Nell’intento di sollecitare una riflessione critica sulla necessità che, in tema di violenza di genere, vengano raccolti dati disaggregati anche per la disabilità della vittima, abbiamo analizzato due recenti documenti prodotti dall’Istat proprio in tema di violenza sulle donne. Quello presentato dall’Istituto ad un’audizione svoltasi lo scorso gennaio presso la Commissione Parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, e quello trasmesso all’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità lo scorso novembre, in occasione delle celebrazioni legate alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne.
Uno dei problemi maggiormente sottolineati quando si parla della violenza nei confronti delle donne con disabilità riguarda la mancanza di dati disgregati anche per la disabilità della vittima. Proprio nell’intento di sollecitare una riflessione critica su questo aspetto fondamentale, abbiamo preso in esame due recenti documenti prodotti dall’Istat in tema di violenza di genere. Il primo documento (disponibile a questo link) è quello relativo all’audizione dell’Istituto Nazionale di Statistica presso la Commissione Parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere istituita presso il Senato della Repubblica. Esso è datato 23 gennaio 2024, ed è stato redatto da Saverio Gazzelloni, direttore della Direzione centrale delle statistiche demografiche e del censimento della popolazione. Il secondo (disponibile a quest’altro link) si intitola “I dati dell’Istat sulla violenza sulle donne con disabilità”, è stato trasmesso all’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità in occasione delle celebrazioni legate all’ultima Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, ed è stato presentato all’incontro in tema di “Violenza sulle donne con disabilità” indetto dalla ministra per le Disabilità, Alessandra Locatelli, il 24 novembre 2023.
Iniziamo dal documento relativo all’audizione dell’Istat presso la Commissione d’inchiesta sul femminicidio. Da un attento esame risulta un solo riferimento alla condizione di disabilità della vittima, ed oltretutto espresso in forma implicita. Esso si trova in un sottoparagrafo dedicato a “I dati sugli omicidi e l’identificazione dei femminicidi”.
I dati presi in esame sono quelli degli omicidi compiuti nel 2022, anno per cui, è spiegato, si dispone di informazioni più dettagliate, e si specifica che «l’età media delle vittime di omicidio risulta pari a 45,1 anni per i maschi, mentre per le donne è pari a 55,1 anni. […] Se si considerano i quozienti specifici per età, la situazione per i due sessi presenta evidenti differenze: per i maschi il rischio maggiore coincide con le età giovanili (18-24 e 25-34 anni) o appena mature (35-44 anni); per le donne cresce al progredire dell’età ed è massimo per le fasce più anziane. Quest’ultimo aspetto può essere parzialmente spiegato con la presenza di un elevato numero di donne in età avanzata uccise da persone loro legate – in genere i partner – con lo scopo dichiarato di porre fine a diverse tipologie di situazioni critiche; nessun uomo è stato ucciso dalla propria compagna adducendo questi stessi motivi» (pag. 11, grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni). Rispetto a queste donne uccise in età avanzata è specificato che «si tratta nel complesso di 14 omicidi di donne su 126 nel 2022, l’11,1% del totale; tale percentuale sale al 27,3% se si considerano le donne ultrasessantacinquenni, con 12 omicidi per questo motivo su 44», e che «nel 2022 tutti i 61 omicidi di donne commessi dai partner sono stati perpetrati da uomini» (ibidem).
L’unico riferimento alla disabilità contenuto nel documento dell’Istat, ed espresso in forma implicita, è quello appena esposto. Ma cosa vuol dire di preciso “porre fine a diverse tipologie di situazioni critiche”? Riteniamo che si stia considerando la situazione (non infrequente, se teniamo presente l’invecchiamento della popolazione italiana) che molte persone diventino disabili nell’ultimo periodo della vita, e si sta evidenziando che se ciò accade ad un uomo, le donne si prendono cura di lui, mentre se accade alle donne, queste rischiano di venire uccise dall’uomo. Il fenomeno è abbastanza noto tra chi si occupa di violenza, ma sono davvero pochi i servizi prodotti dai media per creare una consapevolezza collettiva in merito ad esso. Ne segnaliamo due. Un articolo di Viola Giannoli, Femminicidi, un terzo delle vittime sono over 65 o malate, pubblicato su «la Repubblica» il 25 novembre 2022, nel quale, tra le altre cose, è evidenziata una certa «tolleranza giudiziaria per i cosiddetti omicidi altruistici» (e non solo giudiziaria, verrebbe da aggiungere). E quello di Alice Facchini, La violenza silenziosa contro le donne anziane, pubblicato su «Internazionale» il 19 ottobre 2022. «La questione della cura è centrale –, spiega Laura Saracino, responsabile dell’accoglienza alla Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, intervistata sul tema da Facchini –. Nella nostra società gli uomini non sono abituati a prendersi cura dell’altro: quando la partner invecchia o si ammala, non sempre riescono a sostenere questo nuovo equilibrio e a volte reagiscono con la violenza». Nello stesso articolo si fa riferimento anche ad uno studio pubblicato sulla rivista «Current psychiatry reports», che ha riguardato anche l’Italia, secondo il quale «l’omicidio-suicidio tra le persone anziane ha caratteristiche specifiche e avviene in particolar modo su donne malate o con una disabilità» (esso è disponibile a questo link).
A parere di chi scrive, il problema è che spesso chi opera nel sistema giudiziario non riesce a cogliere la matrice di genere e la rilevanza della disabilità che connota questi crimini, e dunque tende a non conteggiarli né tra i femminicidi né tra le violenze sulle donne con disabilità per il persistere di diversi pregiudizi: che si connotino come femminicidi solo quelli in cui la donna è uccisa per motivi passionali; che avendo come finalità dichiarata quella di “alleviare le sofferenze” questi omicidi sarebbero “altruistici” (nella sostanza non vengono rilevate le dinamiche di potere che stanno alla base di questi gesti); che negli omicidi delle donne anziane sia l’età ad avere rilevanza e non il genere; che negli omicidi della donna anziana e disabile, anche la disabilità passi in secondo piano rispetto all’età avanzata della donna. Non rileva inoltre che queste dinamiche andrebbero inquadrate nel più generale tema del lavoro di cura informale (il caregiving), un lavoro che, manco a dirlo, è fortemente connesso alle questioni di genere. Insomma, anche quell’unico accenno implicito alla disabilità della vittima avrebbe potuto essere corredato da qualche spunto critico, ma nessuna di queste considerazioni figura nel documento in esame, dove ci si limita a fornire il dato e ci si accontenta di accennare alla motivazione del gesto fornita dall’omicida.
Veniamo ora al documento intitolato “I dati dell’Istat sulla violenza sulle donne con disabilità”. La prima cosa che balza agli occhi è che esso è molto meno curato del precedente, e si configura piuttosto come un documento interno che però è stato reso pubblico (essendo stato pubblicato nel sito dell’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità), infatti non sono citate le fonti precise dei dati (si sa che le informazioni sono raccolte/prodotte dell’Istat, ma non si sa a quali indagini si sta facendo riferimento), non è riportato il nome di chi lo ha redatto, né la data (alcune informazioni le abbiamo desunte dal contesto). In esso si afferma che «il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale», e che la situazione per le donne con disabilità è ancora più critica perché tra loro la percentuale degli «episodi di violenza fisica o sessuale raggiunge il 36,6%». Come accennato, non è specificato l’anno né la fonte di riferimento, ipotizziamo che sia questa: Istat, La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia. Anno 2014.
In un altro passaggio è scritto: «L’Istat ha effettuato una indagine sull’Utenza dei Centri Antiviolenza (CAV) con la quale ha rilevato le donne con disabilità che hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza. I dati hanno fatto emergere che, nel 2022, sono 2033 (11,2%) le donne con disabilità che stanno facendo il loro percorso di uscita dalla violenza. Lo 0,5% ha una disabilità sensoriale, l’1,6% motoria, 1,9% una disabilità intellettiva, il 7,9% [un’]altra tipologia di disabilità. L’informazione non viene rilevata dal 30,5% dei centri. Il flusso del 1522 [il numero del servizio antiviolenza e antistalking promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, N.d.R.], utilizzando i primi tre trimestri del 2023 rileva che sono circa l’11% le chiamate valide che secondo le operatrici sono imputabili al seguente motivo “Richiesta di aiuto – Disagio psichico”». Anche qui non è indicata la fonte precisa, per i dati del 2022 dovrebbe essere questa: Sistema di protezione per le donne vittime di violenza – anni 2021-2022, pubblicata il 7 agosto 2023 (anche se non risulta che tali dati siano stati inclusi nel rapporto di ricerca, si veda l’approfondimento pubblicato a questo link). Per i dati dei primi tre trimestri del 2023 non sappiamo individuare un’indagine di riferimento, osserviamo però che l’informazione scaturisce dalla tipologia di richiesta avanzata dalla donna al 1522 (“Richiesta di aiuto – Disagio psichico”), e non da una precisa rilevazione delle caratteristiche della vittima, come invece viene fatto, ormai da diversi mesi, dalla Banca dati SDI (sistema di indagine) utilizzata dalla Direzione Centrale della Polizia Criminale per la stesura delle sue pubblicazioni sui crimini relativi alla violenza di genere. In particolare, il rapporto “Il Punto – Il pregiudizio e la violenza contro le donne” del dicembre 2023 (liberamente consultabile e scaricabile a questo link) contiene un intero capitolo dedicato al tema de “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”. In esso, l’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori (OSCAD), che ne ha curato la redazione del capitolo, chiarisce di aver provveduto ad inserire nello SDI un dettaglio relativo alla categoria “vittima di reato” che, unitamente al genere, consente di registrare la disabilità della vittima già in fase di inserimento dei dati. Ed infatti il rapporto in questione contiene già dati disaggregati sui reati commessi a danno di donne disabili molto più precisi e specifici rispetto a quelli delle precedenti rilevazioni (se ne legga a questo link).
Tornando ora al secondo documento dell’Istat preso in esame, riguardo ai Centri antiviolenza è specificato che «le informazioni rilevate nelle indagini sui CAV e sulle Case rifugio permettono di capire se i servizi specializzati sono preparati all’accoglienza delle donne con disabilità. I dati relativi al 2022 testimoniano che solo il 30,1% dei CAV organizza incontri di formazione sull’accoglienza delle donne con disabilità, tuttavia queste non sempre possono contare su iniziative o su materiali accessibili a coloro che hanno deficit sensoriali o intellettivi. È infatti solo il 18,6% dei CAV a fornire tali supporti e facilitatori, nelle Regioni del Centro tale quota sale al 26%, mentre è più bassa nelle Isole, nelle quali si ferma all’11,5%».
In merito all’accessibilità delle Case rifugio è scritto: «i dati raccolti nel 2021, testimoniano che il 49,6% ha adottato misure per il superamento delle barriere architettoniche e sono solo il 15,5% quelle che fanno formazione sull’accoglienza delle donne con disabilità». Riteniamo che qui ci sia un refuso, infatti il dato sull’adozione delle misure per il superamento delle barriere (contenuto nella Tavola 21 dell’appendice con i dati sulle Case rifugio del rapporto dell’agosto 2023) è 50,4% (170 in valori assoluti), ma, al di là del mero dato, è importante sottolineare che il dato sull’adozione di tali misure non consente di valutare l’accessibilità complessiva delle stesse Case rifugio, e dunque di stabilire se esse siano adatte o meno a ospitare donne con diverse disabilità. Senza quest’ultimo dato, infatti, non è possibile stabilire se la rete di protezione delle vittime è in grado di rispondere anche alle donne con disabilità che rischiano la propria incolumità o la vita. Inoltre colpisce molto che l’Istat, chiamato ad intervenire ad un incontro sulla violenza sulle donne con disabilità, abbia omesso di riferire dei criteri di esclusione dall’accoglienza delle ospiti adottati da queste strutture ai danni di diverse donne esposte a discriminazione multipla/intersezionale, tra le quali anche quelle con disagio psichiatrico (escluse dall’80,7%, corrispondente a 272 Case rifugio, come riportato nelle Tavole 16 e 17 della già citata appendice con i dati sulle Case rifugio).
Il documento si chiude con questa considerazione sui prossimi lavori: «nell’immediato futuro l’Istat potenzierà l’informazione statistica sulla violenza sulle donne con disabilità, grazie alla realizzazione di una nuova indagine, nella quale verranno inseriti 3 quesiti, concordati a livello internazionale, che consentiranno la comparabilità dei dati a livello europeo».
Qualche considerazione conclusiva. Sembra che, se non specificamente sollecitato, l’Istituto Nazionale di Statistica non manifesti un’attenzione specifica alla violenza nei confronti delle donne con disabilità, pur essendo esse esposte a violenza più delle altre donne. Pertanto, ben consapevoli del ruolo strategico svolto dall’Ente nella descrizione di questo fenomeno strutturale, chiediamo gentilmente più solerzia nel far emergere la violenza nei confronti di questo gruppo di donne soggette a discriminazione multipla, ed anche che le informazioni su questi aspetti vengano adeguatamente valorizzate nei documenti e nei rapporti di ricerca che verranno prodotti in futuro. Apprezziamo molto l’inserimento dei tre nuovi quesiti che consentiranno la comparabilità dei dati a livello europeo, e tuttavia colpisce che l’informazione sulle donne con disabilità che hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza non venga rilevata dal 30,5% dei Centri antiviolenza chiamati a trasmettere i dati per le rilevazioni statistiche. In merito a quest’ultimo aspetto, auspichiamo che le Istituzioni sappiano dare specifiche istruzioni affinché, come già apprezzabilmente accaduto per la Banca dati SDI, in tutti gli snodi della rete antiviolenza la disabilità della vittima venga rilevata e registrata già in fase di inserimento dati. Un ulteriore auspicio è che si lavori perché le pratiche di discriminazione diretta – tali sono i criteri di esclusione dall’accoglienza delle ospiti adottati dal 94,1% dalle Case rifugio – vengano abolite quanto prima. La ministra Locatelli ha recentemente reso noto che in seno all’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità si è costituito il gruppo “Donne e violenza” che si occuperà nello specifico delle azioni di contrasto alla violenza sulle donne con disabilità. Attendiamo fiduciosi/e che il nuovo gruppo si faccia carico di queste istanze.
Simona Lancioni
Responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa)
Vedi anche:
Uccise la moglie malata, giudici ‘va considerato l’altruismo’. La sentenza che fa discutere, «Tiscali News», 1° febbraio 2024.
Giulia Parmiggiani Tagliati, Soffoca la moglie con un cuscino “per non farla più soffrire”: condannato a 6 anni, «Today» (Cronaca), 9 novembre 2023.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.
Data di creazione: 31 Gennaio 2024
Ultimo aggiornamento il 1 Febbraio 2024 da Simona