di Olivia Osio, formatrice UILDM sezione di Bergamo
Il primo dicembre 2018 presso la Sala Galmozzi in via Tasso a Bergamo si è svolto, su iniziativa del Consiglio delle Donne del Comune, un incontro intitolato “Diritto alla maternità nella disabilità”. In quella occasione la UILDM locale ha presentato il “Secondo Manifesto sui diritti delle Donne e Ragazze con disabilità nell’Unione Europea” insieme ad altri interventi importanti tra i quali quelli di alcune madri con disabilità.
Con il titolo “Diritto alla maternità nella disabilità”, il Consiglio delle Donne del Comune di Bergamo ha organizzato un incontro che ha visto la partecipazione, accanto a un rappresentante dell’ordine delle Ostetriche e a mamme con disabilità, della UILDM sezione di Bergamo (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) che ha introdotto il “Secondo Manifesto sui diritti delle Donne e delle Ragazze con Disabilità nell’Unione Europea”.
Marzia Marchesi – presidente del Consiglio comunale e una tra le prime ad accogliere la proposta avanzata dalla UILDM di approfondire i contenuti del Manifesto – portando i saluti istituzionali, insieme all’assessore alla Coesione sociale Maria Carolina Marchesi e alla Presidente del Consiglio delle Donne Emilia Magni, ha comunicato che nei giorni precedenti l’appuntamento, il Consiglio comunale ha aderito all’unanimità al Manifesto. Ha riferito anche dell’interessante e partecipato dibattito che il documento ha consentito di aprire tra i membri, facendo emergere le difficoltà, da parte di alcuni, di comprendere per quali ragioni la disabilità abbia bisogno di una declinazione al femminile ritenendo, invece, sufficiente il riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità, a prescindere dal genere.
Gli interventi successivi e l’introduzione del Manifesto hanno avuto la possibilità di rispondere a distanza a queste perplessità, definendo il concetto di discriminazione multipla. Con questo articolo faremo una sintesi dell’intervento presentato dalla UILDM durante l’incontro “Diritto alla Maternità nella disabilità”.
Prima, però, è necessaria una premessa.
Nel 1997 il Comitato delle Donne del Forum Europeo sulla Disabilità aveva adottato il Primo Manifesto delle Donne con disabilità, documento che ebbe il merito di richiamare l’attenzione sulle donne con disabilità e delle discriminazioni multiple alle quali sono soggette. Il 2006 fu l’anno dell’approvazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, trattato internazionale – ratificato dall’Italia con la Legge 18 del 2009 – che introduceva anche a livello normativo un nuovo paradigma basato sui diritti umani. Il Comitato delle Donne decise, così, di rimettere mano al Primo Manifesto, rileggendolo e revisionandolo alla luce della Convenzione ONU. Il Secondo Manifesto, del 2011, “ha saputo cogliere i numerosi ed espliciti richiami alle questioni di genere contenuti nella Convenzione ONU, per trasformarli in una proposta politica complessiva sulla disabilità declinata al femminile”, come scrive Simona Lancioni responsabile del centro Informare un’h e traduttrice in Italiano, assieme a Mara Ruele, del documento.
Se il Manifesto non ha il medesimo valore normativo della Convenzione ONU, ha, però un’enorme portata politica ed etica e ha un valore potenzialmente dirompente, soprattutto dal punto di vista culturale e sociale.
Esso mette in evidenza e consente di contrastare la discriminazione multipla che può riguardare le ragazze e le donne con disabilità per il fatto di appartenere al genere femminile e di avere una disabilità: in quanto donne, infatti, hanno meno opportunità e in quanto persone con disabilità si confrontano con barriere che precludono o limitano il godimento dei diritti e la partecipazione sociale. La discriminazione multipla può essere contrastata solo considerando insieme le due variabili, di genere e disabilità: per tale ragione è necessaria una declinazione al femminile dei diritti delle persone con disabilità.
Il Secondo Manifesto è strutturato in diciotto aree tematiche: dall’accessibilità, alla violenza contro le donne, all’istruzione alla salute, dall’emancipazione allo sport. Il richiamo alla Convenzione ONU è molto forte ed esplicito ed è particolarmente evidente nella locuzione ripetuta “su base di uguaglianza con gli altri”.
L’incontro del primo dicembre a Bergamo ha consentito di approfondire in particolare il diritto alla maternità. Il Manifesto vi fa riferimento nel paragrafo dedicato ai “Diritti sessuali e riproduttivi”. L’esordio al riguardo è chiaro: “In conformità all’articolo 23 della Convenzione ONU sui diritti delle Persone con disabilità, le donne con disabilità in età da marito hanno il diritto di sposarsi e di formare una famiglia sulla base del loro consenso libero e informato; nonché il diritto di entrare in altri tipi di relazione che comportano una vita stabile (…). Inoltre, essendo in grado di decidere il numero dei figli che desiderano avere, dovrebbero avere accesso alle informazioni sulla pianificazione familiare e sulla riproduzione; esse godono anche del diritto di conservare la loro fertilità sulla base di uguaglianza con le altre persone. (…) In tutti i casi, prevarrà il diritto della donna di mantenere il controllo sul suo corpo e della sua sessualità.”.
Già questa parte introduttiva consente di intravedere le negazioni di cui le donne con disabilità sono state, e sovente sono, vittime: di potere scegliere se convivere ed avere una propria famiglia, se avere figli e quanti, di mantenere integra la propria fertilità, di essere informate in modo adeguato. Proprio su questi punti torna il comma 8.8 del sottoparagrafo dedicato ai diritti riproduttivi: “A molte donne con disabilità è ancora negato il diritto alla libertà riproduttiva utilizzando il pretesto del loro benessere. La sterilizzazione forzata, le mutilazioni genitali femminili ed essere costrette all’aborto sono solo alcuni chiari esempi di negazione dei diritti di cui soffrono molte donne e adolescenti con disabilità, senza aver dato il loro consenso o aver compreso pienamente le finalità. Queste pratiche sono una violazione dei diritti fondamentali, tra cui il diritto all’integrità fisica e a mantenere il controllo sulla propria salute riproduttiva, e dovrebbero essere condannate e perseguite.”.
Viene chiamata in causa molto chiaramente la responsabilità dei familiari per avere “considerato le donne con disabilità come asessuate, inadatte a vivere con un partner e ad essere madri, e le hanno sottoposte ad un controllo rigoroso e repressivo dei loro bisogni sessuali”. Ciò si è tradotto in una mancata educazione delle ragazze all’affettività e alla sessualità; se questo è avvenuto con l’alibi della protezione, il risultato è stato un’esposizione delle ragazze e delle donne a rischi elevati: “La conseguenza del limitato accesso e controllo che le adolescenti e le donne con disabilità hanno della propria sessualità è che esse diventano vulnerabili allo sfruttamento sessuale, alla violenza, alle gravidanze indesiderate e alle malattie sessualmente trasmissibili”. Si sottolinea, pertanto, la necessità della formazione, dell’organizzazione di seminari rivolti alle donne così come di una più adeguata preparazione di “esperti del settore, quali educatori dei servizi sociali pubblici locali, (che) dovrebbero portare queste donne ad un livello di conoscenza tale che le renda consapevoli del funzionamento del proprio corpo”.
Il carattere dirompente di questo paragrafo risiede in un passaggio del comma 8.2. in cui si recita della necessità di prestare particolare attenzione alle donne che “si ritrovano a maggior rischio di esclusione, come quelle con elevate necessità di sostegno, con disabilità intellettive o psicosociali e sordocieche, tra le altre”. Perché questo passaggio sarebbe dirompente? Perché se, nonostante le barriere culturali, i pregiudizi, le difficoltà, i diritti sessuali e riproduttivi delle donne con disabilità motorie o sensoriali sono più facilmente riconosciuti, per le ragazze e le donne con disabilità cognitiva o con disabilità complesse non è così. Sono, innanzitutto, i bisogni e i desideri sessuali a non essere visti come tali, ad essere repressi, soprattutto dalle famiglie ma anche dai contesti sociali di cui si è parte. La maternità della propria figlia con disabilità rappresenta un rischio che non si è in alcun modo disposti a correre: “La paura della gravidanza e delle sue conseguenze (ad esempio credere che le donne con disabilità siano incapaci e/o che non dispongano di risorse sufficienti a prendersi cura di un bambino, la paura di ripercussioni fisiche per la madre, e quella che il bambino erediti una disabilità) è stata per molti anni la preoccupazione principale delle famiglie e delle persone che assistono persone con disabilità. Queste preoccupazioni hanno condizionalo la loro vita, le hanno rese meno indipendenti, hanno dato loro minore riservatezza, le hanno sottoposte a verifiche e controlli senza alcun motivo giustificabile. I diritti delle donne con disabilità a prendere decisioni sulla propria vita, sulla sessualità e sulla maternità devono essere garantiti, e nessuno dovrebbe poter decidere per loro senza il loro consenso informato sulle questioni che interessano la sfera più intima della loro integrità personale”. Più avanti nel testo si fa nuovamente riferimento al ruolo dei genitori, che spesso decidono “per”, parlano “in nome di” nella convinzione che ciò sia giusto e rientri nei loro diritti e doveri: “La sterilizzazione forzata e l’aborto non devono mai essere eseguiti. Se una donna con disabilità non è in grado di dare il suo consenso, il consenso dei genitori o quello della persona che rappresenta la ragazza o la donna con disabilità (se richiesto nei casi di minorenni o a causa di una precedente pronuncia di interdizione o inabilitazione) deve essere basato in tutti i casi sul rispetto dei diritti umani e della volontà della donna o della ragazza con disabilità.”.
La donna con disabilità, la sua volontà, i suoi diritti umani vengono messi al centro. Riconoscere anche alle donne e ragazze con disabilità intellettive i medesimi diritti delle altre donne con disabilità, parlare anche per ciò che le riguarda di rispetto delle scelte, di avere garantita la riservatezza, di dare il proprio consenso rappresenta un ulteriore passo avanti contro la discriminazione. In un certo senso, è come se il Manifesto raccomandasse, nel momento in cui si lotta contro la discriminazione delle ragazze e delle donne con disabilità, di non introdurre ulteriori discriminazioni basate sulle differenti tipologie di disabilità.
Nel paragrafo dedicato alla salute vi sono ulteriori passaggi importanti che sottolineano, di nuovo, con riferimento al personale medico e sanitario, la necessità di rispettare l’integrità fisica e mentale, la dignità e l’indipendenza delle donne con disabilità, di formarsi adeguatamente per prestare l’opportuna assistenza e garantire che il consenso sia realmente informato, spostando, pertanto, la centratura dalla capacità di comprensione della donna alla capacità del personale di comunicare adeguatamente. Non solo si fa riferimento agli aspetti di tipo tecnico e strutturale necessari alle donne con disabilità per avere garantito il diritto alla salute – lettini per esami ginecologici adeguati, dispositivi per le mammografie regolabili ad altezza di carrozzine, spazi adeguati, personale sanitario che aiuti le donne non solo durante la visita ma anche prima e dopo, interpreti della lingua dei segni, personale di supporto alle donne cieche – ma, in relazione alla salute sessuale e riproduttiva, si sottolinea che le donne con disabilità devono poter accedere ai servizi di ginecologia così come ai servizi di pianificazione familiare, alla fecondazione assistita, al parto naturale. Inoltre: “Occasionalmente il personale sanitario manifesta paura e pregiudizi circa le conseguenze di una gravidanza nelle donne con disabilità, soprattutto se la donna ha una disabilità psicosociale o intellettiva. Pertanto il personale può cercare di convincere le proprie pazienti ad abortire. Il personale sanitario può ricevere un’adeguata formazione professionale affinché le donne e le ragazze con disabilità ricevano una corrette consulenza riguardo ai propri diritti riproduttivi”. E ancora: “In generale le indagini prenatali delle donne stanno diventando sempre più diffuse. A volte il ricorso alle tecnologie procreative è una questione di routine, non di scelta. Quando si tratta di donne con disabilità, tali indagini sono spesso incoraggiate, ma è essenziale avere il diritto di rifiutarle”.
Pertanto, anche il personale medico e sanitario è chiamato a rivedere alcune prassi date per scontate, ad interrogarle alla luce dei diritti umani ai quali il Manifesto si rifà. La sfera dei diritti riconosciuti alla donna con disabilità è, al pari di ciò che accade – o dovrebbe accadere – per le donne senza disabilità, totale: “Se viene rilevata una disabilità del feto, è un diritto della madre quello di portare a termine la gravidanza.”. Ogni discriminazione basata sulla disabilità dovrebbe essere bandita, ricorda il Manifesto: “Porre l’accento sull’eliminazione della disabilità attraverso l’impiego di tecnologie riproduttive senza affrontare il contesto sociale in cui queste pratiche vengono promosse e applicate implica una discriminazione fondata sulla disabilità. Qualsiasi legislazione che promuove pratiche eugenetiche o discriminatorie sulla base del genere o della disabilità deve essere rivista o abrogata.”.
Il richiamo al contesto è centrale: sovente non è la disabilità l’ostacolo più grande al vivere le proprie relazioni affettive e sessuali in modo pieno, a realizzare il progetto di una vita familiare, a diventare genitori. Gli ostacoli più grandi sono rappresentati dai contesti in cui le persone con disabilità vivono e che, anziché sostenere, aiutare, agevolare, favorire, creano barriere insormontabili.
Il Manifesto ha un grande valore di carattere etico, culturale e sociale. Ha valore etico perché stimola delle importanti riflessioni in merito al punto in cui ci troviamo nel reale riconoscimento del valore intrinseco ad ogni essere umano, ai pregiudizi e agli stereotipi che ci accompagnano senza, spesso, la capacità di vederli e, ancor meno, trovando il coraggio di metterli in discussione. Ha valore culturale e sociale perché ha la capacità di promuovere dei cambiamenti nel modo in cui si guardano e si considerano le donne con disabilità, i ruoli che possono e devono avere nella società, le responsabilità che i contesti hanno nel costruire e frapporre barriere contribuendo a perpetrare discriminazioni e ingiustizie.
L’adozione del Manifesto da parte del Comune di Bergamo, che si spera possa avvenire anche da parte di altre amministrazioni, è sicuramente un fatto di grande rilievo, come lo è stato il confronto che, grazie al documento, si è aperto. Siamo, però, consapevoli che adottare il Manifesto è un primo passo certamente non sufficiente: ci sono poi le scelte – personali, politiche, istituzionali, economiche -, ci sono gli orientamenti, ci sono le azioni. Queste ultime, in particolare, possono avere una carica davvero dirompente sullo status quo. Per esse ci vuole il coraggio che nasce dal pensiero e dalla consapevolezza. Per tale ragione invitiamo tutti ad una lettura attenta del “Secondo Manifesto sui diritti delle Donne e delle Ragazze con disabilità” perché insieme possiamo immaginare e poi promuovere una società più equa, attenta, giusta.
Nota: tutti i grassetti contenuti nel testo sono un intervento della Redazione.
Per approfondire:
UILDM sezione di Bergamo (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).
Programma dell’incontro pubblico dal titolo “Diritto alla maternità nella disabilità”, svoltosi a Bergamo il 1 dicembre 2018.
Deliberazione del Comune di Bergamo del 19 novembre 2018 avente per oggetto: adesione al Secondo manifesto sui diritti delle donne e delle ragazze con disabilità nell’Unione Europea.
Anche il Comune di Bergamo aderisce al Manifesto delle Donne con Disabilità, «Informare un’h», 18 dicembre 2018.
I diritti delle donne e ragazze con disabilità, «UILDM sezione di Bergamo», 28 novembre 2018.
Simona Lancioni, Come e perché ratificare il Secondo Manifesto europeo sui diritti delle Donne e Ragazze con Disabilità, «Informare un’h», 27 novembre 2017.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Tutto sul Secondo Manifesto europeo sui diritti delle Donne e Ragazze con Disabilità”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.
Data di creazione: 24 dicembre 2018
Ultimo aggiornamento: 4 gennaio 2019
Ultimo aggiornamento il 4 Gennaio 2019 da Simona