La Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne, meglio nota con l’acronimo inglese di CEDAW, non contiene richiami specifici alla condizione delle donne con disabilità, ma rappresenta comunque un importante riferimento giuridico posto anche a loro tutela, come dimostrano alcune raccomandazioni contenute nelle Osservazioni conclusive elaborate dal Comitato per l’eliminazione della discriminazione nei confronti della donna in risposta all’ultimo Rapporto periodico presentato dall’Italia sull’applicazione della stessa nel 2015.
Adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1979, ed entrata in vigore nel 1981, la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (meglio nota con l’acronimo inglese di CEDAW) è stata ratificata dall’Italia nel 1985 (Legge 132/1985), ma non ha ancora una traduzione ufficiale in lingua italiana; tuttavia è possibile consultare quella non ufficiale a cura del Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca” dell’Università degli Studi di Padova. Questa Convenzione non contiene richiami specifici alla condizione delle donne con disabilità, ma rappresenta comunque un importante riferimento giuridico posto anche a loro tutela. L’articolo 1 contiene la seguente definizione di “discriminazione nei confronti della donna”: «ogni distinzione esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o distruggere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, quale che sia il loro stato matrimoniale, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo, su base di parità tra l’uomo e la donna». Una definizione che va oltre il mero aspetto formale del riconoscimento di pari diritti, e si spinge sino ad includere qualsiasi condizione o trattamento che limiti o impedisca alle donne di godere appieno dei loro diritti su base di uguaglianza rispetto agli uomini. La parità di accesso e di opportunità per le donne è promossa declinando i diritti in termini di uguaglianza tra i generi: il diritto all’educazione e all’istruzione (artt. 5 e 10), alla partecipazione alla vita politica (artt. 7 e 8), il diritto al lavoro e nel lavoro, il diritto alla salute e alla pianificazione familiare (art. 12), l’uguaglianza di fronte alla legge (art. 15), nella famiglia e nel matrimonio (art. 16), nello sport, nell’accesso al credito (art. 13), nella concessione o perdita della nazionalità (art. 9). Come ogni Convenzione, anche questa prevede che gli Stati che l’hanno ratificata inviino dei Rapporti periodici ad un organo indipendente preposto a monitorarne l’attuazione. Organo che in questo caso è denominato Comitato per l’eliminazione della discriminazione nei confronti della donna. Una volta esaminato il Rapporto periodico dello Stato, il Comitato può inviare allo Stato in questione delle “Osservazioni conclusive” che, sebbene non abbiano carattere giuridicamente vincolante per lo Stato, contengono importanti raccomandazioni e indicazioni che lo Stato è invitato ad attuare al fine di risolvere le criticità riscontrate dal Comitato nell’attuazione delle disposizioni della Convenzione nei diversi contesti nazionali. Nelle Osservazioni conclusive all’ultimo Rapporto periodico presentato dall’Italia nel 2015, il settimo, il Comitato ha raccomandato, tra le altre cose, di aumentare la consapevolezza delle donne sui loro diritti ai sensi della Convenzione e sui rimedi a loro disposizione per rivendicare le violazioni di tali diritti e garantire che a tutte le donne sino fornite informazioni sulla Convenzione, sul Protocollo opzionale e sulle raccomandazioni generali del Comitato, prestando attenzione in modo particolare alle donne appartenenti a gruppi svantaggiati, comprese le donne provenienti dalle zone rurali, le donne migranti, richiedenti asilo e rifugiate, le donne Rom, Sinti e Nomadi e le donne con disabilità; di adottare misure speciali temporanee per accelerare la pari partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, in particolare delle donne migranti, rifugiate, richiedenti asilo, Rom, Sinte, Nomadi e delle donne anziane, così come delle madri single e delle donne con disabilità, nonché di condurre studi completi sul lavoro e le condizioni di lavoro di queste donne; di adottare misure mirate per promuovere l’accesso delle donne con disabilità all’istruzione inclusiva, al mercato del lavoro aperto, alla salute, compresi i diritti e la salute riproduttiva e sessuale, alla vita pubblica e sociale ed ai processi decisionali; di aumentare e attuare efficacemente le quote nelle società pubbliche e private per promuovere l’inclusione delle persone con disabilità, in particolare le donne con disabilità, nel mercato del lavoro aperto; di aumentare gli stanziamenti per consentire alle donne con disabilità di vivere in modo indipendente in tutto il Paese ed avere pari accesso ai servizi, compresa l’assistenza personale; di attuare campagne di sensibilizzazione e formare i funzionari dello Stato in materia di diritti e bisogni specifici delle donne e delle ragazze con disabilità. Gli obiettivi indicati nelle “Osservazioni conclusive” rivolte al nostro Paese sono stati perseguiti solo in parte sul piano del diritto, poco o nulla sul piano del loro concreto sviluppo. Solo grazie all’azione di enti di rappresentanza delle donne con disabilità e di alcune organizzazioni femministe stanno emergendo alla coscienza della società e delle politiche d’indirizzo. Il prossimo Rapporto periodico dovrà essere presentato dall’Italia nel 2021.
Simona Lancioni
Responsabile del centro Informare un’h di Peccioli (PI)
Vedi anche:
Donne con disabilità: quadro teorico di riferimento
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.
Data di creazione: 11 Giugno 2020
Ultimo aggiornamento il 15 Giugno 2020 da Simona