È articolato in 6 Azioni programmatiche il documento in tema di donne con disabilità prodotto dal “Gruppo 9 – Donne con disabilità” dell’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, ed affronta le seguenti tematiche: contrasto alla violenza di genere, accesso alla salute sessuale e riproduttiva, riconoscimento del diritto alla genitorialità, superamento del gap di genere nell’istruzione e nell’occupazione, empowerment e i progetti personalizzati riletti in prospettiva di genere.
“Proposte per il terzo Programma di Azione Biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità”, è questo il titolo del documento prodotto dal “Gruppo 9 – Donne con disabilità” dell’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità (OND), ed è datato 28 giugno 2022 (anche se è stato reso pubblico solo in questi giorni). Il citato Programma di Azione Biennale è il testo nel quale vengono stabilite le politiche nazionali che riguardano in modo mirato le persone con disabilità. Definirle è uno dei compiti dell’OND, che svolge questa funzione avvalendosi delle competenze di 13 Gruppi di lavoro, tra i cui componenti figurano, tra gli altri, anche le Associazioni nazionali maggiormente rappresentative delle persone con disabilità. Nell’attuale composizione dell’Osservatorio, a differenza di quella precedente, è presente un Gruppo – il Gruppo 9, per l’appunto – che si occupa delle politiche da porre in essere per le bambine, le ragazze e le donne con disabilità, ed è coordinato da Vittoria Doretti e Silvia Cutrera. Pertanto il documento in questione contiene le proposte programmatiche in tema di genere e disabilità che dovrebbero confluire Programma di Azione Biennale. È necessario usare il condizionale perché l’OND, sino ad oggi presieduto da Erika Stefani, ministra per le Disabilità nel Governo guidato dal presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi, ora dimissionario, avrà un cambio di vertice conseguente all’inizio della prossima legislatura, ed è difficile prevedere quale orientamento avrà la nuova gestione. L’auspicio è che il lavoro svolto da questo e dagli altri Gruppi non venga disperso. Con questo spirito ci disponiamo a conoscere i contenuti del documento alla cui redazione hanno contribuito, oltre alle già citate coordinatrici, anche Sara Carnovali, Anna Maria Gioria e Valentina Fiordelmondo.
Nella prima parte del testo è definito il perimetro di intervento: “Contrastare le discriminazioni multiple con misure e interventi per l’emancipazione, l’accrescimento di consapevolezza e la tutela di bambine e donne con disabilità, maggiormente esposte al rischio di subire discriminazioni e violenze”, e sono richiamate le molteplici disposizioni con le quali la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dal nostro Paese con le Legge 18/2009) impegna gli Stati a contrastare con qualsiasi misura idonea le discriminazioni multiple ed intersezionali a cui le donne e le ragazze con disabilità sono soggette. Il contesto di riferimento è ulteriormente definito attraverso due documenti elaborati dal Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità nel 2016: le Osservazioni conclusive al Primo rapporto sull’applicazione della Convenzione ONU, nel quale il Comitato ha rivolto all’Italia molti moniti proprio per le inadempienze inerenti alle questioni del genere al femminile, ed il Commento generale n. 3 dedicato all’art. 6 della Convenzione ONU (in tema di Donne con disabilità). Con quest’ultimo testo il Comitato ha inteso fornire agli Stati parti istruzioni molto dettagliate per rileggere attraverso la prospettiva del genere tutte le azioni finalizzate alla non discriminazione e all’uguaglianza delle persone con disabilità (se ne legga qui e qui).
La sezione del testo più propriamente programmatica è declinata in 6 Azioni. Vediamole succintamente.
L’Azione 1, in tema di “Contrasto alla violenza di genere”, è la più corposa e riporta i dati probabilistici ormai datati (si riferiscono al 2014) dell’Istat che, come ormai sappiamo, mostrano che le donne disabili sono esposte a tutte le forme di violenza di genere più delle altre donne, e quelli non probabilistici raccolti dalla Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap (FISH) nel 2020 con la seconda edizione dell’indagine VERA (Violence Emergence, Recognition and Awareness, in italiano “Emersione, riconoscimento e consapevolezza della violenza”), specificamente rivolta a donne con disabilità che hanno subìto violenza, che, sebbene non riferibili all’intera popolazione delle donne con disabilità, confermano l’esistenza del fenomeno, e forniscono ulteriori elementi utili a descrivere le modalità con cui si manifesta. Non è un caso che la prima azione specifica sia indirizzata proprio a promuovere indagini statistiche con raccolta dati disaggregati anche in relazione al fattore disabilità, una criticità per la quale siamo stati richiamanti anche dal GREVIO, il Gruppo di esperti/e indipendenti responsabile del monitoraggio dell’attuazione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla violenza di genere (Convenzione di Istanbul), nel suo Rapporto di valutazione delle misure messe in atto dall’Italia per attuare la Convenzione in questione, pubblicato nel 2020. Una richiesta quanto mai necessaria se si considera che la recente Legge 53/2022, avente ad oggetto le “Disposizioni in materia di statistiche in tema di violenza di genere”, non prevede che i dati raccolti siano disaggregati anche in considerazione della disabilità delle vittime, né che nella rilevazione relativa ai centri antiviolenza e alle case rifugio sia rilevata l’accessibilità degli stessi. Due aspetti ai quali si è cercato di porre rimedio con il recepimento da parte del Governo di un ordine del giorno presentato dalla deputata Lisa Noja (se ne legga in questo approfondimento). La seconda azione specifica in materia di violenza riguarda l’accessibilità dei servizi antiviolenza e dei servizi a supporto delle donne con disabilità, ed evidenzia come, nell’accesso a questi servizi esse si scontrino ancora con barriere architettoniche, comunicative, formative e strutturali. Tutti ostacoli da rimuovere. Le cose non vanno meglio sul fronte dell’accesso alla giustizia, sia perché sebbene una delle finalità del “Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023” del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri sia «la tutela delle donne migranti e vittime di discriminazioni multiple» (tra le quali rientrano anche le donne con disabilità), persistono in esso significative lacune riguardo alla tutela delle vittime di violenza con disabilità puntualmente richiamate nel documento del Gruppo 9, ma anche perché le dinamiche relazionali in cui spesso sono immerse le donne con disabilità rendono loro ancora più difficoltoso delle altre donne addire a vie legali. A ciò si aggiunga che la mancanza di formazione sui diritti delle donne con disabilità dei giudici, dei pubblici ministeri, degli avvocati e delle forze dell’ordine li porta a manifestare stereotipi negativi nei loro confronti, e a non riconoscere loro la capacità di testimoniare o comunque di stare in giudizio. Su questo fronte le inadempienze citate nel documento sono innumerevoli, qui ci limitiamo a segnalare il fatto che sebbene le donne con disabilità siano più esposte delle altre donne alla vittimizzazione secondaria, esse sono state completamente ignorate nella Relazione su “La vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale”, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio lo scorso aprile.
L’Azione 2 riguarda i servizi e le strutture per la salute sessuale e riproduttiva delle donne con disabilità che devono essere progettati universalmente o comunque essere pienamente inclusivi, accessibili, fruibili e usabili. Anche in questo caso sono riportati alcuni dati ormai vecchi (quelli dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, Rapporto Osservasalute 2015), e quelli più recenti, ma non probabilistici, raccolti con attraverso un’indagine su questi temi svolta dall’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare (UILDM) nel 2021. Questi dati evidenziano il diseguale accesso delle donne con disabilità all’assistenza sanitaria e ai programmi di prevenzione, una discriminazione che si è acuita pandemia di COVID-19. Le misure proposte per tutelare il diritto all’autodeterminazione delle donne con disabilità anche sotto il profilo dell’espressione della propria sfera affettiva e sessuale consistono nell’offrire una formazione specifica al personale dei servizi sanitari, sociosanitari e sociali, con particolare riguardo alle esigenze delle donne con disabilità intellettive, cognitive e comportamentali; nel garantire l’accessibilità alle cure sanitarie, alle strutture e alle apparecchiature diagnostiche promuovendo la realizzazione di beni, spazi e servizi progettati secondo i principi dello Universal Design, nonché nel rendere i materiali di informazione e comunicazione necessari per il percorso di accoglienza fruibili, accessibili e usabili da tutte le donne con disabilità, rispettando i criteri del linguaggio facile da leggere; nel promuovere la formazione di équipe medico-sanitarie multidisciplinari per la presa in carico dei bisogni specifici delle pazienti con disabilità; nell’ampliamento del numero dei consultori pubblici familiari, nella riqualificazione delle prestazioni offerte attraverso interventi finalizzati a renderli accessibili; nel promuovere interventi formativi rivolti al personale medico e dei servizi sanitari, sociosanitari e sociali per garantire che le decisioni sulla salute e sul proprio corpo siano prese dalle donne con disabilità senza alcuna coercizione, e sulla base del principio del consenso libero e informato.
Strettamente legata i temi della salute sessuale e riproduttiva è anche l’Azione 6, in tema di genitorialità. Essa scaturisce dalla constatazione che «le donne con disabilità incontrano numerosi ostacoli nel realizzare il proprio progetto di maternità-genitorialità, spesso non risultando informate nel modo adeguato, venendo dissuase a mantenere integra la propria fertilità, ricevendo consigli – motivati dalla salvaguardia del loro presunto miglior interesse (c.d. “best interest”) – a mettere al mondo figli, ritenute inadatte per natura a prendersene cura». Da ciò la proposta di prevedere politiche di promozione a sostegno della genitorialità delle donne con disabilità e programmi di intervento che rigettino l’approccio esclusivamente medico, ma si fondino invece sul modello bio-psico-sociale e tengano maggiormente conto delle donne con disabilità e delle barriere fisiche, ambientali, alla comunicazione e culturali che sperimentano. Le azioni specifiche prospettate riguardano l’empowerment individuale e sociale sulla genitorialità, la formazione di tutti gli operatori coinvolti (sanitari, sociali, sociosanitari, giudiziari, appartenenti alle pubbliche amministrazioni), l’accompagnamento all’assunzione del ruolo genitoriale.
L’azione 3 riguarda il miglioramento della qualità dell’educazione inclusiva ed il contrasto alle discriminazioni multiple in àmbito scolastico. Anche in questo caso si parte dai dati, quelli del Ministero dell’Istruzione per nell’anno scolastico 2018-19, secondo i quali «solo il 29% degli studenti con disabilità delle scuole dell’infanzia, delle primarie e delle secondarie risulta di sesso femminile e persistono disuguaglianze nel raggiungimento dei livelli più alti di istruzione in termini di gap di genere. La componente femminile con disabilità è costituita da una quota maggiore di persone senza alcuna qualifica: il 17,1% delle donne, contro il 9,8% degli uomini. Le donne con disabilità che ottengono un diploma di scuola superiore o un titolo di istruzione superiore sono il 45,4%, contro il 52,3% degli uomini con disabilità e il 65,8% delle donne senza disabilità». Da essi scaturiscono le seguenti azioni specifiche volte a prevenire i bassi tassi di scolarizzazione e frequenza scolastica ed il fenomeno dell’abbandono scolastico attraverso campagne o programmi di sensibilizzazione per combattere stereotipi, stigmatizzazione e atteggiamenti negativi sulle capacità di apprendimento di bambine e ragazze con disabilità diffusi a scuola, in famiglia e nella popolazione generale; a porre in essere azioni per garantire alle ragazze e alle donne con disabilità parità di accesso all’istruzione superiore e all’apprendimento permanente; a proporre moduli formativi che, con particolare riferimento alle nuove generazioni, forniscano conoscenze in merito allo stigma inerente alla condizione di disabilità e al genere con approcci sociologici, filosofici, giuridici e di linguaggio.
Il di gap di genere in materia scolastica ha verisimilmente delle ricadute anche sul versante occupazionale, come rilevato anche nell’Azione 5, in tema di occupabilità delle donne con disabilità in condizioni di pari opportunità e senza discriminazioni. Qui i dati sono quelli del Rapporto Istat “Conoscere il mondo della disabilità” del 2019, dal quale risulta che nella popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni è occupato solo il 31,3% di coloro che soffrono di gravi limitazioni (26,7% tra le donne, 36,3% tra gli uomini), contro il 57,8% del resto della popolazione. Mentre i dati sull’occupazione contenuti nella IX Relazione al Parlamento sulla applicazione della Legge 68/1999, dati risalenti all’anno 2018, fanno emergere una forte disparità a sfavore delle donne (41,2% di occupate in Italia rispetto al 58,8% degli uomini), con picchi negativi nel Mezzogiorno, soprattutto in Calabria (29% di donne occupate), in Molise (28%) e in Campania (29,4%). Anche nell’àmbito lavorativo dunque le donne con disabilità risultano maggiormente penalizzate sia rispetto agli uomini con disabilità, che rispetto alle donne senza disabilità. Il quadro è altresì aggravato dal modello di welfare familistico nel nostro Paese, che attribuisce alle famiglie, ed in particolare alle donne, il compito di far fronte di bisogni delle persone con disabilità. Una modalità organizzativa che finisce col ridurre il tenore di vita dell’intera famiglia, creando alle donne maggiori difficoltà nel trovare o mantenere un posto di lavoro ed ottenere stipendi soddisfacenti. Il questo contesto sono proposte le seguenti azioni specifiche: campagne e programmi di informazione e sensibilizzazione nel mondo del lavoro sulle discriminazioni generate dall’intersezione tra genere e disabilità, con particolare riferimento a stigma, pregiudizi e stereotipi; interventi di formazione alla diversità e misure per favorire la collaborazione con i datori di lavoro; sgravi contributivi e sostegni economici per favorire le assunzioni di donne con disabilità.
L’Azione 5 è invece centrata sull’empowerment ed i progetti personalizzati riletti in prospettiva di genere. L’Azione prende le mosse dalla considerazione che la Legge “Delega al Governo in materia di disabilità” (Legge 227/2021) costituisce il primo esempio in cui una disciplina in materia di disabilità adotta una prospettiva intersezionale, e dà uno specifico rilievo al fattore genere. Essa infatti, si prevede che nelle procedure di valutazione “multidimensionale”, finalizzata alla predisposizione del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato, per garantire la vita indipendente delle persone con disabilità (che saranno definite tramite decreti legislativi delegati) debba essere assicurata «l’adozione di criteri idonei a tenere nella dovuta considerazione le differenze di genere» (comma 2, lett. a), n. 1). Questa Azione programmatica prevede come azioni specifiche l’avvio di percorsi e processi di empowerment che permettano alle donne con disabilità di acquisire consapevolezza di sé, dei propri bisogni e desideri, promuovendo il raggiungimento dell’equilibrio psico-fisico necessario a percepire sé stesse quali persone libere e protagoniste della propria vita; la formazione su tematiche cruciali per la crescita psicologica delle donne con disabilità, quali: il rapporto con il proprio corpo, la consapevolezza e il rispetto di sé, l’autopercezione quale donna e dei bisogni correlati al corpo femminile, la non negazione della sessualità, i diritti alla maternità, al lavoro, ad una più ampia partecipazione sociale, a ricevere assistenza personale come condizione indispensabile per progettare una vita autonoma, indipendente ed autodeterminata; favorire i percorsi di empowerment attraverso la diffusione della consulenza alla pari.
Questi dunque, in sintesi, i contenuti di un documento molto corposo che, ci auguriamo, verrà integrato terzo Programma di Azione Biennale che è ancora in fase definitoria, e che ha subito una battuta di arresto per il cambio di legislatura. Ne seguiremo gli sviluppi.
Simona Lancioni
Responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (PI).
Vedi anche:
Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità. Gruppo 9 – Donne con disabilità, Proposte per il terzo Programma di Azione Biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, [a cura di] Vittoria Doretti e Silvia Cutrera (coordinatrici del Gruppo), Sara Carnovali, Anna Maria Gioria, Valentina Fiordelmondo (componenti della redazione), 28 giugno 2022.
OND – Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità.
Simona Lancioni, L’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità e le politiche di genere, «Informare un’h», 13 dicembre 2021.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità: diritti sessuali e riproduttivi”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.
Ultimo aggiornamento il 23 Ottobre 2022 da Simona