di Associazioni varie*
Stanno suscitando reazioni molto forti le recenti dichiarazioni di Giovanni Marino, presidente ANGSA (Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo) e della Fondazione Marino in materia di istituzionalizzazione. Associazioni e Coordinamenti che si occupano di autismo prendono la parola per chiedere un cambiamento strutturale, che restituisca dignità a chi l’ha sempre avuta, ma a cui per troppo tempo è stata negata.

La pubblicazione di alcuni articoli recenti sul tema dell’istituzionalizzazione ed in particolare quello a firma di Giovanni Marino, presidente ANGSA [Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo, N.d.R.] e della Fondazione Marino, (Le residenze non sono istituti, ma modelli abitativi progettati a misura dei bisogni assistenziali delle persone, «Superando», 9 luglio 2025), rappresentano l’ennesimo esempio di una posizione distante, e per certi versi ostile, ai diritti fondamentali delle persone autistiche, in particolare di quelle con necessità elevate di supporto. La nota dolente nell’articolo di Marino non è solo nei contenuti, ma nella prospettiva che li sorregge: una visione che riduce il tema della vita indipendente alla mera dimensione assistenziale e che mostra di non riconoscere alle persone autistiche il diritto pieno alla libertà, alla scelta, all’autodeterminazione.
Questa posizione appare tanto più grave se assunta da chi presiede una delle associazioni più influenti nel campo dell’autismo. Quando si afferma, in modo sprezzante, che il Progetto di Vita sarebbe poco più che un «foglietto scritto dal beneficiario per ottenere 5.000 euro al mese», si dà prova di un approccio non solo diffamatorio verso le persone con disabilità, ma gravemente disinformato rispetto alla cornice normativa e culturale in cui si inserisce la riforma sulla disabilità. Una riforma – quella avviata con la Legge Delega 227/2021 e il Decreto Legislativo 62/2024 – che non distingue tra diagnosi, ma afferma il diritto universale a un progetto di vita personalizzato e partecipato, fondato sulla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Il problema non è solo culturale, ma strutturale: Giovanni Marino interviene sul tema delle politiche per la disabilità ricoprendo contemporaneamente due ruoli – quello di presidente di un’associazione che dichiara di rappresentare le famiglie e quello di presidente di una Fondazione che gestisce strutture residenziali. È lecito domandarsi in che misura le sue posizioni siano realmente orientate alla tutela dei diritti delle persone autistiche, piuttosto che alla difesa di un modello di gestione che, nonostante i cambi di nome, conserva logiche segreganti.
La retorica delle “residenze” come “modelli abitativi” pensati su misura per le esigenze delle persone autistiche non basta a mascherare la realtà: come affermato in modo inequivocabile dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, non è il nome di una struttura a determinarne la natura, ma le condizioni che essa produce. Se resta una logica di separazione, standardizzazione dei percorsi e assenza di libertà reale, la struttura resta segregante. È Marino stesso a chiarire che le strutture sono «un luogo dove non ci si limita a restare rinchiusi», dichiarando quindi che le persone nelle strutture restano di fatto (rin)chiuse. Il tentativo di aggirare questa verità attraverso un maquillage lessicale è inaccettabile.
Non meno grave è la giustificazione dell’omogeneizzazione delle convivenze: «l’esigenza di convivenza tra persone con autismo, in modo che le attività educative non fossero vanificate da comportamenti di altri ospiti con disabilità mentali diverse». Questa affermazione, che richiama direttamente uno stigma da era manicomiale, promuove una logica che, anziché superare la segregazione, la ripropone sotto altra forma: quella delle enclave patologiche. È un arretramento culturale che non possiamo accettare. Le persone autistiche hanno diritto di vivere nel mondo di tutti e non rinchiuse in strutture, maliziosamente ridipinte con colori scintillanti.
Marino attacca chi – come Simona Lancioni, di Informare un’h, Giampiero Griffo e altri – porta avanti una critica radicale alle politiche segreganti, rivendicando i diritti universali di tutte le persone con disabilità. Secondo Marino, le famiglie dovrebbero prendersela con chi difende la Convenzione ONU, non con chi inaugura l’ennesima struttura. È un ribaltamento paradossale, che trasforma chi chiede diritti in un nemico, e chi difende sistemi di controllo e profitto in un alleato.
Le affermazioni secondo cui «è temerario che il Progetto di Vita possa includere la facoltà di scegliere dove e con chi vivere» e che «è preferibile ridimensionare queste pretese per lasciare qualche risorsa all’assistenza delle persone con autismo» tradiscono una visione selettiva della cittadinanza. È come se alcune persone – le “più compromesse”, le meno performanti, le meno produttive – dovessero accontentarsi dell’assistenza e rinunciare a ogni pretesa di libertà. Una visione che alimenta una gerarchia interna al mondo della disabilità, legittimando la guerra tra poveri e la retorica della scarsità.
Eppure, i dati parlano chiaro: le risorse impiegate per garantire l’ospitalità in struttura sono ingenti. La domanda, allora, è semplice: perché è accettabile destinare migliaia di euro mensili a una struttura, ma non alla libertà di una persona? Quanto vale la libertà? Chi decide che non ne ha diritto? Chi ha il coraggio di dire, nero su bianco, che una persona non può scegliere con chi vivere? A quanto pare, Giovanni Marino.
C’è poi un’altra questione che interroga direttamente il ruolo di ANGSA: l’utilizzo strumentale delle difficoltà delle famiglie. Mentre alcune associazioni e movimenti portano avanti una lotta radicale per i diritti, senza aver mai fatto business, altre – come ANGSA – sembrano alimentare una narrazione vittimistica e colpevolizzante nei confronti delle famiglie che non accettano la segregazione come destino. Ma nessuno ha il monopolio della sofferenza. E ci sono molte famiglie che vivono condizioni complesse senza rinunciare alla visione di una società inclusiva. Possiamo citare Michele N., un esempio tra tanti, giovane uomo autistico nonverbale con necessità di supporto di livello 3, uno di quelli che Marino definirebbe senza imbarazzo “casi umani commoventi”, il quale dimostra di voler vivere nel mondo di tutti. La famiglia di Michele N. – con la rete associativa territoriale – ha saputo essere ricettiva e cerca di sostenerlo nel suo bisogno di libertà e partecipazione. Ma Michele N. non è un caso umano, è una persona, riconosciuto come tale, ed è questo a rendere possibile la sua vita libera, non le sue caratteristiche.
Il sospetto che emerge da questo quadro è che la delegittimazione del Progetto di Vita partecipato e personalizzato sia funzionale a un disegno più ampio: quello della difesa di un sistema di profitto fondato sulla residenzialità. Un sistema che trasforma le persone in numeri, in rendita.
Lo si evince anche dalle affermazioni sulla “rendita” che secondo Marino deriverebbe da un progetto di vita, come se chi lo richiede fosse “scaltro”, “furbo”, “approfittatore”. È una narrazione tossica che criminalizza chi esercita diritti e normalizza chi trae profitto dalla loro negazione.
Allo stesso tempo, Marino lamenta incoerentemente «la mancanza di pari opportunità per l’autismo nell’accesso ai Progetti di Vita». Però, se questa differenza di accesso ai servizi e ai fondi a qualche livello esiste, sono proprio le associazioni che per anni hanno lavorato affinché l’autismo fosse considerato una questione a parte dal resto della disabilità a doversene assumere la responsabilità e fare mea culpa. Quando Marino indica le altre persone con disabilità come scaltre accaparratrici di fondi, concorrenti alla lotta per la sopravvivenza, dimentica che proprio l’autismo vede certo associazionismo macchiarsi di questo atteggiamento predatorio, pretendendo politiche separate e fondi dedicati e questi non si chiamano diritti, ma privilegi. Noi famiglie di persone autistiche vogliamo vedere riconosciuti i diritti dei nostri cari e di TUTTE le persone con disabilità. La lotta da fare per migliorare la vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie è una lotta unica. Non la lotta per l’autismo, che adesso rischia di ritorcersi contro! E questo è un danno che, come famiglie che non si sentono rappresentate da ANGSA, non siamo disposte a perdonare. La gara a chi è più grave, è mortifera e va abbandonata senza rimpianti!
Va ricordato che la pensione di invalidità era storicamente legata all’invalidazione al lavoro. Oggi, invece, si tende a trasformare le persone con disabilità in oggetti di profitto, da cui estrarre valore. In questa logica, il controllo sulla vita diventa una forma di sfruttamento. È questo che accade nelle strutture: la disabilità diventa merce, e le persone diventano risorse economiche sotto forma di rette.
In questa cornice, ci sembra doveroso porre alcune domande:
– Marino ha idea della rabbia che le sue parole hanno generato in tante famiglie?
– È a conoscenza delle ripetute osservazioni del Comitato ONU che definiscono segreganti le soluzioni abitative che non garantiscono scelta, autodeterminazione e inserimento sociale?
– Ritiene davvero che la disabilità sia solo una condizione medica da “normalizzare”, escludendo il ruolo delle barriere ambientali e culturali, anche queste sottolineate dalla Convenzione ONU?
La Convenzione ONU, secondo Marino, «non è il Vangelo». Dichiarazione interessante, infatti i dettami del Vangelo si possono non seguire, mentre la Convenzione ONU il nostro Paese l’ha ratificata con la Legge 18 del 3 marzo 2009. L’Italia ha firmato il protocollo opzionale e, che piaccia o meno, fa parte del nostro ordinamento giuridico. È legge ed è vincolante. Chi la contrasta o ne minimizza la portata è fuori dalla cornice del diritto. E se occorre una interpretazione autentica, siamo pronti a farne ufficiale richiesta agli organi competenti, ma già oggi disponiamo di decine di pronunciamenti, raccomandazioni e linee guida che chiariscono inequivocabilmente il significato di “vita indipendente”.
Le famiglie e le persone con disabilità non si fermeranno ai servizi: continueranno a pretendere la vita, nella pienezza dei diritti di cittadinanza e di libertà. Non ci interessano le retoriche accomodanti, ma un cambiamento strutturale, che restituisca dignità a chi l’ha sempre avuta, ma a cui per troppo tempo è stata negata. E se Marino trova così dignitose le residenze di cui decanta le lodi, può prendere in considerazione l’idea per sé, consegnando agli esperti il suo futuro. Le persone autistiche hanno diritto di poter scegliere altro.
Chiediamo dunque:
- Che il presidente Marino renda pubblico il numero e la tipologia di strutture residenziali collegate a ANGSA e/o alla Fondazione Marino.
- Che Marino rassegni le proprie dimissioni dalle cariche associative per evidente conflitto d’interessi, dato che, avendo colonizzato i tavoli istituzionali nazionali e non, finisce per rappresentare anche noi famiglie che da lui non ci sentiamo rappresentate.
- Che ANGSA prenda pubblicamente le distanze dalle dichiarazioni scandalose del suo presidente o, in alternativa, che abbandoni tutti i tavoli di rappresentanza.
- Che espressioni degradanti come “casi umani commoventi” non trovino più spazio in una rappresentanza che si pretende legittima.
*PERSONE – Coordinamento Nazionale Contro la Discriminazione delle Persone con Disabilità
Neuropeculiar APS
Associazione Missione Autismo Asti
FIDA – Coordinamento Italiano Diritti Autismo Aps/Ets
Autismo Fuori dal Coro ODV
YAWP ODV
Vedi anche:
Simona Lancioni, Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone, «Informare un’h», 20 giugno 2025.
Ultimo aggiornamento il 10 Luglio 2025 da Simona