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Galleria degli orrori. La banalità del male al processo Stella Maris

del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa

In genere le vicende di violenza nei confronti delle persone con disabilità suscitano, giustamente, molta indignazione. Un’indignazione che però molto spesso si esaurisce presto, lasciando le vittime ed i loro familiari nella solitudine. Per questo motivo risulta particolarmente preziosa l’attività del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, che è presente con un proprio presidio a tutte le udienze del processo per i maltrattamenti avvenuti, nel 2016, in una struttura gestita dalla Fondazione Stella Maris di Pisa. Il prossimo presidio è previsto per martedì 24 giugno 2025, alle ore 10.30, davanti al Tribunale di Pisa. Quelle che proponiamo sono alcune riflessioni elaborate dal Collettivo riguardo all’udienza tenutasi il 27 maggio 2025.

Il sonno della ragione genera mostri”, un’acquaforte e acquatinta realizzata nel 1797 dal pittore spagnolo Francisco Goya.

Un’operatrice prende alle spalle un ragazzo e gli stringe il collo da dietro con il braccio serrato intorno alla gola. Il ragazzo ha in mano un oggetto. «Lascialo! Lascialo! Lascialo!…» ripete in maniera monotona l’operatrice in tuta viola. Il ragazzo emette qualcosa di simile a un rantolo, «basta…». Intorno altri ragazzi a testa bassa assistono alla scena. Un altro operatore assiste impassibile.
Cambio scena.
Un operatore in camice con il braccio alzato e un dito imperioso puntato verso l’alto scaccia in malo modo un ragazzo che, evidentemente impaurito, sembra eseguire l’ordine. Mentre si allontana dando le spalle, lo stesso operatore allunga una gamba e da dietro con il più classico degli sgambetti gli causa una rovinosa caduta in terra.
Cambio scena.
Un operatore parte da un angolo della sala, in tre falcate arriva al cospetto di un ragazzo e gli assesta un colpo alla testa. Il ragazzo solleva un braccio inutilmente per parare il colpo.
Cambio scena.
Un operatore ben piazzato afferra da dietro per la collottola un ragazzo e lo tira con forza. Il ragazzo prova a fare qualche passo all’indietro ma perde l’equilibrio, rovina a terra e finisce contro la parete. Si rialza subito tenendo una mano sulla testa, e prova a scappare…
Cambio scena.
Un operatore colpisce alla nuca un ragazzo mentre mangia a testa china. Va a finire con la faccia nel cibo, rimbalzando sul duro fondo del piatto.
Cambio scena.
Un operatore afferra un lembo della t-shirt di un ragazzo e tira con forza fino a quando la maglia va in pezzi. Il ragazzo rimane a torso nudo.
Cambio scena.
Un’operatrice è seduta, un operatore si rivolge a un ragazzo con disabilità: «faglielo vedere, così torna a casa contenta!». Il ragazzo si abbassa i calzoni, l’operatore si avvicina e gli solleva la maglia sul davanti. Il ragazzo rimane nudo davanti e dietro. Ambedue gli operatori guardano e scoppiano in una sonora risata.
Cambio scena.
Un operatore stringe i polsi di un ragazzo, che si lamenta. Gli gira intorno fino a quando trova il momento giusto per assestargli una testata sul naso. «Pensi che io abbia paura di te?». Intorno, ragazzi impauriti e altri operatori che passano e guardano distratti.
Cambio scena.
Sequela di insulti: «sei un maiale!», «rimbambito!», «sei un finocchione!».
«Quando meno te lo aspetti, eh! Guardati sempre alle spalle, mi raccomando!».
«Pensi che abbia paura? Pensi che abbia paura di te? Testa di cazzo!».
«Io sono peggio del duce!».
«Le cose che vedete qua dentro, fuori è meglio non dirle!».

Abbiamo provato a rendere con le parole il contenuto di un video di pochi minuti ancora visibile online [si veda il video denominato Maltrattamenti e abusi su disabili, i video dalla Stella Maris di Fauglia, pubblicato in cronaca sul «Corriere Fiorentino» del 20 dicembre 2022, disponibile a questo link (lunghezza del filmato: 2,42 minuti), N.d.R.].

Una galleria degli orrori.

Ma non è che una parte infinitesimale rispetto alla mole di registrazioni effettuate in tre mesi – da agosto a novembre 2016 – dalle microcamere dei carabinieri piazzate di nascosto all’interno della struttura di Montalto di Fauglia, che accoglieva persone con disabilità e con autismo, appartenente alla Fondazione Stella Maris di Pisa.
Risultano agli atti del processo attualmente in corso 284 episodi di maltrattamenti fisici e verbali, catalogati dal perito del pubblico ministero, prof. Alfredo Verde, per livello crescente di gravità. 284 episodi in 90 giorni: in media, più di tre al giorno. Nelle sole due stanze del refettorio, le uniche in cui erano presenti le telecamere, all’interno di una vasta struttura. Ma tanto basta, per chi abbia una sensibilità, per chi sia dotato di un minimo di capacità empatica. I pochi video resi accessibili rappresentano già di per sé un atto di accusa incontrovertibile. Colpiscono come un pugno allo stomaco chiunque abbia avuto la forza di guardarli. Raccontano di inaccettabili violenze al fisico e alla persona nella sua totalità, che segnano duramente l’esistenza di 23 ospiti della struttura e delle loro famiglie. Nel corso di alcune udienze i video delle violenze sono anche stati proiettati interamente nell’aula del tribunale di Pisa. Sevizie alla Stella Maris: in aula i video choc. Indignazione e dolore, titolava in cronaca il quotidiano «La Nazione» il 19 ottobre 2022.

Da qualche tempo le famiglie, le attiviste e gli attivisti, il pubblico che segue le tormentate fasi del processo arrivano al termine delle udienze con la sensazione di aver toccato il fondo. Le immagini dei pestaggi arbitrari, l’eco del turpiloquio e degli insulti gratuiti, l’arroganza sterile di chi fa il forte contro persone indifese fanno da contesto ineludibile e sfondo essenziale a ogni parola pronunciata dagli scranni del tribunale. E troppe volte l’indignazione e il dolore di chi da quell’aula cerca giustizia è messa a dura prova. Ci è toccato sentire di tutto dai testimoni della difesa, dagli operatori e dalle operatrici che si riconoscevano nei video proiettati, dalle dottoresse responsabili della struttura. Che hanno di contro descritto un posto idilliaco, dove l’educazione si insegnava a nocchini e qualche buffetto, dove ci si arrabbiava e si scherzava come in ogni famiglia. È vero, a volte si utilizzava qualche metodo contenitivo e – che ci vuoi fare – ogni tanto qualcuno, legato al letto con le cinghie di contenzione, si spezzava un arto; tanto che era meglio arrotolarli in un tappeto portato da casa o comprato all’Ikea e poi mettercisi seduti sopra con una sedia, almeno si calmavano prima e senza troppi danni. Ma non se ne poteva fare a meno, vienici tu a lavorare con queste persone che necessitano di carota ma alla bisogna anche del bastone. Dalle panche in legno riservate agli astanti scorrono frequenti brividi di indignazione, qualche lacrima scende in silenzio, a volte scappa qualche commento indirizzato all’altra parte della balaustra, ma nulla più. I familiari hanno sempre mostrato un’enorme compostezza. Anche troppa.

Qualcosa ha tracimato nel corso dell’udienza di martedì 27 maggio.

C’era molta attesa per la testimonianza del prof. Pietro Pietrini, perito di parte di alcuni imputati. Pietrini è uno psichiatra, un luminare della materia, ex direttore, tra l’altro, della Scuola IMT Alti Studi di Lucca, e fra i consulenti «di indiscusso e indiscutibile spessore scientifico e accademico che, per convinzione, per amore di verità e per spirito di servizio, e, dettaglio non irrilevante, pro bono*» (ma con un ritorno mediatico non indifferente, aggiungiamo noi), hanno contribuito al recente tentativo, naufragato nel nulla, di ribaltamento della condanna di Rosa e Olindo, autori della cosiddetta “strage di Erba”.
Durante l’’udienza del 27 maggio il prof. Pietrini ha risposto alle domande di avvocati e giudice per più di due ore e mezzo. Il suo ragionamento si è incentrato soprattutto nel tentativo di controbattere le conclusioni della sua controparte, il prof. Alfredo Verde, criminologo dell’Università di Genova e perito del pubblico ministero.
Alle articolate deduzioni di Verde, assai insidiose per la sua linea difensiva, ha dunque provato a contrapporre una lettura – dall’alto della sua posizione di dotto, sapiente, autorità, maestro, scienziato di prestigio – tesa a minimizzare, a relativizzare quelle che non sarebbero altro che esuberanze ed eccessi nei comportamenti di operatori e operatrici. I quali si sarebbero ritrovati, loro malgrado, in prima linea nel difficile terreno dell’agire quotidiano in una struttura psichiatrica. Secondo il suo punto di vista dunque, l’uso disinvolto delle parole e le reiterate offese verbali («mangi come un maiale», «sei una fogna a cielo aperto», «levati dai coglioni», «handicappato di merda», agli atti del processo) andavano inserite in un clima informale che era tipico della struttura. «In quel contesto amicale anche il turpiloquio e l’offesa assumeva un altro valore», citiamo direttamente.

D’altronde anche sua madre quando era piccolo, ci ha spiegato, se si arrabbiava gli diceva: “se ti prendo ti strozzo”, ma mica pensava davvero di strozzarlo! Ogni cosa, secondo il perito, andrebbe collocata nel giusto spazio. E nella specificità dello spazio informale di Montalto gli insulti di operatrici e operatori sarebbero da intendere come un mero «effetto del linguaggio colorito livornese».

Al di là di un giudizio di merito sulla pretestuosità, sull’interessata dabbenaggine, sulla tronfia altezzosità, supponenza, alterigia e spocchia che trasuda da una constatazione di questo genere, andrebbe segnalato all’Esimio (cosa che il pubblico educatissimo e soprattutto le famiglie, ammutolite di fronte al variegato spettacolo di arroganza al quale sono state costrette ad assistere per due ore e mezzo, hanno evitato di fare) che Montalto di Fauglia si trova in provincia di Pisa, altro che a Livorno.

Fin qui l’introduzione, l’antipasto di quello che si stava preparando.

La parte più dolorosa, soprattutto per i genitori, è arrivata quando lo psichiatra più volte, sollecitato dalle domande degli avvocati, ha voluto precisare che ai ragazzi di Montalto erano state diagnosticate patologie talmente gravi che non si sarebbero nemmeno resi conto delle offese. E, quel che è ancora peggio, ha voluto estendere tale giudizio anche ai maltrattamenti fisici subiti. Anche in questo caso ha parlato di impossibilità di guarigione e di un livello di percezione quasi assente. Quando gli è stato chiesto se un ragazzo che ha subito maltrattamenti fisici (un avvocato gli ha posto l’esempio di un operatore che aveva torto più volte il braccio a un giovane ragazzo con autismo) fosse in condizione di subire questi maltrattamenti senza conseguenze di lungo termine, Pietrini ha affermato di non essere in grado di rispondere. Non sapeva cioè se il ragazzo, in virtù della sua disabilità, fosse stato in grado di percepire il dolore e subirne le conseguenze come qualunque altro essere umano.

Percepivano o non percepivano questi ragazzi il dolore? Per Pietrini non percepivano. Per lui tirare un ragazzo per le orecchie nel refettorio non implicava alcuna volontà lesiva ma solo l’intenzione di fare un gioco mal gestito. Quando l’avvocato gli ha fatto presente che, anche se fosse stato vero che i ragazzi non percepivano il dolore, erano comunque da considerare come soggetti deboli, posti non su un piano di parità, e quindi il gesto violento nei loro confronti sarebbe stato addirittura più grave, il perito ha evitato risposte dirette, limitandosi a definire i maltrattamenti con queste parole: gesti sgradevoli. Ha tenuto a precisare che dai video da lui visionati non è emersa alcuna volontà di fare del male. A suo avviso non si poteva parlare di volontarietà ma di «strumento inadeguato di relazione».

Noi non vorremmo mai ritrovarci nei panni di una persona come Pietrini. Certo, deve essere stato difficile per lui trovare le parole giuste per portare argomentazioni plausibili a difesa e a discolpa di una manica di sciagurati inquadrati, ripresi e immortalati loro malgrado e a loro insaputa con le mani nella marmellata.

Abbiamo provato per un attimo però a metterci al suo posto. Difendere l’indifendibile, per un professionista del suo rango, può essere apparsa – chissà – una sfida allettante. Magari ha trovato ancora più interessante il compenso, l’onorario a lui riservato. O magari ha agito, anche qui, “pro bono”, puntando al ritorno mediatico (e al prestigio conseguente) per aver presenziato con un ruolo centrale al “più grande processo per maltrattamenti ai disabili in Italia” [si veda l’inchiesta di «RaiNews 24» denominata: “Spotlight. Storia di Mattia – Il più grande processo per maltrattamenti ai disabili in Italia”, pubblicata su «Rai Play» il 31 agosto 2023, visibile a questo link (lunghezza del filmato: 28,35 minuti), N.d.R.].
Eravamo sinceramente curiosi, e glielo abbiamo anche chiesto, assai educatamente come è nostro stile, all’uscita dall’udienza, sulle scale del tribunale. Ma lui non ci ha risposto, e in verità non ci ha nemmeno degnato di uno sguardo: se ne è andato guardando in basso, lasciandoci più di un dubbio.

Non ci stupiamo di quello che abbiamo visto e sentito. Siamo arrabbiate e arrabbiati, questo sì, e abbiamo faticato non poco a trasformare in parole il confuso sentimento di sconcerto e risentimento accumulato in quell’aula. Ma, come Collettivo impegnato da ormai venti anni a contrastare gli abusi della psichiatria, sappiamo bene che persone come Pietrini non rappresentano il frutto malato, ma il figlio sano, la diretta conseguenza del fallimento etico, scientifico, epistemologico delle pratiche psichiatriche.
Non conosciamo a fondo le tortuose strade attraverso le quali passa l’emissione di una sentenza. Anzi, per dirla tutta non abbiamo particolare fiducia nelle sentenze di un tribunale. Immaginiamo però che, come deve essere per un ruolo di altissima responsabilità, prima ancora che sentimenti di pietà e comprensione per la sofferenza umana, nella decisione di un giudice debba agire perlomeno il dovuto riguardo per la consequenzialità logica delle parole proferite, il rispetto per i rapporti causa-effetto tra gli eventi, la considerazione per la ragionevolezza delle argomentazioni. Non il linguaggio della discriminazione, del luogo comune, del pregiudizio.

El sueño de la razón produce monstruos (Francisco Goya) [Il sonno della ragione genera mostri, N.d.R.]

Invitiamo a partecipare al presidio in solidarietà alle vittime dei maltrattamenti alla Stella Maris, che si terrà martedì 24 giugno 2025, alle ore 10.30, davanti al Tribunale di Pisa (in Piazza della Repubblica) [presidio del quale si può leggere anche a questo link, N.d.R.].

Per ulteriori informazioniantipsichiatriapisa@inventati.org

 

Vedi anche:

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, Per non dimenticare le vittime dei maltrattamenti alla struttura gestita dalla Stella Maris, 13 giugno 2025.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, Ancora un presidio per i maltrattamenti alla Stella Maris e per dire basta all’uso del tappeto contenitivo, 26 maggio 2025.
Sondra Cerrai e Andrea Giordani, Nuovo Ospedale Stella Maris: la privatizzazione della sanità e le ombre sulla Fondazione, 2 maggio 2025.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, Contenzioni praticate in Toscana, al via la campagna “Date i numeri”, 30 aprile 2025.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, Un presidio per i maltrattamenti alla Stella Maris e il pulmino donato, 13 febbraio 2025.

 

Ultimo aggiornamento il 19 Giugno 2025 da Simona