di Barbara Bichiri
Barbara Bichiri ha scelto di contribuire al confronto pubblico in tema di istituzionalizzazione raccontando la sua esperienza di madre di Caterina e Chiara, due giovani donne con importanti disabilità. «I bisogni di Chiara e Caterina sono estremamente complessi, ma loro dimostrano ogni giorno che la loro vita è degna di essere vissuta e goduta e non reclusa dentro a “modelli abitativi” che le separino dal resto del mondo e sottraggano loro l’opportunità di vivere e andare dove vogliono, quando vogliono, con chi vogliono».

Caterina e Chiara, due ragazze di 23 e 22 anni, hanno la sindrome di Mowat Wilson (una rara patologia genetica) e vivono con noi genitori.
Abitiamo fuori Torino, in un piccolo comune, nella casa di famiglia che abbiamo attrezzato con tutte le comodità e gli ausili necessari a Chiara, affetta anche da tetraplegia.
La normalità della nostra vita famigliare è vista come straordinarietà da chi non ci conosce e si approccia a noi o alle ragazze.
Perché straordinari? Perché la complessità della patologia delle ragazze è tale da non sembrare compatibile con la vita nella società di tutti.
Eppure non è così perché noi viviamo insieme e le ragazze hanno una vita piena di interessi e relazioni.
Non è stato facile, e non lo è tuttora, ma è stato un percorso di consapevolezza dei propri limiti e delle proprie risorse che ci ha consentito di affrontare le difficoltà.
Ed è proprio il tema delle risorse a sembrare aggredito dalla complessità.

Le necessità materiali e di risorse umane, in particolare la necessaria rete di persone e di assistenti, appaiono, a prima vista, prevalere su tutto. Ma quello che, davvero, serve capire è la volontà delle ragazze.
Due persone come Caterina e Chiara, non verbali e con apparente difficoltà di autodeterminazione, dimostrano quotidianamente che la vita che conducono è la vita che vogliono vivere.
Caterina, espansiva e socievole di natura, migliora le sue autonomie con attività di volontariato e di socializzazione che con lei scegliamo, con proposte che lei fa proprie solo se lo ritiene, altrimenti si cambiano i contesti e le persone, come fanno tutti.
Chiara, attenta e volitiva, alterna attività più riabilitative, necessarie per le sue funzioni vitali, ad attività di socializzazione in contesti dove la musica e i musicisti siano prevalenti (concerti e conservatorio).
La quotidianità è quindi piena e soddisfacente.
Eppure noi genitori, ancora oggi, sentiamo voci corali che suggeriscono, come un mantra e con convinzione, che luoghi speciali di cura e protezione sono l’unica possibilità, e la migliore, per situazioni come la nostra.
Un esempio di questa convinzione è stato lampante per me, mamma: una psicologa, giovane ricercatrice universitaria, con cui ho iniziato un percorso di sostegno, appena udito il racconto delle due figlie con disabilità, ha chiesto se le due ragazze frequentassero un centro diurno.
La mia reazione di sdegno per questa convinta equazione, disabilità = centro diurno, ha, senza dubbio, stimolato una riflessione nella psicologa che, con un ruolo così importante e, pur essendo così giovane, è vittima inconsapevole, ancora oggi, di questa auspicata soluzione della separazione e segregazione.
Eppure noi siamo testimoni che si può fare, si può vivere in contesti di normalità, e questo ci basta per continuare a volerlo e a crederci.
Siamo consapevoli che famiglie con minori possibilità, sotto tanti punti di vista, pur avendo pari diritti possono non riuscire a costruire il complesso sistema di supporti che garantisce a Chiara e Caterina una vita indipendente nel mondo di tutti. Ma le stesse opportunità dovrebbero essere garantite a tutte le persone, indipendentemente da estrazione sociale, comprensione del welfare e contesto territoriale. Per questo le parole di Marino [fa riferimento al testo, a firma di Giovanni Marino, Le residenze non sono istituti, ma modelli abitativi progettati a misura dei bisogni assistenziali delle persone, pubblicato sulla testata «Superando» il 9 luglio 2025. Marino è il presidente nazionale dell’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo), N.d.R.] sono irricevibili: i bisogni di Chiara e Caterina sono estremamente complessi, ma loro dimostrano ogni giorno che la loro vita è degna di essere vissuta e goduta e non reclusa dentro a “modelli abitativi” che le separino dal resto del mondo e sottraggano loro l’opportunità di vivere e andare dove vogliono, quando vogliono, con chi vogliono. Come chiunque altro. È importante riformare il welfare e rimettere al centro l’obiettivo della deistituzionalizzazione, con serietà e senza trovare scuse.
Nota: il Centro Informare un’h è impegnato nel rivendicare la promozione della deistituzionalizzazione e lo stop all’istituzionalizzazione. Temi su cui si è avviato un confronto pubblico. In calce alla pagina Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone (in aggiornamento) sono segnalati i contributi che di volta in volta si stanno susseguendo.
Ultimo aggiornamento il 16 Luglio 2025 da Simona