Nei primi giorni di dicembre il Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE), organo consultivo dell’Unione Europea, ha reso pubblico un proprio Parere sul ruolo delз* caregiver nell’Unione Europea. Stando ai dati raccolti dall’Eurostat nel 2018 si tratta di 106 milioni di persone, circa un terzo dell’intera popolazione europea in età lavorativa, di cui il 63 % sono donne. Il Parere descrive le condizioni spesso drammatiche in cui vive chi presta assistenza in modo gratuito e a ungo termine ad unз propriз congiuntз (condizioni che si sono aggravate durante la pandemia di Covid-19), e propone una serie di raccomandazioni volte a introdurre specifiche tutele per questa figura.
Nei primi giorni di dicembre il Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE), organo consultivo dell’Unione Europea, ha reso pubblico un proprio Parere sul ruolo delз caregiver nell’Unione Europea (disponibile, in lingua italiana, a questo link). “Il ruolo dei familiari che prestano assistenza alle persone con disabilità e alle persone anziane: l’esplosione del fenomeno durante la pandemia”, questo il titolo dell’importante documento elaborato dalla Sezione Occupazione, affari sociali e cittadinanza del CESE, curato da Pietro Vittorio Barbieri in qualità di relatore.
Nel Parere sono ripostati i dati di un’indagine sulla “Conciliazione tra vita lavorativa e familiare” condotta, nel 2018, dall’Eurostat (disponibile a questo link). Dalla stessa, tra le altre cose, risulta che, nel periodo considerato, la popolazione di età compresa tra i 18 e i 64 anni si componeva di 308 milioni di persone, e che circa un terzo – 106 milioni di esse, pari al 34% del totale – aveva responsabilità di assistenza. Tra coloro che prestavano assistenza, il 74% si occupavano di bambinз di età inferiore a 15 anni residenti nella loro stessa famiglia, il 3% si occupava di bambinз che vivono al di fuori della famiglia, il 7% di più bambinз che vivevano sia all’interno che all’esterno della famiglia, il 4 % di bambinз e familiari non autosufficienti, e l’ultimo 12% solo di familiari non autosufficienti. Dalla stessa indagine risulta inoltre che la maggior parte di coloro che prestavano assistenza a familiari non autosufficienti era costituita da donne: il 63 %, rispetto al 37 % di uomini (non sono riportati dati relativi alle persone di genere non binario). Come risulta con evidenza dalla letteratura basata su dati statistici e dalle storie di vita, nello svolgimento dell’attività di assistenza a lungo termine aз congiunti con disabilità o patologie croniche o degenerative, vi è una disparità di genere che spinge il sovraccarico verso le donne; l’impatto maggiore si registra in termini di rinuncia all’attività lavorativa, di limitazione nell’avanzamento in carriera, di passaggio forzoso al tempo parziale e, più in generale, in termini di maggiore impoverimento materiale e immateriale. Prova ne sia che nell’Unione Europea coloro che affermano di non poter svolgere un lavoro retribuito, o di essere costrettз a lavorare solo a tempo parziale, a causa dei compiti di cura da assolvere per unз congiuntз bambinз, anzianз o malatз, sono il 25 % delle donne e il 3 % degli uomini. Le persone che devono rinunciare al lavoro spesso non sono coperte da contributi previdenziali utili a godere di successivi trattamenti pensionistici per la vecchiaia, cosicché sono destinate ad entrare nel circuito assistenziale o di sostegno all’indigenza.
La ricerca denominata “Vita, lavoro e Covid-19”, realizzata Eurofound (disponibile a questo link), ha rilevato, nel corso della pandemia, un significativo aumento dell’impegno nell’assistenza domiciliare sia formale che informale, e una diminuzione del ricorso a cure residenziali. A ciò si aggiunga che i Paesi dell’Unione tendono ancora ad investire maggiormente in strutture residenziali potenzialmente segreganti, piuttosto che in politiche per il sostegno all’abitare in autonomia e per la vita indipendente delle persone con disabilità, e ciò nonostante i princìpi e le indicazioni della Strategia UE per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030, che invece promuove buone pratiche di deistituzionalizzazione per tutte le persone con disabilità, compresi i minori, al fine di rafforzare la transizione dall’assistenza prestata negli istituti a servizi di sostegno erogati all’interno della comunità.
Durante l’audizione del 4 luglio 2022 la Commissione europea ha affermato che l’assistenza informale corrisponderebbe a 33-39 miliardi di ore, equivalenti a un valore compreso tra il 2,4 % e il 2,7 % del PIL dell’UE. Il QFP, cioè l’ammontare degli investimenti dell’UE nei progetti innovativi per il futuro, è pari a meno della metà di tale importo, ovvero a circa l’1,02 % del PIL dell’Unione europea.
Nel Parere sono riportati molti ulteriori dati utili alla descrizione del fenomeno e dell’impatto che gli impegni di cura hanno sulla vita deз caregivers, in questo spazio, per ragioni di sintesi, sono ripotate solo alcune delle conclusioni e raccomandazioni contenute nel documento.
Dopo aver espresso preoccupazione per le condizioni di vita deз caregivers, ovvero deз cittadinз che prestano assistenza a lungo termine a congiuntз con disabilità e con patologie croniche o degenerative (inclusi i decadimenti cognitivi e le affezioni oncologiche), il CESE rileva come tali situazioni siano divenute ancora più drammatiche nel corso della pandemia di Covid-19, rendendo ineludibili interventi strutturali nelle politiche e nei servizi sociali.
Al fine di ottimizzare le politiche sociali e calibrare al meglio i necessari sostegni, il CESE evidenzia la necessità giungere ad una definizione condivisa della figura e della condizione delз familiare che presta assistenza a lungo termine a congiuntз con disabilità, anche delineandone le specifiche peculiarità e graduandone gli interventi, nonché valorizzando il ruolo degli interessati anche nell’ambito dei servizi per la collettività.
Oltre ad una definizione condivisa, mancano anche i dati necessari sia a descrivere il fenomeno che alla programmazione di servizi, per tale ragione il CESE rileva la necessità di definire in modo più approfondito il fenomeno attraverso studi ed analisi sociologici, basati su dati statistici, che vertano in particolare sull’impatto dell’attività di assistenza a lungo termine a congiuntз suз prestatз di tale assistenza, a prescindere dal fatto che svolgano contestuale attività lavorativa. In particolare è necessaria un’azione congiunta di politiche pubbliche, deз datз di lavoro attraverso il dialogo sociale e, infine, deз caregivers e delle organizzazioni che lз rappresentano, di cui occorre garantire il coinvolgimento dall’elaborazione fino all’attuazione di tali politiche.
In particolare il CESE sottolinea l’importanza di garantire servizi di tutela della salute, compresa l’assistenza sanitaria preventiva e le visite mediche specialistiche periodiche, e di promuovere una formazione adeguata su come aver cura della propria salute per з cittadinз che prestano assistenza a lungo termine a congiuntз. Tale protezione dovrebbe essere quanto più simile possibile a quella garantita aз lavoratз dipendenti ed autonomз.
In un ulteriore passaggio il Comitato invita a condurre indagini specifiche nei sistemi pensionistici nazionali, mirate a raccogliere elementi utili a graduare e declinare il diritto a forme alternative alla retribuzione ordinaria per coloro che sono costretti a rinunciare al lavoro per prendersi cura, per un lungo periodo, di unз congiuntз con patologie croniche o degenerative o con disabilità. E poiché persistono di situazioni di disparità di genere esorta ad attivarsi per mitigare tale disuguaglianza, allineandosi con il Parere espresso dallo stesso CESE sulla «Strategia per la parità di genere» (disponibile a questo link). Un ulteriore intervento auspicato è l’istituzione di una Giornata europea dei prestatori di assistenza a lungo termine a congiuntз, volta a rafforzare la consapevolezza di tale fenomeno da parte deз stessз interessatз e ad incoraggiare adeguate politiche e misure di sostegno.
Nel Parere si richiede inoltre che vengano garantiti servizi e sostegni per l’abitare, servizi di domiciliarità con particolare attenzione alle esigenze sanitarie e infermieristiche, nonché servizi di sostegno psicologico rivolti alз caregiver e al nucleo familiare o alla stessa persona con disabilità; servizi di emergenza in caso di eventi imprevisti, che causano l’impossibilità di fornire cure più a lungo o temporaneamente, e servizi di sollievo, limitando gli effetti di un sovraccarico eccessivo e prolungato.
Secondo il CESE è di fondamentale importanza che si forniscano servizi e sostegno tali da mettere le persone con disabilità in condizione di rendersi autonome dal nucleo familiare di origine. Servizi e sostegno che dovrebbero consistere in particolare in percorsi per l’acquisizione dell’autonomia personale, in soluzioni abitative alternative e in percorsi di vita indipendente per le persone con disabilità. Politiche di questo tipo avranno necessariamente un impatto positivo anche sull’onere di assistenza che grava suз familiari, з quali sono altrimenti obbligatз a fornire assistenza a lungo termine.
Nel documento figura anche un’esortazione rivolta agli Stati membri dell’UE a valutare l’adozione di misure, anche di aiuto pecuniario, che contrastino il rischio di impoverimento di chi – nonostante politiche, servizi e sostegni specifici volti a contrastare il fenomeno – è comunque costrettз a rinunciare in tutto o in parte a un’attività lavorativa retribuita per prestare assistenza a lungo termine a unз propriз congiuntз.
Sempre in materia occupazionale, il CESE invita ad incentivare e sostenere le parti datoriali che promuovano forme di flessibilità lavorativa e prestazioni sociali aziendali, ulteriori rispetto a quelle già previste dalle norme degli Stati, a favore deз lavoratз che svolgono attività di assistenza continuativa aз familiari.
Infine, secondo il CESE è auspicabile avviare approfondimenti economici, giuridici e di impatto volti a individuare criteri condivisi, equi e sostenibili, per il riconoscimento della condizione di lavoro usurante per le attività di assistenza a lungo termine a proprз congiuntз per queз cittadinз che svolgano contemporanea ordinaria attività lavorativa. (Simona Lancioni)
* In questo testo si fa uso dello schwa (ə) per il singolare e dello schwa lungo (з) per il plurale in luogo delle desinenze femminili e maschili comunemente utilizzate quando ci si riferisce alle persone. Si tratta di un tentativo sperimentale finalizzato a promuovere l’impiego di un linguaggio inclusivo dei generi femminile, maschile e non binario (per approfondire si veda: Un linguaggio accessibile e inclusivo delle differenze tra i generi). Si consiglia anche la lettura di Vera Gheno, Schwa: storia, motivi e obiettivi di una proposta, Magazine nel sito «Treccani», 21 marzo 2022.
Ultimo aggiornamento il 19 Dicembre 2022 da Simona