Intervista a Luisa Borgia* a cura di Carmela Cioffi
La bioetica dovrebbe essere come un faro nella tutela dei diritti e della dignità delle persone con disabilità: durante l’emergenza Covid, ad esempio, il Comitato Sammarinese di Bioetica si oppose alla discriminazione nei confronti delle persone con disabilità nei criteri per l’accesso alle terapie intensive. Ma il Comitato stesso si interroga costantemente su tali tematiche. Di questo e molto altro abbiamo parlato con Luisa Borgia che quel Comitato presiede.

La bioetica dovrebbe essere come un faro nella tutela dei diritti e della dignità delle persone con disabilità, in particolare nei momenti di maggiore vulnerabilità. Ad esempio, durante l’emergenza da Covid, il Comitato Sammarinese di Bioetica fu il primo ad opporsi alle discriminazioni nei criteri di accesso alle terapie intensive. E l’impegno di tale organismo non si è fermato lì: il monitoraggio degli effetti indiretti della pandemia ha rivelato il suo impatto sui diritti umani in ambiti spesso trascurati.
Poi vi sono temi come l’editing genetico, le nuove tecnologie, che sollevano interrogativi fondamentali: come possiamo garantire che la diversità umana sia rispettata, senza cedere alla tentazione di rincorrere alla perfezione? Come evitare che la “qualità della vita” diventi un criterio di esclusione piuttosto che un principio di inclusione?
Parallelamente, le continue notizie di maltrattamenti in istituti per persone con disabilità o anziane richiamano l’attenzione su un’altra questione: qual è il ruolo delle famiglie, delle comunità e delle associazioni?
Proponiamo dunque un dialogo con Luisa Borgia, presidente del Comitato Sammarinese di Bioetica, che ci guida attraverso queste complesse sfide etiche, offrendoci spunti per costruire un’etica inclusiva.
Quale importanza ha la bioetica per le persone con disabilità?
«La bioetica è una materia interdisciplinare che si occupa degli aspetti etici connessi alla medicina, alle scienze della vita e alle tecnologie connesse, applicate all’essere umano, tenendo in considerazione le dimensioni sociali, giuridiche ed ambientali. Ha quindi come oggetto la vita in tutte le sue forme (il bios) e, in particolare, la persona umana affinché ne siano tutelati i diritti e la dignità. Pertanto, la persona con disabilità rappresenta, nella prospettiva bioetica, la persona a cui prestare particolare attenzione perché esposta a un maggiore rischio di violazione dei diritti umani nell’ambito della biomedicina.
Sempre più, infatti, in ambito biomedico sono emersi approcci discriminatori sulle persone con disabilità che hanno prodotto un grande impatto emotivo sull’opinione pubblica, trattandosi di decisioni sulla qualità della vita delle persone, sul loro diritto ad esistere (eutanasia, diritto alla vita) e sulla possibilità di determinare la forma e le caratteristiche degli esseri viventi (procreazione assistita, terapie genetiche, manipolazione genetica, clonazione).
Per la prima volta la scienza giunge alla soglia dei poteri che consentono alla natura di “creare” e “trasformare” la vita, ponendo come motivazione la prevenzione e il superamento delle malattie e delle infermità, il miglioramento della qualità della specie umana, il potenziamento delle capacità riproduttive ben al di là dei limiti di età e di scelta dei partner. Pertanto, le Associazioni di persone con disabilità e dei loro familiari manifestano una grande preoccupazione sul rischio concreto di utilizzare il “modello medico” della disabilità come approccio culturale di base della biomedicina, della nuova genetica. In particolare, preoccupa vivamente la possibile deriva verso l’eugenetica, qualora si cedesse alla tentazione di affermare l’idea, assente in natura, della perfezione dell’essere umano. In questo contesto la malattia, il dolore, le diversità, verrebbero lette come imperfezioni da eliminare, non già come elementi dell’esistenza con cui ciascun essere umano può rapportarsi nel corso della propria vita. In realtà l’imperfezione appartiene a tutti gli esseri umani, in forme differenti e la diversità funzionale è una di queste diversità (come afferma anche l’articolo 3 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità)».
L’anno scorso, come raccontato anche sulla testata «Superando», si è tenuto nella Repubblica di San Marino il Global Summit di bioetica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Unesco. Come è stato scelto un piccolo Stato per organizzare un summit di portata mondiale? E che cosa è emerso rispetto all’attenzione ai diritti delle persone con disabilità?
«Il Global Summit dei Comitati Nazionali di Bioetica è un evento che si tiene ogni due anni in un continente differente. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Unesco identificano il Paese ospitante, tra quelli che inviano la propria candidatura, sulla base di una serie di parametri, tra cui l’attività svolta dal Comitato Nazionale di Biotica su tematiche di particolare interesse e caratterizzate da originalità. Mai, prima d’ora, era stato scelto un Piccolo Paese, ma al Comitato Sammarinese di Bioetica è stato riconosciuto il prezioso contributo scientifico svolto nella fase di emergenza pandemica a tutela delle persone più vulnerabili, e in primis proprio delle persone con disabilità. Inoltre, per la prima volta, il Global Summit ha dedicato un’intera sessione ai diritti delle persone con disabilità proprio sulla base di tutti i documenti emanati dal nostro Comitato su questo argomento, documenti che hanno rappresentato un esempio e un faro per la bioetica internazionale.
Devo dire, per altro, che in quell’occasione ci siamo resi conto di come nei differenti Paesi vi sia ancora poca conoscenza dell’argomento in una prospettiva bioetica e come ci sia ancora tanto lavoro da fare per inquadrare il problema nella corretta impostazione data dalla Convenzione ONU».
Il Comitato Sammarinese di Bioetica, durante i primi drammatici mesi dell’emergenza da Covid, è stato il primo Comitato a emanare uno specifico parere sulla gravissima violazione dei diritti delle persone con disabilità e degli anziani nel momento in cui venivano esclusi a priori dalle terapie intensive per mancanza di posti letto. Qualche anno dopo, con il sipario calato sulla pandemia, a luglio 2024, avete prodotto il documento La pandemia a distanza: effetti indiretti; perché avete sentito nuovamente questa urgenza? E ci sono altre “emergenze etiche” che emergono in questo momento nella ricerca scientifica sulle disabilità?
«Il Parere cui fa riferimento (Risposta alla richiesta di parere urgente su aspetti etici legati all’uso della ventilazione assistita in pazienti di ogni età con gravi disabilità in relazione alla pandemia di Covid-19 [disponibile a questo link, N.d.R.]) è stato emanato il 16 marzo 2020, ossia nella primissima fase emergenziale, quando capimmo che, a fronte di una patologia sconosciuta che richiedeva come unica speranza di salvezza la ventilazione assistita, la scarsità di posti letto costringeva i medici a effettuare una scelta drammatica sulle persone. La pubblicazione avvenuta una settimana prima (esattamente il 6 marzo 2020) da parte del SIAARTI (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva) delle Raccomandazioni di Etica Clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili indicava alcuni parametri “a priori” per l’accesso a tali cure salvavita, tra cui l’età e la presenza di comorbilità, andando così a discriminare alcune categorie di persone rispetto ad altre. Ovviamente, le persone con disabilità, insieme alle persone più anziane, incarnavano perfettamente le categorie da escludere ex-ante. Ciò ci ha indotto a emanare immediatamente il nostro parere, breve ma efficacissimo, in cui affermavamo con grande determinazione che l’attribuzione della priorità dei trattamenti da effettuare e delle vittime da trattare non può non tenere conto dei princìpi etici fondamentali, che si concretizzano in una corretta applicazione del triage, con cui si cerca di ottimizzare l’allocazione delle risorse. Unico parametro di scelta, pertanto, dev’essere la corretta applicazione del triage, nel rispetto di ogni vita umana, sulla base dei criteri di appropriatezza clinica e proporzionalità delle cure. Ogni altro criterio di selezione, quali ad esempio l’età, il genere, l’appartenenza sociale o etnica, la disabilità, è eticamente inammissibile, in quanto attuerebbe una graduatoria tra vite solo in apparenza più o meno degne di essere vissute, costituendo un’inaccettabile violazione dei diritti umani.
Ebbene, quel piccolo parere emanato immediatamente nei momenti più drammatici, ha prodotto un inaspettato “effetto domino”, diventando strumento prezioso ad esempio per l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, che ha inviato una open letter a tutti i capi di governo dei Paesi europei, per segnalare la grave discriminazione silenziosa che stava avvenendo negli ospedali e richiamando il rispetto per ogni vita umana proprio con riferimento al nostro documento. Inoltre, un mese dopo, nell’aprile 2020, anche l’ONU ha emanato una Linea Guida per segnalare il grave rischio di violazione dei diritti umani verso le persone con disabilità durante la pandemia, indicando il nostro parere come “buona pratica” nel mondo.
Ma, come Lei ben ricordava, non ci siamo fermati ai primi momenti emergenziali, ma abbiamo continuato a monitorare la situazione durante e al termine della pandemia, riportando esempi di “deumanizzazione” delle cure sia nei reparti ospedalieri sia nelle RSA, con il documento Umanizzazione delle cure e accompagnamento alla morte in scenari pandemici del 12 maggio 2021 [disponibile a questo link, N.d.R.]) ed effettuando una “fotografia” di tutti quegli àmbiti su cui sono ricaduti gli effetti indiretti della pandemia, come ad esempio quelli riguardanti i minori, la scuola, le donne vittime di violenza, le persone con disabilità (nel documento La pandemia a distanza: effetti indiretti, del 18 luglio 2024 [disponibile a questo link, N.d.R.]). Ci siamo infatti resi conto che si era focalizzata l’attenzione solo sugli aspetti sanitari, mentre la pandemia aveva provocato una violazione dei diritti umani in tutti i settori della società, rimasta però sotto traccia. Evidenziare questo è stato un dovere per il nostro Comitato, per richiamare l’attenzione dei decisori a predisporre azioni preventive, “in tempo di pace”, proprio nei settori su cui un’emergenza sanitaria non impatta direttamente, ma lascia gravi ripercussioni per lungo tempo e di cui non ci si occupa.
In merito infine alle “emergenze etiche” presenti in questo momento nella ricerca, non posso non pensare alle nuove tecniche di ingegneria genetica (o editing genetico), che si stanno affinando sempre più e permettono di agire direttamente sul genoma umano per correggere o eliminare “difetti” genetici ritenuti incompatibili con la qualità della vita. Lascio a lei le considerazioni sul concetto di qualità della vita, su chi debba stabilire quale sia la qualità della vita ritenuta accettabile nella nostra società e su quali debbano essere le persone da “scartare” per ricercare una ipotetica perfezione…».
Pensando alle continue notizie di casi di maltrattamenti di persone con disabilità o anziane in istituti, quale deve essere il ruolo delle famiglie e delle comunità e anche delle associazioni, che tutelano i diritti delle persone con disabilità, nel supporto alle persone con disabilità? E come possiamo garantire che questa scelta rispetti la dignità e i diritti della persona coinvolta?
«Il ruolo delle famiglie e delle associazioni è fondamentale per supplire alle lacune istituzionali. Il problema è che su di loro grava il carico integrale, e spesso esclusivo, della cura e dell’assistenza in solitudine. Queste figure non possono essere lasciate sole e un possibile modo per sostenersi a vicenda potrebbe essere quello di essere inserite in una rete. Il rischio, altrimenti, è quello che le persone che necessitano di cure e assistenza vengano “abbandonate”, nei luoghi deputati ad accoglierli ma in balìa di possibili violazioni della loro dignità e del loro benessere psicofisico. Purtroppo, l’unico riscontro che possiamo avere è proprio dalla persona assistita, dal suo stato e dalle sue reazioni o comunicazioni di varia natura che riesce a inviarci o che riusciamo a cogliere con una vicinanza continua e l’affinamento della nostra sensibilità nei confronti dei nostri cari. Tutto il resto è demandato alle attività ispettive da parte di enti ed organismi».
In che modo, dunque, le tecnologie assistive – e penso anche a quelle basate sull’intelligenza artificiale – stanno cambiando la vita delle persone con disabilità e quali sono le considerazioni etiche legate al loro uso?
«L’utilizzo delle nuove tecnologie è, come sempre, legato ad un duplice aspetto: la valenza di avanzamento tecnologico a supporto di un’assistenza più avanzata che migliori la qualità di vita non solo della persona assistita ma anche della sua famiglia e dei suoi caregiver e la valenza legata all’abuso di tali tecnologie. Si tratta di una questione che si ripropone puntualmente ad ogni avanzamento tecnologico: l’atteggiamento nei confronti di esso deve essere equilibrato, senza “demonizzazioni” o “santificazioni”. E la bioetica può essere sicuramente d’aiuto nel processo valutativo, ponendo l’attenzione sui parametri di rischio e beneficio che accompagnano qualsiasi azione dell’uomo su un altro uomo o su un altro essere vivente. Priorità al beneficio e finalità della persona che non deve mai essere utilizzata come mezzo per raggiungere altri scopi, siano anche quelli scientifici, specialmente se non è in grado di esprimere un valido e consapevole consenso: queste sono le principali considerazioni bioetiche che ci devono guidare».
* Presidente del Comitato Sammarinese di Bioetica. Il presente testo è già stato pubblicato su «Superando.it», il portale promosso dalla FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie, già Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), e viene qui ripreso, con lievi adattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.
Ultimo aggiornamento il 20 Marzo 2025 da Simona