Menu Chiudi

Ingegner Marino: basta difendere un sistema che segrega, ferisce e limita la libertà

di Daniela Ferraro*

Con piacere diamo spazio alla lettera aperta che Daniela Ferraro, madre di un giovane adulto autistico, rivolge a Giovanni Marino, presidente nazionale dell’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo), in risposta alle gravi esternazioni espresse da quest’ultimo, nei giorni scorsi, sul tema dell’istituzionalizzazione delle persone con disabilità. «Il Suo approccio difende un sistema che segrega, ferisce e limita la libertà», scrive Ferraro. «Io e mio figlio non ci sentiamo rappresentati né da lei né dall’ANGSA», conclude.

Le braccia di una persona sollevano un cartello su scritto: “Independent Living Now!”, ovvero “Vita Indipendente ora!”

Egregio ingegnere Marino,
mi rivolgo a Lei come madre di un ragazzo autistico che, grazie a un percorso costruito con sacrificio, determinazione e le mie risorse personali, vive oggi una vita indipendente nella sua casa, con assistenti scelti e formati da me, in un ambiente che rispecchia i suoi desideri e bisogni.

Mio figlio sta svolgendo uno stage presso una grande catena di supermercati, un traguardo che dimostra come l’inclusione non sia un sogno, ma una realtà possibile quando si mette la persona al centro.

Leggendo il Suo recente articolo, provo un’indignazione profonda per le Sue posizioni, che giudico non solo anacronistiche, ma gravemente pericolose per il futuro delle persone con disabilità, in particolare di quelle con autismo  [fa riferimento al testo, a firma di Giovanni Marino, Le residenze non sono istituti, ma modelli abitativi progettati a misura dei bisogni assistenziali delle persone, pubblicato sulla testata «Superando» il 9 luglio 2025, N.d.R.].

Lei difende le residenze come modelli abitativi “a misura” dei bisogni assistenziali, negando che siano istituzioni segreganti e sostenendo che rispettino la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Questa affermazione è inaccettabile.

La Convenzione ONU non è un documento da piegare a interpretazioni comode, ma un obbligo a garantire il diritto di ogni persona a scegliere dove e con chi vivere.

Le residenze, per quanto mascherate da modernità, negano questo diritto, confinando le persone in strutture standardizzate che non possono competere con la libertà di una vita indipendente.

Peggio ancora, i numerosi fatti di cronaca e i processi per violenze e sevizie nelle strutture residenziali – abusi fisici, psicologici e trascuratezza che emergono con allarmante frequenza – dimostrano che queste realtà possono trasformarsi in luoghi di sofferenza e disumanizzazione.

Mio figlio, nella sua casa, con progetto di vita cucito su di lui, rispettoso dei suoi desideri ed aspirazioni, è la prova che un altro modello è possibile.

Ma questo percorso non è stato regalato: l’ho costruito io, con anni di sacrifici economici e personali, perché i percorsi riabilitativi e abilitativi di mio figlio sono stati sostenuti quasi interamente dalle mie risorse.

Come me, molte famiglie si impoveriscono per garantire ai propri figli una vita dignitosa, mentre il sistema pubblico resta a guardare o, peggio, spinge verso soluzioni segreganti.

Il Decreto Legislativo 62/2024 [attuativo della Legge Delega 227/2021 in materi di disabilità, N.d.R.], che regola i progetti di vita, è un passo avanti, ma è zoppo: non sottolinea con forza il diritto alla deistituzionalizzazione, lasciando spazio a incertezze che permettono al sistema di perpetuarsi.

Inoltre, il percorso per ottenere un progetto di vita personalizzato è minato da ostacoli: spesso si inseriscono soggetti – come cooperative o enti gestori – che indirizzano i richiedenti verso servizi da loro controllati, limitando o condizionando la libertà di scelta delle famiglie e delle persone con disabilità.

Questo approccio tradisce il principio stesso di autodeterminazione, trasformando il progetto di vita in un’ennesima imposizione burocratica.

Le risorse pubbliche per l’assistenza personale autogestita e la vita indipendente sono concesse col contagocce. Pochi, pochissimi, accedono a questi contributi: ci sono graduatorie e vere e proprie lotterie dove il 99% dei potenziali beneficiari viene escluso, abbandonato a un sistema che non li considera.

Nel frattempo, il 90% delle risorse pubbliche che potrebbero finanziare progetti di vita deistituzionalizzati viene inghiottito dalle strutture residenziali, con rette giornaliere scandalose – dai 150 ai 400 euro al giorno – pagate con i soldi di tutti noi, spesso per mantenere luoghi dove le persone con disabilità subiscono abusi e violazioni dei loro diritti.

È questa la Sua idea di equità?

È questo il Suo modello “a misura” delle persone?

Le amministrazioni locali sono complici di questo sistema fallimentare. Non informano i cittadini sui contributi per l’autonomia, preferendo spingere verso servizi domiciliari o semiresidenziali costosi, standardizzati, inefficienti e spesso sgraditi alle persone con disabilità.

A peggiorare le cose, ai tavoli istituzionali dove si decidono le politiche per la disabilità, le associazioni che rappresentano direttamente le famiglie vengono quasi sempre escluse, spesso su pressione di grandi associazioni che monopolizzano il dialogo e promuovono interessi legati a strutture e servizi tradizionali.

Questo ostracismo impedisce alle voci delle famiglie, che conoscono i bisogni reali dei propri cari, di essere ascoltate, perpetuando un sistema che privilegia la gestione burocratica alla dignità delle persone.

Mio figlio, grazie al nostro progetto di vita indipendente, vive nella sua casa, non in una struttura che lo isola o lo espone al rischio di violenze.

Ma quante famiglie, escluse da risorse, informazioni e rappresentanza, sono costrette a cedere alle residenze, private della possibilità di scegliere?

Non dimentichiamo gli operatori delle cooperative, il cui talento viene soffocato da modelli di assistenza standardizzati.

Solo con la vita indipendente e l’assistenza indiretta, come quella che abbiamo costruito per mio figlio, gli operatori possono esprimere le loro competenze, lavorando in modo personalizzato e valorizzando le unicità di ogni persona.

Questo approccio non solo migliora la qualità della vita delle persone con disabilità, ma dà agli operatori la possibilità di sentirsi parte di un progetto umano, non di una macchina burocratica che, in troppi casi, tollera o nasconde abusi.

Infine, il Suo riferimento a presunte risorse eccessive, come i 5.000 euro al mese, è un insulto.

La verità è che questi importi sono un miraggio: i contributi per l’autonomia si attestano tra i 500 e i 1.500 euro al mese, spesso insufficienti per coprire le necessità di un’assistenza personalizzata.

Le famiglie come la mia, che si impoveriscono per garantire ai propri figli una vita piena, non sono un peso per la società, ma un esempio di resilienza di fronte a un sistema che ci abbandona.

Le Sue parole alimentano un pregiudizio pericoloso, che dipinge le persone con disabilità come un costo, anziché come individui con diritti e potenzialità.

Ingegnere Marino, il Suo approccio difende un sistema che segrega, ferisce e limita la libertà.

Le residenze non sono la risposta: sono un fallimento, come dimostrano i troppi casi di violenze e sevizie emersi dalla cronaca. Giustificarle significa accettare un’ingiustizia strutturale.

Investire in assistenza domiciliare personalizzata e in progetti di vita indipendente non è una questione di risorse, ma di volontà politica.

La Convenzione ONU ci obbliga a fare di più, non a trovare scuse per l’esistente.

Essa ci obbliga a guardare i nostri ragazzi con occhi nuovi, come soggetti pienamente in diritto di scegliere quale tipo di vita vivere, come tutti, quali attività siano gradite o sgradite.

Basta, con criteri abilisti che generano decisioni prese a tavolino, aprioristicamente e che non tengono conto dei desideri più profondi delle persone.

La invito a conoscere queste realtà, a smettere di difendere un sistema che fallisce le persone con disabilità e a sostenere un cambiamento radicale che metta al centro la loro libertà, dignità e sicurezza.

Per tutto questo, Io e mio figlio non ci sentiamo rappresentati né da lei né dall’ANGSA [Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo, N.d.R.].

Con rispetto, ma con rabbia e determinazione,

Daniela Ferraro, una madre che non si arrende

 

* Madre di un giovane adulto autistico

 

Si ringrazia Gianfranco Vitale per la collaborazione.

 

Nota: il Centro Informare un’h è impegnato nel rivendicare la promozione della deistituzionalizzazione e lo stop all’istituzionalizzazione. Temi su cui si è avviato un confronto pubblico. In calce alla pagina Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone (in aggiornamento) sono segnalati i contributi che di volta in volta si stanno susseguendo. 

 

Ultimo aggiornamento il 16 Luglio 2025 da Simona