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Cassazione: l’opposizione della persona alla nomina dell’amministratore di sostegno è espressione di autodeterminazione

«[…] la misura deve essere decisamente esclusa, ove il soggetto che ne dovrebbe beneficiare si trovi nella piena capacità di determinarsi, anche se versi in condizioni di menomazione fisica»; le valutazioni del Giudice devono «privilegiare il rispetto del diritto fondamentale della persona di autodeterminarsi nelle scelte di vita e personali»; «[l’]opposizione alla nomina costituisce espressione di autodeterminazione»: sono probabilmente questi alcuni dei passaggi più significativi dell’ultima Ordinanza della Corte Suprema di Cassazione in materia di amministrazione di sostegno. Un testo che merita di essere conosciuto nel dettaglio.

La tenue luce di un sole rosato si intravede dietro le venature di alcune foglie grigie e trasparenti (foto di Michelle Fregni).

«[…] la misura deve essere decisamente esclusa, ove il soggetto che ne dovrebbe beneficiare si trovi nella piena capacità di determinarsi, anche se versi in condizioni di menomazione fisica»; le valutazioni del Giudice devono «privilegiare il rispetto del diritto fondamentale della persona di autodeterminarsi nelle scelte di vita e personali»; «[l’]opposizione alla nomina costituisce espressione di autodeterminazione»: sono probabilmente questi alcuni dei passaggi più significativi dell’ultimo pronunciamento della Corte Suprema di Cassazione in materia di amministrazione di sostegno (questi i riferimenti: Cassazione Civile, Ordinanza del 10 settembre 2024, n. 24251), che evidenzia ancora una volta le storture che si possono verificare nell’applicazione di questo istituto di tutela giuridica introdotto in Italia con la Legge 6/2004.

Ma andiamo con ordine. La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sul caso di una donna che contestava il decreto con il quale il Giudice Tutelare aveva aperto una amministrazione di sostegno in “suo favore”, accogliendo l’istanza presentata, il 5 maggio 2023, dai Servizi Sociali dell’Alessandrino (area in cui si è verificato il fatto). In specifico «la ricorrente aveva espresso la sua forte opposizione alle limitazioni conseguenti alla misura di protezione, argomentando di essere in grado di provvedere autonomamente ai propri interessi sanitari e patrimoniali, contestando i fatti allegati a sostegno del ricorso, in particolare l’influenza del nuovo compagno e la preoccupazione che essa ricorrente potesse venire raggirata».

Nonostante l’opposizione della donna, il Tribunale di Alessandria ha confermato il decreto impugnato, tranne che sul punto del consenso ai trattamenti sanitari, che configurava in termini di mera assistenza, accogliendo il « rilievo che la beneficiaria ha una menomazione fisica e psichica, per cui percepisce, oltre che la pensione di invalidità, anche la indennità di accompagnamento e, pur se è in grado di ben esprimere i suoi desideri e la sua volontà, necessita di una misura di protezione con particolare riguardo agli aspetti di “straordinaria amministrazione”», ciò perché avrebbe speso cifre rilevanti (1.240 euro in un mese) in locali di giochi e scommesse. Tale aspetto è stato ritenuto preoccupante perché la donna percepisce una pensione di circa euro 1.700 mensili, deve corrispondere un affitto di oltre 300 euro e non dispone di risparmi.

A queste argomentazioni la ricorrente ha ribattuto lamentando «la violazione del principio dell’autodeterminazione dell’individuo, per avere il Tribunale confermato l’amministrazione di sostegno nonostante il convinto, fermo e deciso parere contrario di essa ricorrente e, per avere di fatto illegittimamente trasformato la misura di mera assistenza e sussidiarietà, prevista dal legislatore, in una misura altamente afflittiva, che prevede la quasi totale sostituzione della beneficiaria». Infatti il Giudice Tutelare ha successivamente esteso le limitazioni che dovevano riguardare i soli aspetti di “straordinaria amministrazione”, a molti altri aspetti della vita ordinaria della ricorrente (tra gli aspetti sottoposti a limitazione sono infatti citati: «la gestione ordinaria del patrimonio mobiliare e immobiliare, il ricevere notifiche di atti, il ritirare ogni genere di corrispondenza, la partecipazione alle assemblee di condominio, la rappresentanza in eventuali procedimenti giudiziari, la gestione ordinaria dei rapporti pensionistici, la chiusura di conti correnti, libretti e depositi postali, l’effettuare i pagamenti necessari alle esigenze del beneficiario, salvo che per le piccolissime spese della quotidianità etc.».

Davanti a questo quadro, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il motivo del ricorso presentato dalla donna fosse fondato, ed ha ribadito «che l’istituto della amministrazione di sostegno è uno strumento volto a proteggere, senza mortificarla, la persona affetta da una disabilità fisica o psichica tale da renderla inadeguata a provvedere ai suoi interessi; la misura è caratterizzata da un alto grado di flessibilità e la legge chiama il Giudice all’impegnativo compito di adeguare la misura alla situazione concreta della persona e di variarla nel tempo, così da assicurare all’amministrato la massima tutela possibile con il minor sacrificio della sua capacità di autodeterminazione».

Per la Suprema Corte l’amministrazione di sostegno «deve essere modellata dal Giudice Tutelare in relazione allo stato personale e alle circostanze di vita di ciascun beneficiario e in vista del concreto e massimo sviluppo delle sue effettive abilità (il c.d. vestito su misura). In quest’ottica il Giudice deve valutare non solo l’an della misura [se la misura è necessaria, N.d.R.], ma anche il quid [quali attività e atti deve riguardare, N.d.R.] ed il quomodo [le modalità di applicazione, N.d.R.] dovendosi privilegiare il rispetto del diritto fondamentale della persona di autodeterminarsi nelle scelte di vita e personali, anche quando non approvate dal contesto familiare e sociale, purché da queste scelte non ne derivi un concreto pregiudizio per la persona stessa».

Nell’Ordinanza è quindi richiamato l’articolo 12 (Uguale riconoscimento dinanzi alla legge) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, sottolineando quando già espresso dalla Corte in altre occasioni (se ne legga, ad esempio, a questo link), ossia che l’accertamento della ricorrenza dei presupposti per la nomina di un amministratore di sostegno «deve essere compiuto in maniera specifica e circostanziata sia rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario – la cui volontà contraria, ove provenga da persona lucida, non può non essere tenuta in considerazione dal Giudice – sia rispetto all’incidenza della stesse sulla sua capacità di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali, verificando la possibilità, in concreto, che tali esigenze possano essere attuate anche con strumenti diversi come, ad esempio, avvalendosi, in tutto o in parte, di un sistema di deleghe o di un’adeguata rete familiare». La misura deve dunque essere «specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela», perché altrimenti implicherebbe «un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona».

C’è poi un altro passaggio da leggere con estrema attenzione perché prevede espressamente che l’opinione della persona debba essere tenuta in considerazione anche nel caso in cui la sua capacità venga limitata. Scrive infatti la Suprema Corte: «Si deve inoltre osservare che l’art. 410 c.c. nella parte in cui impone all’amministratore di sostegno di informare il beneficiario circa gli atti da compiere e, in caso di dissenso, il Giudice Tutelare, dimostra come, in ogni caso, l’opinione del beneficiario debba essere tenuta in considerazione, pur se ne venga limitata la capacità. Limitare la capacità nella minor misura possibile significa pertanto non soltanto selezionare specificamente gli atti che il beneficiario non può compiere o non può compiere da solo, ma altresì preservare, anche con riferimento a questi atti, il diritto del beneficiario di esprimere la propria opinione e di partecipare, nella misura in cui lo consenta la sua condizione, alla formazione delle decisioni che lo riguardano».

Questo significa che se un Giudice Tutelare pensa di estendere alla persona sottoposta ad amministrazione di sostegno le «limitazioni previste per l’interdetto e l’inabilitato», deve sorreggere tale decisione con «una specifica motivazione che giustifichi la ragione per la quale si limita la sfera di autodeterminazione del soggetto e della misura in cui la si limita; e le decisioni che non rispettano i desiderata del beneficiario devono fondarsi non solo sulla rigorosa valutazione che egli non sia capace di adeguatamente gestire i propri interessi e di assumere decisioni adeguatamente protettive, ma anche sulla preventiva valutazione della possibilità di ricorrere a strumenti alternativi di supporto e non limitativi della capacità, in modo da proteggere gli interessi della persona senza mortificarla, preservandone la dignità, e solo ove questo non sia possibile, può farsi luogo alle compressione della capacità».

Anche quando è deciso che la misura è necessaria, prosegue la Corte, «non ne conseguono automatismi, e non possono adottarsi provvedimenti stereotipati, ovvero usare moduli standardizzati, poiché dalla apertura della amministrazione non discende, quale effetto legale, che la persona debba essere assistita o sostituita in tutte le attività giuridicamente rilevanti, ma solo in quegli ambiti in cui il Giudice ha rilevato specifiche criticità, vale a dire deficit di competenze decisorie e gestorie che possono causare un serio pregiudizio alla persona». Nella definizione dei provvedimenti il Giudice «accertare i bisogni della persona del beneficiario, intesi come bisogni oggettivi, ma anche come desideri ed aspirazioni, valutando in che misura questi desideri non siano frutto di volontà distorte ed in contrasto con i bisogni oggettivi».

Dalle considerazioni espresse, argomenta la Corte, «deriva che la misura deve essere decisamente esclusa, ove il soggetto che ne dovrebbe beneficiare si trovi nella piena capacità di determinarsi, anche se versi in condizioni di menomazione fisica. Ne consegue che, salvo che non sia provocata da una grave patologia psichica, tale da rendere l’interessato inconsapevole del bisogno di assistenza, la sua opposizione alla nomina costituisce espressione di autodeterminazione, che deve essere opportunamente considerata».

Dopo questa articolata disamina, La Corte di Cassazione ha ritenuto che i Giudici di merito non abbiano «fatto buon governo, mancando nella ordinanza impugnata la valutazione della proporzionalità delle limitazioni imposte alla beneficiaria – che secondo quanto esposto in ricorso, sono particolarmente incisive e penetranti, spingendosi sino al ritiro della posta e alla chiusura dei conti correnti – con gli effettivi profili di fragilità della persona e cioè con la ritenuta necessità di una misura di protezione con particolare riguardo agli aspetti di “straordinaria amministrazione”, data la sua tendenza a spendere somme al gioco, pur se – come la Corte stessa ha accertato – la donna non ha accumulato debiti e si presenta lucida ed in grado di bene esprimere i suoi desideri, i suoi pensieri, la sua volontà. Il che lascia presumere una considerevole capacità di autodeterminazione in capo alla ricorrente».

Il provvedimento del Giudici di merito è considerato dalla Corte Suprema contraddittorio e carente. Contradditorio perché da un lato riconosce alla donna consistenti capacità, ma dall’altro si è tradotto in un «decreto che impone alla medesima limitazioni persino nel ritiro della posta». Esso è inoltre carente «in quanto non dà conto delle ragioni per le quali tutte le limitazioni, che sono state imposte nel decreto di apertura della amministrazione, sarebbero corrispondenti alle effettive esigenze di protezione dell’interessata. D’altro canto, il riscontro di “capacità consistenti” in capo a quest’ultima, delle quali lo stesso Giudice a quo ha dato atto, avrebbero dovuto indurre il medesimo Giudice a tenerne adeguatamente conto, anche valutando le ragioni dell’opposizione della medesima alla misura, costituente espressione evidente di autodeterminazione». Sulla base di queste motivazioni la Corte Suprema di Cassazione ha accolto il ricorso della donna. (Simona Lancioni)

 

Nota: tutti i grassetti nelle citazioni testuali sono un intervento della Redazione.

Ringraziamo Bruna Bellotti per la segnalazione.

 

Vedi anche:

Simona Lancioni, La Corte di Cassazione circoscrive i poteri dell’amministratore di sostegno, «Informare un’h», 29 maggio 2024.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema della “Tutela giuridica”.

 

Ultimo aggiornamento il 30 Settembre 2024 da Simona