Intervista a Francesca Pidone, coordinatrice del Telefono Donna del Centro Antiviolenza della Casa della Donna di Pisa, a cura di Simona Lancioni
Compie 30 anni in questo 2020 la Casa della Donna di Pisa, un punto di riferimento per le donne della bella città toscana. Tanti i servizi offerti: una biblioteca che raccoglie quasi 100 riviste italiane e straniere e 6000 testi che spaziano dal femminismo alla letteratura, dalla filosofia alla psicoanalisi, dalla scienza all’arte, dalla storia alla sociologia; i gruppi di lavoro per riflettere e confrontarsi su specifiche tematiche e attività (scrittura creativa, comunicazione e social media, carcere, educazione e formazione, invecchiamento, imparare l’italiano, ecc.); un centro antiviolenza che nel biennio 2017-2018 ha accolto 619 donne, alcune delle quali con disabilità. Proprio in relazione a quest’ultima attività, abbiamo rivolto qualche domanda a Francesca Pidone, coordinatrice del Telefono Donna, e lei, gentilissima, ci ha risposto. La ringraziamo sentitamente.
Puoi raccontarci brevemente la storia del Centro Antiviolenza della Casa della Donna di Pisa e quali servizi offrite?
«La Casa della donna come associazione di donne esiste dal 1990 e questo anno festeggeremo, quindi, un compleanno molto importante: i nostri primi 30 anni. Il Centro antiviolenza, che è uno dei servizi e degli spazi della Casa, ha come cuore centrale il Telefono Donna (050 561628), al quale rispondono delle operatrici e delle volontarie opportunatamente formate. Alla prima accoglienza telefonica possono seguire dei percorsi di gestione e uscita dalla violenza che prevedono: un iter di colloqui di accoglienza con le consulenti di accoglienza che insieme alla donna effettuano una analisi della domanda, della motivazione e una valutazione del rischio, e definiscono un progetto individualizzato con lei. Altri servizi, come il supporto psicologico e psicoterapeutico e l’informazione legale, possono essere attivati. Le esperte del Centro, inoltre, supportano i percorsi di quelle donne che devono o vogliono attivare gli altri servizi della rete come: servizi sociali, Forze dell’Ordine, etc. Il Centro è dotato anche di una casa rifugio che può ospitare donne con o senza figli/e che devono essere protette perché incorrono in gravi rischi per la loro incolumità e la loro vita.»
Nello svolgimento delle vostre attività avete accolto anche donne con disabilità. Puoi dirci qualcosa di queste donne e dei tipi di violenza a cui sono state esposte?
«Il servizio del Centro ha accolto negli anni donne con diverse disabilità fisiche, psichiche e cognitive. Nel biennio 2017-2018 abbiamo accolto un totale di 619 donne di cui con disabilità: 10 con disabilità fisica, 15 con ricoveri in psichiatria, 21 con trattamenti farmacologici per diagnosi specialistica e 30 con patologie croniche invalidanti. Le donne con disabilità sono esposte nella maggior parte dei casi a violenza psicologica, ovvero quel tipo di maltrattamento “bianco” che non lascia tracce evidenti, ma consiste nell’annientare la persona ed i suoi desideri, bisogni, volontà e viene agita con le azioni, ad esempio, della svalutazione, e della denigrazione. Nei casi di donne con disabilità sono presenti azioni come la somministrazione sbagliata dei farmaci (eccessiva o carente), la discuria, etc. Oltre alla violenza psicologica ci sono stati anche casi di violenza fisica, che lede il corpo delle donne e che nei casi di disabilità, soprattutto fisica, può essere coperta con l’idea di trattamento o cura della stessa. Si riscontrano anche casi di violenza economica quando c’è, ad esempio, una gestione delle risorse economiche della donna con disabilità non nell’interesse della stessa, ma in quello di chi gestisce le risorse.»
Accogliere le donne con disabilità ha richiesto accorgimenti particolari? Se sì, quali?
«È stato necessario nelle situazioni di donne con disabilità, oltre alla rilevazione dei comuni indicatori di violenza e di rischio per la incolumità psichica e fisica, capire meglio anche chi esercitava gli atti di violenza, e chi nella situazione, ad esempio un caregiver o un educatore o un infermiere addetto alle cure della donna, poteva colludere con chi agiva violenza o essere invece un agente protettivo della stessa.»
Sempre in merito alla donne con disabilità vittime di violenza, siete riuscite a dare una risposta adeguata anche alle situazioni particolarmente complesse? Se no, quali soluzioni sono state trovate?
«Penso che sui percorsi di accoglienza delle donne con disabilità che vivono situazioni di violenza sia necessario, benché si siano state accolte e sostenute in passato al Centro, trovare risposte specifiche e coordinate con le associazioni che si occupano di disabilità che sono osservatori fondamentali rispetto ai loro bisogni ed alle loro esigenze, ma anche alle risorse attive o attivabili.»
Come viene fatta la valutazione del rischio, quali strumenti vengono utilizzati? Queste procedure e strumenti tengono in considerazione l’eventuale disabilità della vittima?
«Non tutti gli strumenti di valutazione del rischio prevedono come specificità la disabilità della donna come fattore di rischio. Si fa, invece, riferimento al disturbo psichiatrico dell’uomo che agisce violenza. Sicuramente il concetto di isolamento, inteso come elemento che aumenta il rischio per la recidiva di violenza, nei casi di disabilità deve essere declinato in modo più specifico (ad esempio: la donna nei movimenti da chi dipende? Ha una autonomia minima?).»
Quali sono, in base alla tua esperienza, le difficoltà incontrate dalle donne con disabilità nell’accedere ai servizi della rete antiviolenza?
«Il grosso problema secondo me si ha nel caso che la donna debba uscire dalla situazione di violenza fuggendo da casa perché la maggior parte delle case rifugio in Italia non sono pronte a livello architettonico e di personale ad ospitare donne con disabilità.»
Cosa pensi che si potrebbe fare per migliorare i servizi della rete antiviolenza e massimizzare il loro tratto inclusivo?
«Sicuramente è necessario che le donne del Centro si formino sulla disabilità, ma anche che gli operatori e le operatrici delle associazioni e dei servizi della disabilità, come osservatori privilegiati, imparino a vedere e rilevare la violenza maschile sulle donne. Un altro passo importante è trovare delle procedure specifiche in sinergia tra i diversi soggetti per tutelare e rafforzare le donne con disabilità.»
Per approfondire:
Casa della Donna di Pisa.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.
Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.
Data di creazione: 20 Gennaio 2020
Ultimo aggiornamento il 20 Agosto 2020 da Simona