina Mannucci, coordinatrice della Scuola per l’Infanzia Margherita Fasolo, storica scuola di Firenze che per prima ha accolto studenti con disabilità già nel 1965 e che ha costituito un laboratorio per le future esperienze, che hanno poi permesso quello che oggi possiamo esigere: una scuola inclusiva. Lina mi racconta: «siamo negli anni dopo il ’57 quando venne varata la legge per la riabilitazione degli spastici a Villa Torrigiani di Firenze. L’ideatore del progetto era Adriano Milani Comparetti, medico specializzato in pediatria e neuropsichiatria infantile, fratello maggiore del più noto don Lorenzo Milani.» Lina continua il racconto: «Dopo pochi anni dall’apertura del Centro di riabilitazione a Villa Torrigiani – dove io ero stata chiamata per organizzare la scuola materna ed elementare in struttura – Milani Comparetti insieme agli educatori ed operatori del Centro notarono che i bambini ospitati soffrivano molto per la lontananza dalle loro famiglie, pur avendo una situazione ambientale adeguata e buona, e che a loro mancava una ricchezza sociale: i bambini erano tutti portatori degli stessi limiti!».

Adriano Milani Comparetti decise che il Centro doveva chiudere e si adoperò, da una parte per la creazione di centri riabilitativi decentrati sul territorio da cui poi nacquero i consultori pediatrici; e dall’altra per creare le condizioni per l’inserimento dei bambini disabili nelle scuole pubbliche. «Dal piano pratico poi l’esperienza trovò voce nel contesto universitario fiorentino e poi nel mondo politico – continua il racconto – fino a diventare legge». Questa “scoperta” ci dice quanto sia dannoso e impoverente relegare in luoghi “speciali” le persone con disabilità.

Questi due “fari” ci hanno orientato nell’offrire a Marta opportunità arricchenti e non luoghi “speciali” per fare esperienza: luoghi di tutti come gli Scout con tutti gli altri bambini, la Polisportiva per andare a fare la settimana bianca, il gruppo di karate, il volontariato in biblioteca, l’esperienza di cittadinanza organizzato dal Comune nella pausa estiva per gli adolescenti, il gruppo di teatro per gli adolescenti. Alcune di queste esperienze poi Marta le ha lasciate: una volta fatte non hanno incontrato il suo interesse, e così si è cercato altro, come succede a qualsiasi adolescente e giovane.

Fra un anno saremo orfani della stella polare del diritto allo studio e della cornice entro la quale far valere il diritto all’inclusione, così ci rivolgiamo al Decreto Legislativo 62/2024 [attuativo della Legge Delega 227/2021 in materia di disabilità, N.d.R.] con la stessa speranza di poter continuare il percorso. Abbiamo già iniziato il progetto individuale personalizzato e partecipato di Marta, per un accompagnamento all’ultimo anno di superiori. Vogliamo credere che il Progetto previsto dal Decreto 62 ci possa garantire quella cornice normativa sufficiente e necessaria per permettere a Marta di continuare a coltivare desideri ed aspettative per il suo futuro, come facciamo tutti noi. La lettura della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ci fa sperare di poter continuare una vita degna di essere vissuta e di avere per Marta la libertà di attraversare un quotidiano ricco e pieno di senso. Vogliamo crederci, anche perché altrimenti l’alternativa rappresenterebbe un peggioramento della sua qualità di vita, uno scivolone ed un’oppressione su traiettorie istituzionalizzanti che non abbiamo mai deciso di seguire e che ci tolgono il fiato.

Ci auguriamo anche di incontrare operatori con la stessa onestà intellettuale che è appartenuta a chi li ha preceduti, perché anche se nel frattempo si sono aggiunti nuovi studi e nuovi orientamenti, la direzione del progresso ha solide radici nelle intuizioni antiche che hanno permesso di togliere le scuole speciali. Non si tratta di inventare nuovi servizi, ma di radicarsi ancora più in profondità in questi principi che ci hanno portato il progresso che è la garanzia di diritti per tutti.

Marta vuole continuare a scegliere e fare esperienze, e contornarsi di relazioni ricche e non recluse in luoghi e gruppi, e noi genitori chiediamo i giusti sostegni perché questo possa avvenire.

 

Nota: il Centro Informare un’h è impegnato nel rivendicare la promozione della deistituzionalizzazione e lo stop all’istituzionalizzazione. Temi su cui si è avviato un confronto pubblico. In calce alla pagina Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone (in aggiornamento) sono segnalati i contributi che di volta in volta si stanno susseguendo. 

 

Ultimo aggiornamento il 1 Agosto 2025 da Simona