intervista a Nadia Muscialini e Armando Cecatiello, a cura di Simona Lancioni
Cosa può fare una donna con disabilità che subisce violenza? E quali sono le specifiche tutele per le donne con disabilità vittime di abuso o violenza previste dalla normativa italiana? Lo abbiamo chiesto a Nadia Muscialini (dirigente psicologa SSN, psicoanalista che si occupa da più di vent’anni della salute e del benessere femminile, presidente dell’Associazione Soccorso Rosa di Milano) e Armando Cecatiello (avvocato che vive e lavora a Milano e si occupa di diritto di famiglia e dei minori), autori di “Adesso basta! Istruzioni contro l’abuso” (Boston Group, Seconda Ed. 2015), un libro che tratta il tema della violenza sulle donne in modo chiaro e analitico, fornendo preziose indicazioni operative a chiunque si trovi ad avere a che fare con essa. Un testo che, prendendo in esame alcune storie vere, infonde fiducia, e mostra che uscire dalla violenza è possibile.
A chi si può rivolgere una donna con disabilità che subisce violenza?
«Una donna con disabilità deve sicuramente rivolgersi a chi ha competenze professionali in merito alla violenza ma che sappia anche affrontare questa complessità unita alla complessità legata alla disabilità.
Un altro requisito fondamentale è che un operatore possa lavorare in équipe e che il team sia accessibile alla vittima.
L’accessibilità deve essere intesa in diverse maniere e non solo in senso fisico.
Innanzi tutto i professionisti coinvolti devono avere un elevato grado di flessibilità mentale in modo che possano trovare soluzioni nuove e personalizzate e superare barriere che possono apparire insormontabili qualora si pretenda di aderire in maniera rigida a protocolli predefiniti, secondariamente devono avere previsto alcune strategie da attivare nel caso si rilevi la presenza di qualche tipo di disabilità.
Laddove vi sono competenza professionale, disponibilità umana e flessibilità allora è possibile aiutare concretamente persone disabili vittime di violenza.»
In base alla vostra esperienza, ritenete che questi servizi siano facilmente attivabili/raggiungibili anche da persone con diverse disabilità (motoria, sensoriale, intellettiva)?
«I centri antiviolenza in genere non si occupano di donne con disabilità, e nei rari casi che lo fanno lamentano moltissime difficoltà causate dal fatto che non sono stati pensati per accogliere persone con disabilità, quindi di fatto la maggior parte dei centri antiviolenza non son accessibili. Non lo sono nemmeno per quanto riguarda le competenze necessarie per effettuare valutazioni specifiche adottando strumenti ad hoc che siano in grado anche di inserire il problema della violenza nella storia di una persona con disabilità.
In molti casi sono le strutture stesse a dichiarare di non essere in grado di prendere in carico e adattare i propri percorsi alle esigenze poste da una donna con qualche tipo di disabilità.
In realtà è anche vero che la riflessione circa la presa in carico di donne disabili vittime di violenza è recente e solo pochi centri antiviolenza se ne stanno occupando, ritenendo di avere già scarse risorse per seguire adeguatamente vittime che non hanno situazioni sanitarie complesse.
Anche il personale dei servizi per persone disabili lamentano di non essere adeguatamente preparati a gestire una situazione in cui vi siano situazioni di maltrattamenti domestici.
Personalmente e come professionisti riteniamo però che sia possibile rendere accessibili e fruibili diversi tipi di servizi a persone che hanno una situazione di complessità che si somma ad un’altra complessità.»
Quali sono i compiti dei diversi soggetti coinvolti nel percorso di soccorso alle donne vittime di violenza? Tra questi soggetti, ve ne sono di specificamente preposti/formati per occuparsi dei casi di violenza ai danni delle donne con disabilità?
«I compiti degli esperti di violenza sono quelli di identificare, certificare, proteggere e assistere una vittima rispetto alla sua incolumità e benessere. Inoltre devono essere in grado di mettere in comunicazione coloro che aiutano la donna rispetto alla sua problematica di disabilità, istituzioni e servizi prima di tutto.
Noi possiamo parlare solo della nostra esperienza ma ci sembra che sono pochissimi i professionisti e i servizi in grado di occuparsi di questo tipo di utenza.»
Quali sono, in sintesi, ed in base alla Legge, le misure che possono essere attivate a tutela delle vittime di abuso o violenza?
«Nel nostro paese esistono leggi efficaci a tutela delle donne vittime di violenza.
Abbiamo gli ordini di protezione che possono essere emessi sia dall’autorità civile che da quella penale. Si tratta di provvedimenti posti a tutela della donna che creano come una bolla di protezione nei confronti dell’abusante. Abbiamo l’allontanamento dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento alla casa, al posto di lavoro ai c.d. centri di interesse quali le scuole dei figli, abbiamo ottenuto persino divieti ad avvicinarsi al supermercato dove la donna usa fare la spesa.
Con gli stessi ordini si può ottenere, da subito, anche un assegno a carico dell’abusante per il mantenimento della donna e dei figli. Dobbiamo ricordare che spesso alla violenza fisica e psicologica si aggiunge quella economica. Si, molto spesso, gli uomini smettono di provvedere o non provvedono adeguatamente ai bisogni della donna e dei figli anche come forma di ritorsione alla denuncia. Avere un provvedimento, in via d’urgenza, che tutela anche dal punto di vista patrimoniale la vittima è una risorsa enorme per gli avvocati.»
Quali sono, invece, le disposizioni specificamente previste dal nostro ordinamento giuridico a tutela delle donne con disabilità vittime di abuso o violenza?
«In molti invocano la necessità che il legislatore stabilisca una serie di aggravanti per gli autori dei reati a danno di persone con disabilità, come nel caso della violenza sessuale dove l’art. 609 bis del codice penale già prevede espressamente una aggravante specifica. Al momento l’esistenza di una disabilità in capo alla vittima può essere considerata un’aggravante generica ai sensi dell’art. 61 del codice penale.» [Segnaliamo inoltre che un’aggravante penale specifica è prevista anche dall’art. 612 bis del codice penale per gli autori di atti persecutori ai danni di una persona con disabilità individuata ai sensi all’art. 3 della Legge 104/1992, N.d.R.]
Alla donna che subisce violenza è richiesto di esibire al giudice le prove della violenza subita. Potete fare qualche esempio di prova valida ai fini di un procedimento penale?
«Nel caso di soggetti con fragilità sia la parte inerente la denuncia o segnalazione all’autorità giudiziaria che l’esibizione di prove può essere fatta da terzi, soprattutto quando rivestono un incarico come pubblico ufficiale.
Medici, psicologi del servizio sanitario nazionale, insegnanti, assistenti sociali che vengono a sapere delle violenze sono tenuti a darne notizie all’autorità giudiziaria.
Bisogna considerare che le donne, comprese quelle con qualche forma di disabilità, se adeguatamente edotte ed informate possono raccogliere e documentare loro stesse le violenze subite. Ricordiamo che l’immediato accesso al pronto soccorso di un ospedale è la migliore strategia per la donna vittima di violenza. In ospedale i sanitari sono istruiti su come raccogliere le prove e come documentare gli esiti di un evento traumatico anche di tipo psicologico.»
Se pensate all’intero percorso di soccorso alle donne (anche disabili) vittime di violenza ritenete che esso sia sempre adeguato alle diverse situazioni che si possono verificare, o avete riscontrato qualche malfunzionamento o lacuna? Eventualmente, quali?
«Le lacune maggiori sono quelle di comunicazione tra diversi servizi che hanno in carico la donna. Ad esempio servizi sociali, strutture sanitarie, avvocati, tribunali. In realtà sono tutti problemi superabili grazie ad un atteggiamento mentale aperto e flessibile e buona volontà nel cercare strade comunicative più funzionali possibili.»
Le domande precedenti ipotizzano che la vittima di violenza sia una donna poiché, da un punto di vista statistico, sono proprio le donne i soggetti maggiormente esposti alla violenza, e le donne con disabilità ancora più delle altre. Cambia qualcosa nel percorso di soccorso se la vittima di violenza è un uomo (anche disabile)? Eventualmente, cosa cambia?
«Esistono casi in cui anche gli uomini sono vittime di violenza. Spesso le vittime vengono ad essere proprio i soggetti con una qualche disabilità, considerati dagli aggressori più deboli e vulnerabili. La legge non fa distinzioni di sorta e le vittime vengono ugualmente tutelate. Speso il problema riguarda la vergogna, troppo spesso insuperabile, degli uomini a denunciare gli abusi soprattutto quelli di carattere sessuale.»
Ultimo aggiornamento: 24 novembre 2015
Ultimo aggiornamento il 7 Novembre 2017 da Simona