Cosa hanno in comune le persone con disabilità e quelle LGBTQI (termine collettivo per indicare le persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali)? Si discostano entrambe dal “modello dominate” che definisce in modo rigido quali sono le caratteristiche personali accettabili e quali no, un comune denominatore che induce ad individuare convergenze anche nelle rivendicazioni. Da qui la proposta, contenuta nel documento politico scaturito dal Bologna Pride 2019, che il movimento delle persone LGBTQI e quello delle persone con disabilità si incontrino e si facciano carico delle istanze comuni. Importante e degna di nota anche l’attenzione prestata, all’interno documento, al fenomeno della violenza di genere, ed in particolare a quella nei confronti delle donne con disabilità.
Lo scorso 22 giugno si è tenuto il Bologna Pride 2019, un evento per esprimere l’orgoglio della comunità LGBTQI (termine collettivo per indicare le persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali), ed anche «per “sfondare i muri” dell’odio, della violenza, dell’indifferenza, dell’oppressione. Per continuare a ribellarci, per essere noi, per vivere come siamo e per essere libere di autodeterminarci», è scritto nel sito dedicato all’iniziativa. Una miriade di persone hanno dato vita ad una manifestazione colorata, vivace, allegra ed eccentrica che si è riversata per le vie della città. «Sfondiamo i muri!» è lo slogan scelto per questa edizione, un imperativo ed un’invocazione per portare all’attenzione le numerose discriminazioni e violazioni dei diritti umani alle quali, ancora oggi, sono esposte le persone con un’identità di genere ed un orientamento sessuale diversi da quelli considerati tradizionali.
Da quella giornata è scaturito un documento politico nel quale lo slogan «Sfondiamo i muri!» è stato declinato in funzione delle numerosissime barriere con le quali le persone LGBTQI sono chiamate, loro malgrado, a scontrarsi. Sfondiamo i muri del silenzio; sfondiamo i muri dell’abilismo; sfondiamo il muro del patriarcato e della violenza di genere; sfondiamo i muri dello stigma dei corpi trans; sfondiamo i muri dell’unico modello di famiglia; sfondiamo i muri del bullismo e della discriminazione nelle scuole; sfondiamo i muri dello stigma per le persone HIV+; sfondiamo i muri dello sport escludente, razzista e misogino. Un testo importante, articolato e denso di spunti di riflessione.
Occupandoci di disabilità, il muro da abbattere che maggiormente ha attratto la nostra attenzione è quello dell’abilismo. Non si tratta di una semplice citazione, il tema è sviluppato con competenza, assumendo come paradigma teorico di riferimento quello definito dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. «Il sistema in cui viviamo è fondato su un modello abilista dominante che genera discriminazione verso le persone con disabilità (pcd). – è scritto nel documento – L’abilismo consiste nelle pratiche e negli atteggiamenti che danno per scontato che i corpi, i sensi, le attitudini cognitive siano abili, dove l’abilità è un concetto circoscritto a canoni di conformità stabilita. L’abilismo nell’immaginario collettivo ha generato da un lato una visione pietistica della soggettività con disabilità, dall’altro, figure retoriche eroiche che rappresentano esempi di vita che incoraggiano l’abile privilegiato a essere e sentirsi forte. L’abilismo è nel linguaggio che usa parole come handicappatx, ritardatx, mongoloide, spasticx, ecc. come insulto. Prendiamo spunto dalle definizioni nella Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità da cui comprendiamo che la disabilità è una condizione in cui un essere umano può nascere, o trovarsi a vivere durante la propria esistenza. E che l’ambiente sociale è responsabile della disabilitazione di una persona. Spetta perciò a tutte le persone interrogarsi, occuparsene e agire perché non si sia artefici di quegli ostacoli che marginalizzano e discriminano le pcd.»
In ulteriore passaggio il documento denuncia le politiche assistenzialistiche e segreganti che negano alle persone con disabilità la possibilità di partecipare attivamente alla vita sociale e politica, e di essere protagoniste delle proprie vite, per poi introdurre il tema della sessualità: «In questo contesto è ignorato il desiderio sessuale. La libertà di esplorare e esprimere la propria identità di genere e di orientamento sessuale è oppressa. Le persone con disabilità lgbtqi+, dunque, subiscono discriminazioni multiple. Si pensi, per esempio, a una donna lesbica con disabilità la cui soggettività è oppressa da un contesto patriarcale, misogino, lesbofobo, abilista, induttore di auto-invisibilizzazione. L’intersezione di queste oppressioni ci chiama ad allargare le nostre rivendicazioni a quelle delle pcd. Non può esserci battaglia che ignori un aspetto che caratterizza una soggettività per il quale questa è oppressa. Per dirlo con parole di Audre Lodre, attivista nera, lesbica, femminista: “Non esiste una battaglia monotematica, perché non viviamo vite monotematiche”.»
Nella nostra società, sia le persone con disabilità, sia quelle LGBTQI, si discostano dal “modello dominate” che definisce in modo rigido quali sono le caratteristiche personali accettabili e quali no, un comune denominatore che induce ad individuare convergenze anche nelle rivendicazioni: «Le rivendicazioni del movimento lgbtqi+ e del movimento delle persone con disabilità hanno molti punti in comune perché i corpi delle persone con disabilità sono corpi queer, perché siamo tutte soggettività non conformi che rompono un modello patriarcale e misogino che ci vuole tutte persone abili, belle, bianche, etero, carnivore, produttive e consumiste. Il sistema patriarcale eteronormato e abilista nega sia l’esistenza di famiglie omogenitoriali che la genitorialità delle persone con disabilità. Le figlie e i figli che crescono in famiglie omogenitoriali si ritiene che verranno bullizzati a causa delle scelte dei loro genitori, stessa concezione si ha per le figlie e figli di pcd. Le soggettività lgbtqi+ e disabili (considerate non produttive) condividono anche la difficoltà all’accesso al lavoro, allo sport.»
Proprio la constatazione di questi punti di convergenza dovrebbe indurre i due movimenti, quello delle persone con disabilità e quello delle persone LGBTQI, a riconoscersi vicendevolmente e a condurre assieme le lotte di rivendicazione.
Importante e degna di nota è l’attenzione al fenomeno della violenza di genere (al quale è dedicato un intero paragrafo), che, intersecato con fenomeno dell’abilismo, porta a sottolineare la specifica condizione delle donne con disabilità. Questo il passaggio più significativo: «Il tema della violenza di genere sulle pcd è un tema che ha bisogno di essere nominato e affrontato. È importante creare consapevolezza ed empowerment nelle donne con disabilità perché la violenza è talmente normalizzata nella vita quotidiana che non viene riconosciuta. Le donne con disabilità subiscono violenze a partire dalla sovradeterminazione delle scelte di vita. Se agite dax caregiver ne complica il riconoscimento e la fuoriuscita. Le donne con disabilità cognitiva non vengono credute, non c’è informazione accessibile (donne sorde, non vedenti ecc.), le strutture che accolgono i percorsi di fuoriuscita dalla violenza hanno iniziato solo da poco a parlarne, ma ancora non sono attive politiche e servizi dedicati. Le pcd lgbtqi+, che subiscono violenze sono ancora più restie a sporgere denuncia poiché, oltre agli ostacoli appena citati, si aggiunge anche la paura del rischio, nel raccontare o sporgere denuncia, di incontrare un interlocutore omolesbobitransfobico.»
Tutte queste argomentazioni portano ad individuare una necessità, un impegno ed una proposta politica. La necessità: «È necessario condividere l’impegno a cambiare sostenendo le lotte del movimento delle persone con disabilità. Vogliamo decostruire quella dicotomia abile/disabile, abbattere gli stigmi che ancora ci inducono a una percezione negativa o pietistica della disabilità.» L’impegno: «Ci impegniamo a interrogarci sulle nostre azioni, a costruire e vivere in spazi accessibili fisicamente, adottare linguaggi e strumenti che rendano accessibili i nostri contenuti politici e le informazioni (sui diritti civili, salute, malattie sessualmente trasmissibili, ecc.). La proposta politica: «Entrambi i movimenti, quello lgbtqi+ da una parte e quello delle pcd dall’altra, devono parlarsi, ascoltarsi e farsi carico di istanze comuni, e essere pronti al cambiamento di paradigma. Intersezionare le nostre lotte è il modo perché una soggettività con disabilità lesbica, gay, bisessuale, trans o intersessuale che sia, possa non subire oppressioni multiple e poter rivendicare l’orgoglio lgbtqi+ e disabile della propria identità» (in queste ultime tre citazioni non è stata rispettata la formattazione originale).
Cosa hanno in comune le persone con disabilità e quelle LGBTQI? Sono entrambe esposte a discriminazione, e chi è esposto a discriminazione non può rimanere indifferente a quella altrui. Questa semplice constatazione rende la proposta avanzata nel documento politico scaturito dal Bologna Pride 2019, non solo plausibile, ma anche auspicabile. A ciò si aggiunga che chi l’ha formulata ha saputo inquadrare correttamente le dinamiche discriminatorie a cui sono soggette le persone con disabilità, ed anche quelle, ancora più specifiche, che riguardano le donne con disabilità. Unire le forze in una rivendicazione comune contro tutte le discriminazioni è una proposta ambiziosa e potente. Non resta che augurarci che alle parole seguano i fatti.
Simona Lancioni
Responsabile del centro Informare un’h di Peccioli (Pisa)
Per approfondire:
Sito del Bologna Pride 2019.
Documento politico Bologna Pride 2019.
Francesca Talozzi, Senza resistere è impossibile esistere. Primi passi tra lesbismo, femminismo e disabilità, «Informare un’h», 29 aprile 2019.
L’accesso delle donne con disabilità alla comunità lesbica, «Informare un’h», 22 gennaio 2019.
Pagina Facebook del Gruppo Jump LGBT – Oltre tutte le barriere.
“Abili di cuore – Omo-disabilità: quale rapporto tra omosessualità e disabilità?”, rapporto di ricerca di Priscilla Berardi, con la collaborazione di Cristina Chiari e Ilaria Grasso ed il supporto del Centro Bolognese di Terapia della Famiglia, del Centro Documentazione Handicap di Bologna e di Handygay di Roma, supervisione e coordinamento di Raffaele Lelleri, Bologna, luglio 2007.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità: diritti sessuali e riproduttivi”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.
Ultimo aggiornamento: 26 giugno 2019
Ultimo aggiornamento il 26 Giugno 2019 da Simona