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Disabilità, religione e spiritualità

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge», recita l’articolo 3 della nostra Costituzione. «Ama il prossimo tuo come te stesso», è scritto nel Vangelo. È davvero necessario specificare che in quei “tutti” ed in quel “prossimo” sono incluse anche le persone con disabilità per mettere in pratica tali disposizioni?

Due mollette di legno su un filo. Ad una di esse è “appesa” una nuvola.

“Us” not “Them”. Disability and Catholic Theology and Social Teaching (“Noi”, non “loro”. Disabilità, teologia e dottrina sociale cattolica) è un saggio di Justin Glyn. L’opera, pubblicata nel 2019, indaga come il tema della disabilità è stato ed è tuttora trattato all’interno della Chiesa Cattolica a partire dall’esperienza dell’Autore, un gesuita non vedente di origine australiana, avvocato e docente di Diritto Canonico presso il Catholic Theological College, General Counsel del distretto australiano della Compagnia di Gesù. La circostanza che lo stesso Autore del saggio sia una persona con disabilità conferisce allo scritto un carattere di autorappresentanza che influisce in modo significativo nel determinare la prospettiva attraverso la quale il tema in esame viene sviluppato. Questa connotazione rende lo scritto interessante, non solo per chi aderisce a questa religione, ma per chiunque si occupi di disabilità. Dell’opera è stata realizzata anche una traduzione in lingua italiana che è stata inserita nel volume collettivo a cura di Giovanni Merlo e Alberto Fontana, dal titolo A Sua immagine? Figli di Dio con disabilità (La Vita Felice, 2022, se ne legga una presentazione a questo link), ed ha portato ad un confronto pubblico ospitato nell’omonimo blog A sua immagine?

Pur definendomi laica, seguo con interesse questo confronto per diversi motivi. Per l’innegabile influenza che la religione cattolica esercita sulla cultura ad un livello mondiale (basti solo pensare che il nostro calendario scandisce il tempo a partire dalla nascita di Gesù). Per il fatto che io stessa sono stata cresciuta ed educata in un contesto cattolico, e che mia madre e mia sorella continuano ad aderire a questa religione, cosa che sollecita un confronto diretto sui nostri differenti modi di intendere ed affrontare la vita. Ma anche perché ritengo che la stessa interpretazione della disabilità, al pari di molteplici altri aspetti inerenti alle vicende umane, possa essere indagata anche da una prospettiva spirituale, sebbene non necessariamente religiosa. Possiamo infatti ipotizzare che anche chi non aderisce ad alcuna religione si ponga questioni come: da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Perché esiste e che significato ha la disabilità? Perché moriamo? Questi sono solo alcuni esempi di quesiti esistenziali a cui difficilmente l’indagine scientifica – per quanto sempre più accurata nelle descrizioni e sofisticata nei metodi investigativi – potrà mai rispondere, giacché essa non dispone di strumenti adeguati a risolvere problemi di senso. Nessun microscopio, ad esempio, potrà mai dirci chi siamo e che ci facciamo qui, il che non significa che i laici debbano rinunciare a porsi tali domande, né che alcuni elementi tratti dalle scienze non possano tornare utili per chi voglia provare a comprendere, e neppure che valori come, ad esempio, l’uguaglianza, la giustizia e la solidarietà – pur connotandosi come immateriali – non possano essere condivisi sia dai credenti che dai laici. È però evidente che chi si pone tali questioni, si sta muovendo lungo una traiettoria non riducibile al materialismo.

Sebbene il confronto tra laici e credenti tenda a configurarsi nei termini di contrapposizione, a livello personale ritengo più efficace ed utile distinguere tra chi crede di “far parte di qualcosa di più grande di sé” (che il/la credente identifica con Dio, e il laico potrebbe identificare, ad esempio, con la comunità umana), e chi non riesce ad andare oltre l’individualismo. Dal mio punto di vista solo chi crede di “far parte di qualcosa di più grande di sé” può autenticamente disporsi a trattare in modo paritario chiunque, e dunque anche le persone con disabilità, e ciò a prescindere dal fatto che questa fede derivi da un precetto religioso o, ad esempio, dall’adesione ad un paradigma filosofico e/o giuridico. Ritengo tuttavia che la semplice adesione formale a questa fede non sia sufficiente a produrre atteggiamenti rispettosi e paritetici nei confronti degli altri esseri umani. Infatti la persona che aderisce alle leggi (siano essere religiose o giuridiche) considerandole come esterne a sé, e si dispone ad osservarle per conseguire i vantaggi che la loro osservanza può comportare (apparire degna al cospetto di Dio/essere considerata onesta), o evitare le sanzioni conseguenti alla loro trasgressione (il castigo divino/la pena comminata da un Tribunale), in realtà non si sta affatto ponendo in termini rispettosi e paritetici nei confronti della persona (disabile o meno) con cui si sta relazionando. Le leggi religiose/giuridiche sono fondamentali per definire un sistema di valori e regolare i rapporti di convivenza a un livello esteriore, ma finché tali valori non verranno sedimentati attraverso un lavoro introspettivo, anche i comportamenti che ne conseguono non potranno andare oltre la mera apparenza. L’uguaglianza e il rispetto, per essere autentici, richiedono un’adesione intima. Essi sono un’acquisizione che può scaturire solo da un’elaborazione interiore. Questo aspetto, che a prima vista potrebbe essere percepito come un limite, in realtà si rivela un formidabile antidoto contro i pregiudizi che ancora persistono sia all’interno che all’esterno della Chiesa Cattolica riguardo ai tanti gruppi marginalizzati, non solo quello delle persone con disabilità.

Nel testo di Glyn è messo in evidenza come all’interno della Chiesa Cattolica l’interpretazione della disabilità abbia oscillato tra due posizioni prevalenti: quella che l’ha intesa come colpa o peccato, e quella che l’ha interpretata come strumento di redenzione. A fronte di questa analisi, viene da osservare che, in modo non dissimile, anche fuori dalla Chiesa, l’interpretazione della disabilità continua tendere verso una polarizzazione tra il pietoso e l’eroico. E tuttavia queste posizioni ben difficilmente potrebbero trovare ascolto se le persone venissero educate a costruire relazioni autentiche, perché la costruzione di relazioni di questo tipo presuppone un lavoro su di sé finalizzato a riconoscere l’altro/a come proprio simile. E poco importa se la similitudine scaturisca dall’essere figlio o figlia di uno stesso Dio, o dal riconoscere l’appartenenza alla medesima comunità umana, chi matura questa convenzione non può assumere atteggiamenti inferiorizzanti nei confronti di nessun individuo perché avrebbe difficoltà a conciliare quella condotta con la propria idea di sé. Assumendo questa prospettiva è possibile significare la disabilità senza ricorrere ad artifici retorici o costruzioni metafisiche: essa può semplicemente essere intesa come una delle tante condizioni umane con le quali siamo chiamati/e a confrontarci in un percorso di accrescimento della consapevolezza (spirituale o religiosa che sia).

Intendiamoci, fa benissimo Glyn a stimolare una riflessione teologica intorno alla disabilità, e più in specifico intorno alle persone con disabilità, e tuttavia è importante tenere presente che la Chiesa Cattolica, essendo gestita in modo gerarchico, non dispone di una struttura adeguata a promuovere l’uguaglianza. Questo vuol dire che per il mondo cattolico il problema dell’uguaglianza non si pone solo nella relazione con le persone con disabilità (o con le donne, o con le persone omosessuali, altri gruppi discriminati e marginalizzati), ma più in generale nella scelta, emblematica anche sotto il profilo simbolico, di attribuire a soggetti teoricamente simili, posizioni concretamente diseguali. Questa caratteristica, unita all’oggettiva difficoltà di riuscire a reinterpretare in chiave moderna testi sacri scritti qualche millennio fa, induce a ritenere che l’introduzione di modifiche teologiche/dottrinali non possa essere immediata. Eppure possiamo osservare che chiunque voglia in realtà ha già tutti gli elementi per coltivare l’uguaglianza dentro di sé, e comportarsi di conseguenza.

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge», recita l’articolo 3 della nostra Costituzione. «Ama il prossimo tuo come te stesso», è scritto nel Vangelo. È davvero necessario specificare che in quei tutti ed in quel prossimo sono incluse anche le persone con disabilità per mettere in pratica tali disposizioni? (Simona Lancioni)

 

Vedi anche:

Blog A sua immagine?

Salvatore Nocera, È necessario completare la teologia della Crocefissione con quella della Resurrezione, «Informare un’h», 4 novembre 2024.

Maria Giulia Bernardini, È tempo di (ri)scoprire la teologia della liberazione disabile, «Informare un’h», 3 novembre 2024.

Simona Lancioni, Chiesa e disabilità, una riflessione politica, «Informare un’h», 23 ottobre 2024.

Giovanni Merlo, Disabilità ovvero il riconoscimento dell’appartenenza ad un’unica umanità, «Informare un’h», 8 ottobre 2024.

Simona Lancioni, La vera sfida è rinunciare al potere e al controllo sugli altri, «Informare un’h», 14 giugno 2022.

Simona Lancioni, Il superamento della dualità noi-loro: tra abili e disabili, e tra credenti e non, «Informare un’h», 22 maggio 2022.

“Figli di Dio con disabilità” e la ricerca di un nuovo paradigma teologico, «Informare un’h», 19 maggio 2022.

Verrà presentato a Milano un saggio che indaga il rapporto tra disabilità e fede, «Informare un’h», 13 maggio 2022.

 

Ultimo aggiornamento il 22 Aprile 2025 da Simona