“La città autistica” di Alberto Vanolo (Einaudi, 2024) è un’opera che nasce dall’intersezione di due prospettive, quella di un professore che guarda l’ambiente urbano in modo critico, e quella di un padre che immagina una città pienamente vivibile e accogliente anche per un bambino (che poi diventerà un adulto) con autismo. Un testo interessante, che si sviluppa in prospettiva critica e che individua quattro princìpi generali utili «a immaginare un altro tipo di città, aperta alla differenza. Uno spazio dove ripensare l’incontro con le neurodiversità e dove sperimentare altri ritmi, relazioni, e modi di vivere». Una città «orgogliosamente autistica, [che] avrebbe molto da offrire a chiunque».
«Fare la turista nella mia città», in genere chiamo così l’attività a cui mi dedico nel fine settimana e che consiste nel camminare di buonora per le strade di Livorno, senza scopo, senza meta e senza fretta, con la recondita speranza di perdermi e sorprendermi. Sennonché leggendo La città autistica (Einaudi, 2024) di Alberto Vanolo scopro che qualcuno, a Torino, fa qualcosa di molto simile, ma lo chiama in modo diverso.
Alberto Vanolo è docente di Geografia politica ed economica presso all’Università degli Studi di Torino, dove pratica i cosiddetti «studi urbani critici» ossia, come spiega egli stesso nelle premesse della sua opera, studi «incentrati su questioni di giustizia sociale, ricerca di alternative, tensione trasformativa» (pag. XIV). Vanolo però è anche padre di Teo, che al momento della stesura del volume aveva 9 anni, al quale, all’età di 2 anni, è stata fatta una diagnosi di autismo «grave», espressione che, in base ai freddi parametri statistici utilizzati dalla neuropsichiatria, equivarrebbe a un’età cognitiva di circa 2 anni e mezzo. Etichette e numeri che hanno uno scopo operativo ma che, in concreto, non ci dicono molto di Teo, se facciamo nostra l’idea che ogni persona – disabile o meno – si caratterizza per un complesso di tratti identitari di cui nessuna griglia di misurazione, per quanto costruita con accuratezza, potrà mai dare adeguatamente conto.
“La città autistica” nasce dunque dall’intersezione di queste due prospettive, quella di un professore che guarda l’ambiente urbano (in senso lato) in modo critico, e quella di un padre che immagina una città pienamente vivibile e accogliente anche per un bambino (che poi diventerà un adulto) con autismo. “La città autistica” non è un libro su Teo, anche se, inevitabilmente, ogni tanto l’esperienza situata del padre fa capolino qua e là; non è nemmeno un testo sull’autismo o sulla neurodivergenza (la categoria più ampia che, oltre all’autismo, comprende anche molte altre situazioni), è invece un’opera costruita a partire da due idee: che se vogliamo realizzare un ambiente urbano veramente inclusivo di tutti e tutte dobbiamo prima concepirlo mentalmente fantasticandoci sopra, e che l’inclusione non agevoli solo le persone che appartengono ai gruppi marginalizzati ma l’intera collettività.
Per esemplificare come una persona con autismo possa fare esperienza della città, Vanolo racconta quelle che egli stesso chiama, «in modo ironicamente pomposo, esplorazioni psicogeografiche o passeggiate situazioniste [nelle quali si avventura con Teo, N.d.R.]. In estrema sintesi, la psicogeografia è un insieme di tecniche e strategie per l’esplorazione dello spazio urbano che enfatizza l’idea di perdersi e aprirsi alla causalità degli incontri e delle possibilità» (pag. 27). Il carattere giocoso di questa pratica non deve trarre in inganno, infatti Vanolo cita diversi autorevoli studi che rivelano come essa sia volta «a decostruire e porre in tensione le prospettive della vita urbana e, in particolare, le costruzioni opprimenti della morale dominante» (ibidem).
Come si sarà già intuito, il testo si sviluppa in prospettiva critica. È certamente critico lo sguardo che racconta le “categorie” utilizzate per definire le disabilità, l’autismo e la neurodivergenza, “categorie” che spesso finiscono per etichettare le persone e consolidare assetti di potere. È insieme critica e propositiva la prospettiva che attraversa il capitolo dedicato allo “Spazio e autismo” e quello sulle “Scene di vita urbana”. È invece intersezionale l’approccio scelto per il capitolo “Tattiche queer”. Mentre ha un taglio più specificamente operativo l’ultimo capitolo, “Per una città autistica”, nel quale vengono proposti quattro princìpi generali, che non hanno la pretesa di divenire un manifesto, ma che esprimono una sintesi delle riflessioni esposte nei capitoli precedenti.
«Proviamo a immaginare un altro tipo di città, aperta alla differenza. Uno spazio dove ripensare l’incontro con le neurodiversità e dove sperimentare altri ritmi, relazioni, e modi di vivere. Una città così, orgogliosamente autistica, avrebbe molto da offrire a chiunque», è infine la frase riportata sulla copertina dell’opera, e che ne sintetizza lo spirito e che, al contempo, intende esprimere una rivendicazione identitaria. (Simona Lancioni)
Estremi dell’opera:
Alberto Vanolo, La città autistica, collana Vele n. 224, Torino, Einaudi, ©2024, 114 pagine, 12 euro (disponibile anche in e-book al prezzo di 4.99 euro).
Sull’Autore:
Alberto Vanolo è professore di Geografia politica ed economica presso il Dipartimento Culture, Politica e Società dell’Università degli Studi di Torino, dove si occupa di geografia urbana e culturale. Fra i suoi libri: Geografia politica urbana (2010 e 2024, con Ugo Rossi) e City Branding. The Ghostly Politics of Representation in Globalising Cities (2017).
Ultimo aggiornamento il 15 Luglio 2024 da Simona