di Vincenzo Falabella*
Nei giorni scorsi il Centro Informare un’h ha ospitato un testo nel quale il Coordinamento PERSONE ha espresso delle considerazioni critiche su alcune dichiarazioni rilasciate alla stampa da Vincenzo Falabella, Presidente della FISH, sull’attuazione del progetto di vita personalizzato e partecipato (si veda: “Come si può chiedere di aspettare un altro decennio per l’attuazione dei progetti di vita?“, del 21 ottobre 2025). Essendo stato direttamente chiamato in causa, il Centro ha ritenuto corretto segnalare a Falabella la pubblicazione del testo e offrirgli la possibilità di replicare. Pubblichiamo pertanto le precisazioni espresse dal Presidente FISH riguardo al testo in questione.

Non intervengo certo per alimentare polemiche, né tantomeno perché senta il bisogno di difendermi da accuse che considero infondate. Lo faccio, piuttosto, per senso di responsabilità e per contribuire a ristabilire la corretta interpretazione di quanto ho affermato. È fondamentale chiarire che le mie dichiarazioni sono state espresse in un contesto preciso e con finalità ben definite, e alterarne il significato, attraverso letture distorte o parziali, rischia non solo di compromettere un confronto costruttivo, ma anche di indebolire la credibilità e l’efficacia del lavoro che molti di noi stanno portando avanti, con serietà, per la piena attuazione dei diritti delle persone con disabilità [si veda, Giacomo Fasola, “Disabilità e diritti negati sul lavoro e a scuola: mille segnalazioni in nove mesi al Garante”, «Correre della Sera», 17 ottobre 2025, N.d.R.]. Evitare fraintendimenti e strumentalizzazioni non è solo un’esigenza personale, ma un dovere nei confronti di chi si aspetta da noi chiarezza, trasparenza e impegno autentico.
Desidero, innanzitutto, esprimere il mio rammarico per il tono utilizzato nell’articolo, che in diversi passaggi assume una connotazione polemica e, in taluni casi, persino aggressiva e insinuante. Questo stile comunicativo appare del tutto distante dallo spirito di dialogo costruttivo che da sempre caratterizza l’azione della Federazione FISH [Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie, N.d.R.] e che ho cercato di rappresentare nel mio ruolo di Presidente.
Il confronto anche acceso è legittimo, anzi auspicabile. Tuttavia, esso deve sempre fondarsi sul rispetto reciproco, sull’onestà intellettuale e sul riconoscimento del ruolo che ciascun attore — istituzionale, associativo, tecnico o politico — ricopre nel complesso e delicato processo di trasformazione delle politiche per la disabilità.
Ma veniamo alle mie dichiarazioni rilasciate al «Corriere della Sera».
Intendo chiarire che il mio intervento, in risposta a una domanda specifica sul progetto di vita personalizzato e partecipato e sulla prossima legge di bilancio, aveva come unico obiettivo quello di fornire un orientamento tecnico e di merito. Ho dunque espresso una stima indicativa dei potenziali costi di attuazione del Decreto Legislativo n. 62/2024, in coerenza con i principi della Legge Delega n. 227/2021 e con la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
È fondamentale sottolineare che si tratta di una valutazione orientativa, per questo ho usato il termine “costo medio”, formulata a partire anche da un’ipotesi prudenziale che prende come riferimento una platea stimata di circa 1,5 milioni di persone con disabilità. Questo dato, lo ribadisco, ha valore puramente indicativo: al momento non è possibile prevedere né quante persone faranno effettivamente richiesta di un progetto di vita, né l’entità economica necessaria per ciascun progetto, che sarà per definizione personalizzato.
L’individuazione di un valore medio per persona con disabilità non ha in alcun modo la pretesa di sostituirsi a una futura analisi puntuale dei costi, che andrà svolta caso per caso. La stima ha una finalità tecnica e programmatoria: fornire al decisore politico un ordine di grandezza dei fabbisogni potenziali, utile nella fase di definizione delle priorità nella legge di bilancio. Non a caso è stata fatta in questa fase sperimentale e in prossimità della legge di bilancio.
Si tratta quindi di uno strumento di lavoro, volto a orientare il dibattito politico e istituzionale su basi concrete, consapevoli che le politiche pubbliche, per essere efficaci, devono poggiare su previsioni economiche quanto più attendibili e su una pianificazione realistica delle risorse.
È importante precisare, con la massima chiarezza, che nelle mie dichiarazioni non vi è alcun riferimento — diretto o implicito — a un orizzonte temporale di “8-9 anni”[1] per il reperimento delle risorse necessarie all’attuazione del decreto. Si tratta di un’interpretazione errata e arbitraria, attribuita impropriamente al mio intervento e che non trova alcun riscontro né nelle parole da me espresse, né nel senso complessivo del mio discorso.
Attribuirmi tale posizione rappresenta, a mio avviso, una forzatura che rischia di alimentare inutili polemiche, distogliendo l’attenzione dal merito della questione: la necessità di pianificare adeguatamente l’attuazione dei progetti di vita, con risorse congrue e sostenibili.
Preciso, qualora si rendesse necessario, che le valutazioni economiche da me riportate sono frutto di un lavoro e di confronto interno alla rete della FISH, impegnata da tempo nel definire scenari realistici e sostenibili per l’attuazione concreta dei diritti riconosciuti alle persone con disabilità.
Tutti i dati condivisi hanno un’unica finalità: contribuire, con spirito propositivo e senso di responsabilità, al processo di costruzione delle politiche pubbliche. Si tratta di un contributo tecnico e politico insieme, volto a fornire elementi utili al legislatore e alle istituzioni per prendere decisioni consapevoli e lungimiranti.
Vale la pena ribadirlo con forza, sempre per evitare ulteriori strumentalizzazioni, che il progetto di vita personalizzato e partecipato, per sua natura, non può e non deve essere standardizzato. Questo lo sanno tutti! Ogni progetto rappresenta un percorso unico, costruito sulla base di una combinazione di valutazioni oggettive (bisogni di supporto, contesto familiare e sociale, servizi disponibili) e soggettive (aspirazioni, desideri, preferenze e obiettivi di vita della persona con disabilità).
Parlare di “media” economica, dunque, non significa imporre un tetto o un modello rigido, ma offrire un parametro utile alla programmazione. Alcuni progetti richiederanno risorse maggiori, altri minori: ciò che conta è che ogni intervento sia costruito su misura, nel pieno rispetto dei diritti e della dignità della persona.
Uno degli errori contenuti nell’articolo è il tentativo di confrontare i costi dei progetti di vita personalizzati con quelli dei percorsi di istituzionalizzazione. Si tratta di un paragone profondamente fuorviante e concettualmente errato.
Il modello del progetto di vita si fonda su autodeterminazione, inclusione sociale e partecipazione attiva della persona con disabilità. È una visione dei diritti centrata sulla persona, come indicato dalla Convenzione ONU. L’istituzionalizzazione, al contrario, rappresenta un modello ormai superato, che ha generato segregazione, isolamento e gravi costi umani, sociali ed economici.
Confondere questi due approcci equivale a oscurare il senso stesso della riforma in atto, che mira a costruire percorsi di vita pienamente inclusivi e rispettosi dell’individualità e delle aspirazioni di ogni persona.
L’uno non esclude l’altro né tantomeno l’uno vuole e deve surrogarsi all’altro.
Un progetto di vita personalizzato e partecipato può essere costruito anche all’interno di contesti che, pur non essendo formalmente riconosciuti come familiari, svolgono di fatto una funzione affettiva, relazionale e di cura assimilabile a quella di una famiglia. Parlare di “famiglia” in senso stretto, infatti, rischia di escludere tutte quelle reti affettive e sociali — come comunità di riferimento, legami di amicizia stabile, convivenze solidali — che spesso rappresentano per la persona con disabilità un punto di riferimento fondamentale nella costruzione del proprio progetto di vita. La personalizzazione, per essere reale, deve tenere conto della pluralità dei legami significativi che ciascuno costruisce nel proprio percorso esistenziale, valorizzando le relazioni che generano appartenenza, supporto e riconoscimento, anche al di fuori delle configurazioni familiari tradizionali.
Detto ciò, sappiamo che le scelte di bilancio e le politiche pubbliche devono partire dalla consapevolezza che investire nei progetti di vita personalizzati e partecipati non è solo un obbligo giuridico derivante dalle normative vigenti e dalle convenzioni internazionali. È, prima di tutto, una straordinaria opportunità per costruire una società più giusta, più equa, capace di riconoscere e valorizzare il contributo di ogni persona.
La Federazione FISH continuerà a svolgere con serietà, rigore e spirito di collaborazione il proprio ruolo: quello di interlocutore propositivo delle istituzioni, portatore di una visione inclusiva e moderna delle politiche per la disabilità, fondata sui diritti, sulla dignità e sul valore di ogni vita.
Concludo dicendo che, in tutto ciò che ho fatto finora, non mi sono mai sottratto alle mie responsabilità: ci ho sempre messo la faccia, con coerenza, trasparenza e piena assunzione di impegno e responsabilità. E continuerò a farlo, perché credo profondamente nel valore del confronto aperto, nella forza delle idee espresse con chiarezza e nel dovere, soprattutto per chi riveste ruoli di rappresentanza, di esporsi sempre in prima persona. Ritengo quindi fondamentale, soprattutto quando si affrontano temi così delicati e complessi, assumersi la piena responsabilità delle proprie affermazioni. Per questo motivo mi piacerebbe capire chi realmente si cela — o si nasconde — dietro il “Coordinamento PERSONE” che ha firmato l’articolo pubblicato da «Informare un’h». Quando si avanzano accuse, si attribuiscono intenzioni distorte e si diffondono interpretazioni fuorvianti, è giusto che chi le formula si assuma apertamente la paternità di tali dichiarazioni. Il confronto è legittimo e persino auspicabile, ma deve sempre avvenire alla luce del sole, con trasparenza, correttezza e responsabilità personale. Esporsi in prima persona è un atto di rispetto, non solo verso chi viene chiamato in causa, ma anche verso tutta la comunità delle persone con disabilità, che merita serietà, chiarezza e coerenza.
* Presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie).
[1] Nota del Centro Informare un’h. Trascriviamo di seguito, in corsivo e con grassetti nostri, il passaggio del testo di Giacomo Fasola, “Disabilità e diritti negati sul lavoro e a scuola: mille segnalazioni in nove mesi al Garante” (pubblicato sul sito del «Correre della Sera» il 17 ottobre 2025, visitato il 22 ottobre 2025) in cui sono riportate le dichiarazioni attribuite a Vincenzo Falabella:
«“Servono quattro miliardi”
L’evento di Solfagnano ha coinvolto anche le due principali federazioni che si occupano di disabilità, Fish (Federazione italiana per i diritti delle persone con disabilità e famiglie) e Fand (Federazione tra le associazioni nazionali delle persone con disabilità). Pragmatica la considerazione di Vincenzo Falabella, presidente della Fish: “Un progetto di vita costa in media 25.000 euro. Ipotizzando che una persona disabile su tre, quindi 1,5 milioni, ne faccia richiesta, per metterlo realmente a sistema serviranno circa quattro miliardi di euro” dice al Corriere.
“È chiaro che una somma del genere non può essere messa in campo da un giorno all’altro” prosegue Falabella, “ma ci aspettiamo che già dalla prossima Legge di Bilancio il Governo cominci ad accantonare una cifra che permetta, in otto o nove anni, di dare applicazione alla riforma”».
Ultimo aggiornamento il 22 Ottobre 2025 da Simona